Articolo 21 - Editoriali
Distinguere tra libertà di stampa e gli Angelucci
di Beppe Lopez*
Il momento forse più divertente ma certamente più significativo dello scontro ancora in atto, per l’ennesima volta, sui contributi statali ai giornali, è l’intervista concessa a Liberazione da Antonio Polito, direttore del Riformista. In sostanza, il quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista, nella sua legittima campagna contro il governo - che ha tagliato l’entità e la certezza dei “contributi diretti” ai quotidiani iscritti nell’apposito elenco della Presidenza del Consiglio – ha ritenuto di poter utilmente pubblicare l’opinione del direttore del quotidiano edito dalla famiglia Angelucci secondo il quale uno Stato democratico ha il dovere, anzi l’obbligo di finanziare i giornali editi dagli Angelucci. E naturalmente anche Il Foglio, con l’ancora signora Berlusconi nella compagine editoriale; Il Secolo di Gianfranco Fini, l’Unità di Renato Soru, Europa degli ex-amici di Francesco Rutelli…
L’intera vicenda prometteva divertimento (e serie preoccupazioni) sin dall’inizio. Si poteva già scommettere come sarebbe andata a finire e come è effettivamente finita: l’ennesimo tentativo/minaccia governativo di tagliare, la reazione delle lobbies (tutte insieme appassionatamente: cooperative vere come il Manifesto e riconosciuti profittatori e ladri di regime), la conferma più o meno integrale e comunque precaria delle limòsine, infine un arretramento complessivo della situazione delle poche testate meritorie di un aiuto pubblico. Mentre ovviamente i grandi gruppi editoriali continuano a lucrare il grosso delle provvidenze.
Il problema più importante – immediatamente dopo quello relativo alla liceità e all’utilità, in un sistema democratico, delle provvidenze governative in favore degli organi d’informazione – è quello di sempre: la confusione degli status (giuridici e professionali, politici e culturali), dietro la quale si nascondono e ingrassano furbacchioni e lestofanti. Ma che c’entra Liberazione con il Riformista?
Già per molti è discutibile (e comunque discusso) che lo Stato debba finanziare i partiti, già sono indegne le modalità e l'entità con le quali essi vengono finanziati, già questo non significa dover poi finanziare (direttamente e a parte) anche i loro giornali, già questo “diritto” era stato introdotto per gli organi di partiti con un gruppo parlamentare ed è stato poi furbescamente riconosciuto a vita per una serie di testate a prescindere dalla loro avvenuta spartitizzazione e privatizzazione.
Ma – se fosse giusto e “democratico” finanziare un giornale come Liberazione (e se è certamente sacrosanto definire una mascalzonata l’iniziativa del governo di cominciare a porre mano alle provvidenze per l’editoria non colpendo i malfattori e togliendo ai grandi gruppi editorial-pubblicitari ma mettendo in discussione la sopravvivenza delle testate più piccole e prevalentemente non governative) – perchè mai dovrebbe essere giusto e “democratico” dare i soldi ad un gruppo privato come gli Angelucci perché tenga in piedi due quotidiani, a presidio dei propri interessi economici e politico-sanitari? Che almeno se li pagassero o, comunque, che li gestissero in termini tali da stare sul mercato, da affrontare la concorrenza e magari da trarne profitto! E perché dovrebbe essere giusto e “democratico”, nel caso assai remoto che quei giornali non avessero contenuti determinati o influenzati dagli interessi e dalle amicizie (e inimicizie) Angelucci, ma solo ed esclusivamente dalle idee e dalle valutazioni del suo liberissimo e autonomissimo direttore, che lo Stato finanzi le idee e la divulgazione delle idee del signor Antonio Polito? Che andasse anche lui sul mercato, senza le entrature di un Claudio Velardi o di un Emanuele Macaluso o comunque senza un costoso paracadute pagato dai contribuenti italiani (grazie a Velardi e a Macaluso), a fare informazione e a fare il direttore, acquisendo vantaggi dai successi e pagando il costo dei propri eventuali insuccessi, insieme ai propri editori. Come succede a tutti quanti gli altri, a meno che non abbiano incontrato sulla propria strada e non si siano apparanzati con un Velardi, un Macaluso, un Angelucci o un D’Alema. O un Mastella (Il Campanile). O una Conferenza Episcopale Italiana (Avvenire). O una Cisl (Conquiste del Lavoro)…
“Per troppo tempo abbiamo accettato, quasi con un po’ di imbarazzo, tutti gli elementi contrari all’idea di finanziare questi giornali” afferma Polito, in effetti senza imbarazzo e senza vergogna, nell’intervista a Liberazione. Ma “questi giornali” quali? Non è solo imbarazzante ma veramente sfrontato che Polito metta nello stesso mazzo gli interessi della cooperativa il Manifesto, del giornale Liberazione e dei boss della sanità (privata per i ricavi e pubblica per i costi). Ma non basta. In effetti qui siamo al terzo cerchio della confusione. Nel primo, il più largo, c’è la confusione fra diversi e opposti interessi. Nel secondo, vi sono gli arzigogoli degli imbroglioni e imbroglioncelli (quasi tutti liberali e avversari della “pubblica assistenza”, però sostenitori rapaci del “socialismo reale” quando si tratta di limòsina pubblica per se e per i propri padroni).
Ma nel terzo cerchio, nel cuore del problema scandaloso della reiterazione venticinquennale delle truffe e della distribuzione clientelare e affaristica di pubbliche risorse agli amici degli amici sotto le nobili insegne delle "provvidenze per l'editoria", c’è la inadeguata, quando non inesistente rivendicazione della propria diversità – rispetto ai clientes, ai truffatori, agli imbroglioni, alle finte cooperative, alle false “fondazioni”, ai truffaldini “movimenti”, ai partiti inesistenti, ecc. – da parte delle cooperative vere, delle testate no profit…
Nemmeno questa volta da questo fronte, certamente anche perché schiacciato (come sempre) dal ricatto del rischio-chiusura, è arrivato un segno di distinzione o di dissociazione. Perciò quell’intervista di Polito a Liberazione - nel quale quel direttore “liberale” di un giornale degli Angelucci riesce addirittura a chiedere perentoriamente la “moralizzazione del settore” per rivendicare il diritto degli Angelucci a quella provvidenza pubblica (anzi a quella doppia provvidenza, compreso il contributo all’angelucciano Libero) – appare molto significativo e, in definitiva, divertente. Ci sarebbe infatti da ridere, se non ci fosse da piangere.
L’intera vicenda prometteva divertimento (e serie preoccupazioni) sin dall’inizio. Si poteva già scommettere come sarebbe andata a finire e come è effettivamente finita: l’ennesimo tentativo/minaccia governativo di tagliare, la reazione delle lobbies (tutte insieme appassionatamente: cooperative vere come il Manifesto e riconosciuti profittatori e ladri di regime), la conferma più o meno integrale e comunque precaria delle limòsine, infine un arretramento complessivo della situazione delle poche testate meritorie di un aiuto pubblico. Mentre ovviamente i grandi gruppi editoriali continuano a lucrare il grosso delle provvidenze.
Il problema più importante – immediatamente dopo quello relativo alla liceità e all’utilità, in un sistema democratico, delle provvidenze governative in favore degli organi d’informazione – è quello di sempre: la confusione degli status (giuridici e professionali, politici e culturali), dietro la quale si nascondono e ingrassano furbacchioni e lestofanti. Ma che c’entra Liberazione con il Riformista?
Già per molti è discutibile (e comunque discusso) che lo Stato debba finanziare i partiti, già sono indegne le modalità e l'entità con le quali essi vengono finanziati, già questo non significa dover poi finanziare (direttamente e a parte) anche i loro giornali, già questo “diritto” era stato introdotto per gli organi di partiti con un gruppo parlamentare ed è stato poi furbescamente riconosciuto a vita per una serie di testate a prescindere dalla loro avvenuta spartitizzazione e privatizzazione.
Ma – se fosse giusto e “democratico” finanziare un giornale come Liberazione (e se è certamente sacrosanto definire una mascalzonata l’iniziativa del governo di cominciare a porre mano alle provvidenze per l’editoria non colpendo i malfattori e togliendo ai grandi gruppi editorial-pubblicitari ma mettendo in discussione la sopravvivenza delle testate più piccole e prevalentemente non governative) – perchè mai dovrebbe essere giusto e “democratico” dare i soldi ad un gruppo privato come gli Angelucci perché tenga in piedi due quotidiani, a presidio dei propri interessi economici e politico-sanitari? Che almeno se li pagassero o, comunque, che li gestissero in termini tali da stare sul mercato, da affrontare la concorrenza e magari da trarne profitto! E perché dovrebbe essere giusto e “democratico”, nel caso assai remoto che quei giornali non avessero contenuti determinati o influenzati dagli interessi e dalle amicizie (e inimicizie) Angelucci, ma solo ed esclusivamente dalle idee e dalle valutazioni del suo liberissimo e autonomissimo direttore, che lo Stato finanzi le idee e la divulgazione delle idee del signor Antonio Polito? Che andasse anche lui sul mercato, senza le entrature di un Claudio Velardi o di un Emanuele Macaluso o comunque senza un costoso paracadute pagato dai contribuenti italiani (grazie a Velardi e a Macaluso), a fare informazione e a fare il direttore, acquisendo vantaggi dai successi e pagando il costo dei propri eventuali insuccessi, insieme ai propri editori. Come succede a tutti quanti gli altri, a meno che non abbiano incontrato sulla propria strada e non si siano apparanzati con un Velardi, un Macaluso, un Angelucci o un D’Alema. O un Mastella (Il Campanile). O una Conferenza Episcopale Italiana (Avvenire). O una Cisl (Conquiste del Lavoro)…
“Per troppo tempo abbiamo accettato, quasi con un po’ di imbarazzo, tutti gli elementi contrari all’idea di finanziare questi giornali” afferma Polito, in effetti senza imbarazzo e senza vergogna, nell’intervista a Liberazione. Ma “questi giornali” quali? Non è solo imbarazzante ma veramente sfrontato che Polito metta nello stesso mazzo gli interessi della cooperativa il Manifesto, del giornale Liberazione e dei boss della sanità (privata per i ricavi e pubblica per i costi). Ma non basta. In effetti qui siamo al terzo cerchio della confusione. Nel primo, il più largo, c’è la confusione fra diversi e opposti interessi. Nel secondo, vi sono gli arzigogoli degli imbroglioni e imbroglioncelli (quasi tutti liberali e avversari della “pubblica assistenza”, però sostenitori rapaci del “socialismo reale” quando si tratta di limòsina pubblica per se e per i propri padroni).
Ma nel terzo cerchio, nel cuore del problema scandaloso della reiterazione venticinquennale delle truffe e della distribuzione clientelare e affaristica di pubbliche risorse agli amici degli amici sotto le nobili insegne delle "provvidenze per l'editoria", c’è la inadeguata, quando non inesistente rivendicazione della propria diversità – rispetto ai clientes, ai truffatori, agli imbroglioni, alle finte cooperative, alle false “fondazioni”, ai truffaldini “movimenti”, ai partiti inesistenti, ecc. – da parte delle cooperative vere, delle testate no profit…
Nemmeno questa volta da questo fronte, certamente anche perché schiacciato (come sempre) dal ricatto del rischio-chiusura, è arrivato un segno di distinzione o di dissociazione. Perciò quell’intervista di Polito a Liberazione - nel quale quel direttore “liberale” di un giornale degli Angelucci riesce addirittura a chiedere perentoriamente la “moralizzazione del settore” per rivendicare il diritto degli Angelucci a quella provvidenza pubblica (anzi a quella doppia provvidenza, compreso il contributo all’angelucciano Libero) – appare molto significativo e, in definitiva, divertente. Ci sarebbe infatti da ridere, se non ci fosse da piangere.
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