di Maurizio Torrealta
Desiderio fortemente che l'annuncio dell' imminente liberazione di Giuliana Sgrena si traduca in realtà , e con questa speranza nel cuore vorrei provare a porre delle domande su quello che sta succedendo agli inviati occidentali in Iraq. E per farlo vorrei svolgere alcuni passaggi di un ragionamento.
A) Se analizziamo le immagini piu' famose che hanno rappresentato il conflitto in Iraq ci rendiamo conto che le 2 o 3 immagini più conosciute come ad esempio quella dell' uomo incapucciato sopra la seggiola, torturato nel carcere di Abu Graib o quella di Saddam nella sua cella, non sono state scattate da giornalisti ma da militari. La terza immagine, quella più famosa, quella che mostra un medico bianco che ,con i guanti di gomma, ispeziona la cavità orale di un Saddam Hussein, è una immagine costruita dal Dipartimento dell ' Informazione dell'esercito e non potrebbe essere diversamente, il medico che ispreziona Saddam è alto , illuminato dalla luce, biondo, asettico ,Saddam è nel buio, più basso, sottomesso , circondato come una bestia dalla barba incolta e dai capelli arricciati. Prendiamo spunto da questa evidenza per ipotizzare che in questa guerra più che in altre la capacità informativa dei giornalisti si è notevolmente ristretta.
B) Quasi tutti gli inviati sopratutto quelli televisivi (eccetto Giuliana Sgrena e pochi altri ), sia per i continui collegamenti che devono realizzare nelle diverse edizioni dei telegiornali , sia per la peggiorata situazione di sicurezza, difficilmente lasciano le zone adiacenti all 'albergo dove si trovano e ancora più raramente raccolgono informzioni autonome su quello che sta succedendo nel Paese. La maggioranza di questi non è in grado di parlare l'arabo e se deve spostarsi lo fa solo con la scorta . Non voglio discutere qui delle giustissime ragioni che rendono questa scelta necessaria anzi indispensabile nello scenario che ho appena descritto.
C) Quello che vorrei suggerire alla riflessione dei colleghi è la possibilità di immaginare un modello produttivo differente. In altre parole varrebbe la pena di ridiscutere profondamente la figura dell inviato di Guerra , sempre pronto a partire per zone di conflitto e sempre poco attrezzato a capirne le profonde ragioni e a seguirne gli sviluppi in momenti successivi.
D) Se guardiamo bene il modo in cui ha lavora Giuliana Sgrena ci rendiamo conto che lei è l' esatto opposto dell'inviato di guerra: per andare nelle zone calde non aspetta che scoppi un conflitto anzi spesso segnala le tensioni e gli atriti prima che assumano la forma del conflitto e se ne occupa anche nei periodi successivi. Ha creato contatti ed e' in grado di seguire l' evolversi di una situazione nel tempo senza dover dipendere dalle valutazioni di terzi, conosce l' arabo, i suoi articoli testimoniano la sua ricerca autonoma e la sua indipendenza di giudizio.
E) Non vale la pena di farsi promotori presso le nostre redazioni di un modello produttivo diverso? Un modello che si sottragga a questo tuttologismo e a questo presenzialismo che la figura dell Inviato di Guerra rischia di incarnare. Un modello diverso che proponga un inviato per aree geopolitiche che conosca, almeno a livello base, la lingua del paese e possa in missioni successive creare la rete di contatti e di conprensione che permetta poi non solo da valutare autonomamente la situazione ma anche di fare valutare ad altri il nostro lavoro e la correttezze dei nostri servizi. Un modello di lavoro diverso che permetta, se lo meritiamo (e questo è senz'altro il caso di Giuliana) la stima e la garanzia di una rete di persone che vivono e lavorano nell'area di cui ci occupiamo..