di Ennio Remondino
La rabbia mi appartiene come cittadino. L’amarezza mi travolge da tempo come giornalista Rai che la sua “vita pericolosa” l’ha vissuta in pieno, con la forza e l’idea, l’illusione direte voi, che ne valesse la pena. Il disgusto che rasenta una sorta di “pietas”, oggi, riguarda ciò che vedo attorno a me negli ultimi scampoli di televisione che frequento dai margini dell’impero. Amo Sciascia e cito: Ominicchi, quando va bene, e un esercito di Quaquaraqua in doppio petto e cravatta firmata. Vertici e controvertici ad occuparsi delle clientela alla base della creazione del consenso a favore altrui. Compravendita di idealità in offerta speciale: ne paghi uno o due e ne prendi un mazzo. Commissari che vigilano affinché nessuno disturbi il loro manovratore. Consigli che amministrano in conto terzi, senza neppure rendersi conto di risultare quarti, quinti: ultimi. Dirigenti concentrati a pilotare le loro carriere e quelle dei protetti per scelta o per mandato ricevuto. Amministrativi che amministrano, litigando con regole e decenza, l’indecenza. L’auditing interna costretta ad attendere che altri indaghino se i ladri ti stanno rubando l’argenteria di casa. La Corte dei Conti che non legge i giornali e soprattutto non guarda i telegiornali. In parte li capisco (soltanto i giudici della Corte dei conti). Anch’io non guardo quasi più. Non faccio quasi più, anche se non per mia scelta.
Poi il giornalismo e i giornalisti. Io amo questo mestiere. Il giornalismo, ho scritto recentemente in un libro, è mestiere di grinta e d’ambizione. Straordinario quando sei lasciato libero di farlo. Ovviamente tra noi c’è chi insegue la notizia e chi cerca di sistemarsi la carriera. Personalmente m’intendo più di notizie che di carriera, e ciò, mi dicono, è poco furbo. Aggiungo, per amore di verità, che nel giornalismo ogni tromba che chiama all’assalto vuole il suo trombettiere. Allargando il campo al servilismo militante, possiamo aggiungere che ogni lottizzatore ha bisogno di un lottizzabile. La questione se sia l’interferenza politica a corrompere l’informazione o se, viceversa, sia l’informazione satura di volontari trombettieri a dare il peggio di sé, somiglia all’eterno litigio sul primato fra uovo e gallina.
E’ come discutere se sia la prostituzione ad aumentare gli utenti del sesso a pagamento o la domanda di peccato ad aumentare l’offerta. Stando all’esempio, si tratterebbe sempre di puttane e puttanieri. Chiedo scusa: escort, anche se mi resta il dubbio su come definire chi, bipartisan, ne fruisce. La differenza fra i servi per vocazione e la servitù che si vorrebbe imposta per prepotenza, nel frattempo si fa sempre più piccola, minacciata, schiacciata: per sopravvivenza umana, per spazi e narratori, strangolata in alcuni telegiornali e interdetta nei palinsesti grazie alla complicità di accidentati percorsi aziendali. Chi non lo capisce, oggi, subito, ha probabilmente dimenticato lo stretto legame fra libertà di informazione e democrazia. Accorgercene dopo sarà troppo tardi.
*da il Manifesto