di Vittorio Roidi
Il ministro della Difesa, Martino, ha detto che la nuova legge sulla diffusione delle informazioni militari non riguarderà i cronisti, ma solo gli addetti ai lavori. Dobbiamo credergli. Vogliamo credergli. Era talmente grave quello che stava avvenendo che un ripensamento da parte del Governo appariva logico. In un paese normale. Ma le inquietudini dubbi restano, visto che un ramo del Parlamento aveva approvato senza esitazione la norma che proibisce â??a chiunqueâ? di diffondere informazioni sulle missioni, sulle attività , sulle operazioni delle nostre forze armate. Il desiderio di censura appariva evidente.
Oggi, se quellâ??impulso è stato represso, se quel progetto rientra, se è vero che il divieto riguarda solo gli addetti ai lavori (cioè i militari), possiamo riprendere a lavorare tranquillamente, possiamo essere sicuri che i cronisti che operano in terre lontane, che raccontano il lavoro dei soldati italiani che si trovano in Iraq, in Kosovo ed in altri scenari di guerra, non si vedranno arrivare un avviso di garanzia. La libertà di stampa, la necessità di informare e di essere informati, vale anche in questo campo. Noi non avevamo dubbi. Sarebbe stato come dire che gli italiani non dovevano sapere le ragioni della morte dei nostri militari caduti a Nassiria, come dire che non si dovrebbe parlare di Simone Cola, del suo giubbotto antiproiettile e dellâ??elicottero sul quale volava. Il ministero ha deciso di inviare in Iraq velivoli più sicuri. Eâ?? troppo pensare che la decisione sia stata presa perché lâ??opinione pubblica aveva conosciuto, attraverso i giornali, che quello sul quale volava il maresciallo Cola non era del tutto sicuro?
Aspettiamo che, dopo le parole del ministro, il testo della legge venga modificato, con la chiara esclusione di coloro che esercitano il diritto di cronaca. Dobbiamo continuare a fare il nostro mestiere e a vigilare. Anche sullâ??attività del Parlamento.