di Gian Mario Gillio*
A pochi giorni dalla conferenza stampa promossa da “Confronti”, Articolo 21, “Riforma” e il Coordinamento di riviste italiane di cultura indetta per presentare l’appello dal titolo “Editoria: no all’abrogazione delle tariffe postali agevolate” possiamo tornare sul tema editoria e citare alcuni dati emersi in occasione dell’incontro al quale hanno partecipato, tra gli altri, i politici Giuseppe Giulietti, Vincenzo Vita e Roberto Zaccaria, Valdo Spini; sindacati e cooperative, Roberto Natale (Fnsi) e Carlo Verna (Usigrai), Lelio Grassucci (Mediacoop), Maurizio Andriolo (Inpgi); molti editori, tra i quali Luca Leone e Luca Burei che hanno presentato l’appello indirizzato a Scajola e Tremonti lanciato su facebook e che ad oggi ha superato le 6000 firme. All’incontro erano presenti numerosi giornalisti e la redazione di Noidonne con Elena Ribet ha lanciato una proposta per nuove mobilitazioni. La troverete – insieme alla proposta di Giulietti di salire sul tetto di una redazione per illuminare la protesta – in fondo a questo articolo pubblicato dal settimanale “Riforma”, in uscita in questi giorni.
Domani anche noi parteciperemo alla manifestazione di Piazza Navona indetta dalla Fnsi per difendere il nostro diritto di poter essere informati.
C’è una novità. Ed è che questa volta nessuno ci è voluto passare sopra, noi per primi. Come ricorderete, nei giorni scorsi abbiamo lanciato un appello (una lettera indirizzata alle tre più altre cariche istituzionali del nostro paese) e il nostro allarme ha raccolto adesioni importanti e più di 400 firme presentate alla Camera dei Deputati. Ma che cos’è accaduto? Un ulteriore attacco a chi, con il proprio lavoro, volontariamente o meno, disturba il pensiero unico dominante nel nostro paese. A dire il vero ci sarebbe un'altra novità. L’Italia ha finalmente potuto vedere in tv – «voce della verità» di questo paese – come si può e talvolta si deve dissentire, anche apertamente, su posizioni che il «nostro» presidente del Consiglio impone, e Fini, non solo come presidente della Camera ma espressione di maggioranza, ne ha dato prova.
Torniamo a noi. Taglio dopo taglio, censura dopo censura, si è deciso di indebolire informazione e cultura ritenute inutili da chi tiene le redini del nostro paese. Nel giro di pochi giorni e a distanza di un mese dall’eliminazione del diritto soggettivo per i contributi (comma 62 dell’art. 2 – ex 53bis), per un settore che attraversava già una difficile congiuntura a tutti ben nota, arrivano altre due belle manovre governative: prima il taglio introdotto nel decreto «mille proroghe » delle provvidenze statali a favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali e poi, con un vero e proprio colpo di mano, il 31 marzo scorso, arriva – firmato da Tremonti e Scajola – il decreto interministeriale (non parlamentare) che impone, dall’oggi al domani e senza aver sentito le parti interessate, la sospensione delle tariffe agevolate postali costringendo di fatto gli editori a dover raddoppiare le spese di spedizione. Gli editori dal primo aprile, dunque, hanno dovuto trovare 15,3 centesimi di differenza per spedire il proprio giornale ai lettori abbonati. Bel pesce d’Aprile! Sono 6500 le case editrici attive sul territorio italiano, di cui la maggior parte «piccole e medie»: termine improprio, data la produzione libraria e la mole di lavoro che producono con la loro attività. Sono una vera ventata d’ossigeno per il nostro panorama culturale, creano occupazione diretta e indiretta, nell’indotto: tipografie, cartiere, legatorie, colorifici, trasportatori, giornalisti, allestitori di fiere o Saloni del libro. Che cosa accadrebbe se dovessero chiudere i battenti, in quanti perderebbero il posto, quante le famiglie coinvolte? A pochi giorni dall’inaugurazione del Salone del libro di Torino, siamo certi che gli editori affronteranno questo tema con allarmate discussioni all’interno dei propri stand. Una sala pubblica? Probabilmente un’utopia. La decisione – sempre che il governo non faccia marcia indietro dopo le proteste dei giorni scorsi – avrà ricadute pesanti anche per le numerose pubblicazioni sociali, religiose, locali, divulgative e in genere «non profit» che costituiscono una non trascurabile piattaforma culturale nazionale. Nel concreto: l’incremento di spesa – parliamo ora di libri – è di oltre il 700 per cento (una spedizione che prima del 1° aprile costava 0,97 euro all’editore, ora ne costa 7,00. Questo vuol dire che chi nel 2009 ha avuto – verosimilmente – 3000 euro di spese postali, nel 2010 ne avrà circa 21.000. L’equivalente più o meno di due contratti part-time o di una assunzione a tempo pieno. Dati alla mano, stupisce il fatto che sia proprio il ministero dello Sviluppo economico – la cui esistenza dovrebbe spingere in senso esattamente opposto – a decretare questa tragedia per il settore editoriale e per i suoi addetti. Mentre tutto il mondo dell’editoria appoggiato da molti politici del Pdl e del Pd, da sindacati di categoria e di cooperative, abbonati, lettori, intellettuali, si è accorto di questo obbrobrio interministeriale e ha chiesto ad alta voce il ripristino delle condizioni precedenti, protesta «bipartisan» mossa anche da cattolici (con le loro numerose pubblicazioni) e dalle chiese evangeliche, colpisce invece il silenzio di molti media televisivi, ormai fedeli al «minzoliniano» insegnamento. Forse anche noi editori dovremmo occupare il tetto di una redazione come hanno fatto molti operai per far ascoltare la loro protesta. L’alternativa sarebbe quella di mettere al rogo nelle piazze italiane le nostre pubblicazioni «inutili» – Calderoli docet – per fare notizia!
* direttore di “Confronti”