di Gianni Rossi
Un sindacato vivo, dialettico, libero da qualsiasi condizionamento, con mille sfaccettature, che sa analizzare i problemi, i punti critici della propria azienda e non si nasconde al confronto dialettico sia interno con le “varie anime” (nazionali, regionali, tv, radio, new media,ecc…), sia esterno con le forze politiche di centrosinistra e di centrodestra. Un sindacato che ritrova un’unitarietà concreta, non fittizia, quando vota per acclamazione una mozione che lo impegna a lottare per “il superamento della legge Gasparri”, figlia del conflitto di interessi del presidente del consiglio Berlusconi, che controlla Mediaset-RAI , che condiziona tutto il mercato con la raccolta pubblicitaria e che attraverso i suoi “referenti” blocca qualsiasi sviluppo tecnologico e finanziario di Viale Mazzini.
Una mozione stilata e firmata da tutti i maggiori esponenti delle cosiddette componenti che si sono confrontate al congresso: quella che si riconosceva nella ventennale storia unitaria e trasversale dell’Usigrai, impersonata dal segretario Carlo Verna, e quella che proveniva dalla fallimentare esperienza del Singrai, guidata dall’attuale vicedirettore del Giornaleradio Corsini.Un’autonomia dai partiti e dai “gruppi di interessi” ritrovata, quindi, da parte dei giornalisti RAI, che si è sostanziata con l’elezione di un Esecutivo che rappresenta tutte le realtà principali dell’azienda, ma che ha tenuto conto più dei curricula professionali e sindacali, che delle “logiche di appartenenza”, di schieramenti precostituiti ( tra “nazionali” e “regionali”, tra vecchi e giovani, tra donne e uomini, tra “destra e sinistra”).
Questo il nuovo Esecutivo, che ha riconfermato Carlo Verna ( TGR Campania) segretario: Umberto Avallone (TGR Basilicata), Marzio Quaglino (TGR Lombardia), Stefano Vidori (TGR Toscana), Ottavio Olita (TGR Sardegna), Vittorio Di Trapani (Rainews 24), Gian Mario Nucci (Giornaleradio) Alessandra Mancuso (TG1), Daniela De Robert (TG2), Gianfranco Botta (TG3), Stefano Campagna (TG1).
Nel momento in cui per la prima nella sua storia congressuale si consumava la rottura “politica” tra l’Usigrai e la Direzione generale di Viale Mazzini (il DG Mauro Masi non ha partecipato ai lavori, come di regola facevano i suoi predecessori), i giornalisti del servizio pubblico hanno lanciato messaggi chiari e forti ai vertici aziendali, al governo e ai partiti:
- la RAI deve ritrovare la sua autonomia decisionale, gestionale, produttiva e sicurezza delle risorse;
- non si affronta l’attuale situazione di crisi finanziaria con tagli, ritagli e frattaglie (per dirla alla Arbore);
- va discussa in pubblico con la più ampia partecipazione possibile di tutti i soggetti interessati una legge di riforma per dare alla Rai un nuova organizzazione e una governante assolutamente indipendente dal mondo dei partiti e dal governo (oggi il Tesoro è il proprietario azionario e indica Presidente e DG);
- una nuova strategia industriale che punti al rinnovamento tecnologico (l’interconnessione digitale con tutte le piattaforme di trasmissione), alla riqualificazione e riutilizzazione delle risorse umane interne;
- la revisione dello sciagurato blocco della vendita dei ponti di trasmissione che la privarono di 400 milioni di euro nell’ottobre 2001, proprio mentre si doveva lanciare il piano per la digitalizzazione (ministro delle comunicazioni era Gasparri);
- il ritorno sul satellite attraverso un nuovo accordo con il “monopolista” SKY, in grado di far riassorbire la perdita di 50 milioni di euro l’anno;
- l’aggancio del canone (il più basso d’Europa!) alla bolletta telefonica o alla fiscalità generale e una concreta e rapida lotta all’evasione privata e pubblica che porterebbe nelle casse esauste di Viale Mazzini almeno 300 milioni di euro. Altrimenti è meglio bloccare la firma del nuovo Contratto di Servizio, che non prevede contestualmente ai nuovi “compiti e doveri” della RAI nessuna certezza sulla lotta all’evasione del canone e sulle nuove forme di riscossione;
- collegare la certezza delle risorse all’interconnessione con le piattaforme WEB, Internet Television e mobile TV (il caso di RAIPERUNANOTTE è stato eloquente ed esemplare: oltre 6,5 milioni di audience reale tra tv satellite-web-locali, radio, piazze reali), ripristinando anche la rilevazione dell'indice di qualità della produzione e dell’effettiva tutela del pluralismo;
- la ridiscussione del sistema di appalti che ha consegnato la produzione RAI a 4 gruppi privati, in realtà monopolisti e senza concorrenza tra loro, che con la scusa dei “Format” hanno creato una situazione di dominanza del mercato tra i network commerciali e quello pubblico.
Compiti ardui, dunque, per i nuovi gruppi dirigenti, che dovranno inoltre affrontare con saggezza e nervi saldi anche il prossimo Piano Editoriale che fra poco sarà esaminato dal CDA della RAI e che, dalle indiscrezioni, prevederebbe anche sacrifici in termini di personale e risorse produttive, riduzione delle sedi di corrispondenza all’estero e accorpamenti di settori dirigenziali e giornalistici al centro e nelle sedi regionali. Ci vorrebbe ben altro in una fase di espansione del mercato della comunicazione multimediale, seppure nel panorama di una grossa crisi economica!Proprio i massmedia, la comunicazione, l’intrattenimento, l’uso intelligente delle diverse piattaforme digitali sono, infatti, ritenute dagli analisti finanziari i settori in cui investire per creare nuove opportunità di lavoro, occupazione e profitti. Ma forse è proprio la preoccupazione di poter agganciare un treno del genere, che il “portatore sano” del conflitto di interessi, Berlusconi, sta facendo di tutto attraverso i suoi fedelissimi per relegare la RAI in posizioni di ripiego: concorrenza sì, ma sotto il “tallone di acciaio” del competitor privato del “Biscione”!
C’è uno “Spettro” che si aggira in Europa e non si tratta del comunismo come preannunciava nella metà dell’Ottocento il filosofo Karl Marx: è, invece, l’ attacco ai servizi pubblici multimediali, portato avanti dai governi conservatori, ma anche socialdemocratici, che mal digeriscono la loro indipendenza ed autonomia. In Spagna, Francia e Gran Bretagna i vertici dei rispettivi servizi pubblici stanno operando tagli al personale tra il 30 e il 50%, oltre a drastiche riduzioni di pubblicità e risorse. Anche la Francia ha abbandonato forzosamente il modello misto italiano canone+pubblicità, su richiesta del presidente Sarkozy, senza però ottenere introiti adeguati e, per altro, senza sbloccare il mercato multimediale.
La tragedia, in termini di tagli delle risorse umane, finanziarie e produttive, la si sta sfiorando nei paesi dell’Est ex- socialisti, specie Polonia e Ungheria,dove la tv pubblica è ancora ritenuta “di stato”. Lì crescono imperi editoriali TV legati a personaggi politici che tentato la scalata o già sono ai vertici di quei governi!Una situazione così critica, anche dal punto di vista della tutela del pluralismo informativo, del ruolo di “garanzia” e controllo, che sta destando un fortissima preoccupazione nell’EBU-UER, l’associazione dei Servizi radiotelevisivi pubblici europei, che al riguardo ha avviato parecchie analisi, grazie anche a studi indipendenti, e che sta cercando di arginare il “declino” con la richiesta di interventi legislativi da parte delle istituzioni europee.
Oltre all’Unione europea dei servizi pubblici (ovvero l’EBU-UER), non è più rinviabile la creazione di organismo che unisca tutti i sindacati o associazioni simili dei giornalisti radiotelevisi dei network pubblici d’Europa, intensificando quindi anche iniziative di denuncia, proposta e pressione presso le istituzioni comunitarie. Pensare che il conflitto di interessi e la crisi del servizio pubblico siano, difatti, un caso della “anomalia italiana” è riduttivo e fuorviante: il fenomeno ormai è dilagante e solo una battaglia internazionale, fuori dai “confini provinciali” del nostro paese, potrebbe vederci protagonisti e ripristinare le tutele fondamentali di uno stato di diritto, come sancito nella nostra Costituzione e in quella europea del Trattato di Lisbona.
Da soli si perde o si viene lentamente emarginati; insieme si hanno molte possibilità di vincere questa battaglia di democrazia e di sconfiggere il “virus berlusconiano”, che ormai si va estendendo su tutto il continente europeo.