di Enzo Costa*
Per sano orgoglio o insano egocentrismo, la satira si è sempre appuntata sul petto l'ira dei suoi bersagli: un politico stizzito per una battuta acuminata era un marchio di qualità satirica. Poi venne l'era delle vittime gommose, capaci di farsi rimbalzare addosso qualsiasi corsivo corrosivo: segno di un'era gelatinosa di satirici troppo rispettosi, o di un'era giudiziosa di potenti meno spocchiosi. Martedì 6, a Ballarò, si è aperto l'evo dei sottoposti zelanti e furenti. Crozza aveva dispensato amabili perfidie a centro (risate smoderate di Tabacci) e manca (sorrisi amari della Serracchiani). Poi, una facezia su Silvio ("Su Facebook ha cambiato il suo stato, ma perché vuol cambiare anche il mio Stato?") era freddata dallo sguardo della sottosegretario Ravetto: sprizzava furore per lesa maestà da tutte le occhiatacce. "Non mi fa ridere!" sibilava feroce. Temo dicesse la verità. Avesse capito la battuta in tutta la sua innocuità, sarei più tranquillo.
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*da l'Unità