di Bankor*
C’è uno spettro che si aggira per l’Europa: non è il comunismo di marxiana memoria. E’ la “mano morta” del capitalismo di Adam Smith! Colpisce indistintamente governi “amici” conservatori, ma anche quelli progressisti; non risparmia il “popolo bue” delle Borse internazionali e, da oltre due anni, fa strage di banche, industrie, mercati finanziari e immobiliari. Ovunque si posi, cresce la disoccupazione, si acuisce lo stato di miseria di milioni di persone, si spegne il futuro delle giovani generazioni, s’ingenera la violenza nelle piazze. Finora, la “mano morta” era stata la fedele alleata dei sistemi capitalistici più o meno maturi, aveva attratto a sé anche quegli stati che come modello in origine avevano scelto il comunismo (Cina e Russia) o un mix tra interventismo statale e rampantismo mercantile (come in India, Brasile e Messico).
Di fronte alla più grave crisi finanziaria dal 1929, tra il 2008 e il 2009 i maggiori governi capitalistici, a partire dagli Stati Uniti, hanno fatto ricorso al più massiccio indebitamento statale pur di arrestare la frana dovuta al crollo dei mercati finanziari, gonfiati con enormi soufflé dalla speculazione internazionale: le più antiche e principali banche d’affari mondiali, fondi d’investimento potentissimi che detengono i pacchetti azionari delle industrie di mezzo mondo, le temutissime agenzie di “rating”. E proprio quest’ultime sono sempre più sotto l’occhio del ciclone delle critiche degli esperti finanziari e degli economisti, oltre che di alcuni ministri economici. Da tempo, le agenzie di rating (un intreccio di consulenti, economisti, banchieri, operatori finanziari che a loro volta speculano in Borsa) analizzano l’andamento dei conti delle grandi società quotate in Borsa e i bilanci meno sofisticati degli stati sovrani. Hanno libero accesso ai conti e anche estrema discrezione di giudizio, in grado di far tremare i mercati e la stabilità delle nazioni, di volta in volta ritenute “a rischio”.
Eppure,dal secondo Dopoguerra in poi, gli stati capitalistici si sono dati come strumenti di controllo e analisi dei loro conti istituzioni “ufficiali”, pubbliche come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’OCSE e, più di recente, la BCE da quando l’Euro è diventata la moneta comune per 16 paesi dell’Unione Europea. Forse perchè le “intelligenze” di questi organismi provengono spesso dalle stesse istituzioni pubbliche o perché la “mano morta” del sistema capitalistico non ammette concorrenti ispettive, l’autorevolezza delle istituzioni internazionali non hanno mai determinato l’andamento dei mercati. Diversa, invece, la credibilità delle Agenzie di rating, dirette emanazioni della “mano morta”, dove il conflitto di interessi regna sovrano. Ora, assistiamo ai danni sui mercati fatti proprio dai giudizi, spesso interessati, forniti da queste società (spesso però conosciuti in anticipo dai grandi fondi speculativi).
Miliardi di dollari si spostano così nelle “tasche giuste” del mondo capitalistico, costringendo i governi dei paesi “bocciati” ad approntare manovre draconiane, piani di rientro dai deficit con “lacrime e sangue” per lavoratori, pensionati, giovani, donne e piccole aziende. La Grecia è, in questo senso, il laboratorio che farà scuola nel prossimo futuro ravvicinato per il resto di altri paesi europei: Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia. Ma anche Londra non se la ride! La capitale europea dei mercati finanziari, seconda solo a Wall Street, è l’altro caso da laboratorio di questa deriva dovuta alla “mano morta”. Se la Grecia ha fatto il passo più lungo della gamba, truccando i conti pubblici (responsabilità del governo di destra dei conservatori di Karamanlis), pur di entrare e restare nell’Euro ( colpevoli i grandi “lord protettori” dell’UE, Francia e Germania!), pagando oggi un pegno esorbitante; la Gran Bretagna, d’altra parte, si trova ad affrontare in una decadenza cronica del sistema industriale, la crisi del suo sistema finanziario e immobiliare, senza per altro avere una prospettiva politica concorrenziale. Le elezioni appena concluse hanno ratificato uno stato d’impasse che deve far riflettere: laburisti (al governo da oltre 17 anni), conservatori e liberaldemocratici non hanno “ricette” economiche e sociali realmente differenti tra loro: non hanno saputo offrire sul “mercato elettorale” prodotti alternativi, ma solo programmi fotocopia con quale lieve coloritura neo-liberista, pressati dalla terrore per l’elevato debito pubblico, il deficit di bilancio in continua espansione, la disoccupazione crescente, l’esosità del welfare state.
Ma cos’è questa “mano morta” che sembra decidere dei destini dei nostri governi e delle disgrazie delle masse popolari? Sono gli ambienti più ristretti del capitalismo internazionale, che orami detiene in mano i grandi mezzi di comunicazione, le TLC, e che ha interessi spalmati sui fondi d’investimento, le agenzie di rating e le banche d’affari. Sta qui il loro potere devastante! Dai loro consigli di amministrazione e dai loro panel di consulenti spesso escono i “civil servant” che poi operano ai vertici delle istituzioni di controllo e garanzia su banche, borse, ministeri economici. Questo intreccio perverso segna l’acme dell’era capitalistica matura e ne segna la sua decadenza. Questa “mano morta” con i massmedia punta su questo o quel leader politico, su questa o quella coalizione di partito, pur di bloccare l’evoluzione riformista e progressista nelle competizioni elettorali. Murdoch ha fatto la fortuna del laburista Blair e in queste elezioni britanniche ha cercato di alzare lo share elettorale del conservatore Cameron e dello stesso liberaldemocratico Clegg. Ma ha anche osteggiato la democratica Hillary Clinton contro Obama, favorendo alla fine i repubblicani di McCain, per poi, una volta eletto Obama, favorendone le posizioni più realistiche (finanziamento pubblico delle banche in crisi) e osteggiandone quelle riformatrici, come sulla legge sulla sanità pubblica.
Questa “mano morta”, come la descrisse il padre del liberismo capitalistico Smith, agisce ora come il mitico Re Crono che divorava i suoi figli appena generati dalla dea sorella Rea: capitalismo e mercato iperliberista si sono finora sposati incestuosamente con i governi conservatori e quelli tiepidamente riformisti. Ma la voracità del sistema economico-finanziario sta pian piano divorando i governi figli e figliastri. In questa coazione all’autodistruzione, al momento, a rimetterci sono gli stati e le masse popolari; ma anche i concetti stessi di democrazia e di sovranità. Le libertà fondamentali sono in pericolo! E non si vede all’orizzonte un progetto politico, forze sociali e movimenti politici in grado di differenziarsi dalla “palude ideale” nella quale affondano partiti di destra e di sinistra in Europa. E l’Italia deve temere il peso di questa “mano morta” nei prossimi mesi, perché i suoi conti pubblici non sono a posto e nessuna ricetta per lo sviluppo è stata approntata dal governo Berlusconi/Tremonti dal 2008 ad oggi.
Stiamo attraversando una deriva democratica, ma anche una crisi che da economico-finanziaria si trasformerà in sociale. Berlusconi non è più amato dal club internazionale dell’alta finanza e dei padroni dei massmedia. Il suo esempio autoctono, ruspante, tipicamente italico, ha messo radici nell’Est Europa, ma alla lunga non serve a rinnovare i sistemi messi in atto dalla “mano morta” del capitalismo. Ecco allora che poco importa a Berlusconi l’andamento dei conti pubblici, se non per fornire posizioni ufficiali da spendere davanti ai teleschermi. Ecco perché sarebbe fondamentale che le forze di opposizione chiedessero una verifica “terza”, imparziale, da parte di una “commissione speciale” formata da tecnici dell’OCSE, del FMI, della BCE e dell’Eurostat, per esaminare a fondo l’andamento dei conti pubblici italiani, per non fare la fine della Grecia.Chi si ricorda più del “tesoretto” del governo Prodi/Padoa Schioppa? Se allora i conti erano in ordine e c’erano miliardi di euro da poter spendere a favore delle classi sociali meno agiate, lavoratori e pensionati, che fine hanno fatto dunque quei soldi? E perché nel giro di neppure due anni i “lanzichenecchi” del Nord Italia, dalla Lega al PDL, hanno bruciato quel vantaggio, pur in presenza di una crisi che, comunque, ha colpito tutti i paesi concorrenti del G8 e del G20?
Avevamo preannunciato, il 13 aprile scorso, nell’editoriale “Economia. La stangata fiscale segreta di Berlusconi/Tremonti” che ormai si stava preparando una manovra di “aggiustamento” straordinaria da “lacrime e sangue”. Le parche smentite governative si stanno ora disvelando per ammettere che comunque una manovra andrà fatta, prima di quella da 25 miliardi di euro prevista per il 2011 e il 2012. Questa misura fiscale si dovrebbe basare, lo ricordiamo, su tre linee: Riscadenzamento dei Bond del Tesoro (i vari titoli di stato), allungandone le scadenze del doppio rispetto alle attuali; Tassazione sugli immobili sfitti e di proprietà di banche e società finanziarie (esclusa una reintroduzione dell’ICI); Aumento del prelievo fiscale sulle rendite finanziarie speculative, compreso il regime di doppia tassazione per le banche, più alto per quelle “d’affari”. Il tutto con la bonaria assicurazione di impegnarsi da subito a riformare il sistema fiscale, riducendo a tre le aliquote e passando dal prelievo sulle “persone fisiche” a quello sui consumi e le “cose”: il che avverrà, forse, a fine legislatura, per accattivarsi i voti dei delusi e del grosso “partito degli astensionisti”.
Una stangata, insomma, quella ipotizzata da Berlusconi-Tremonti. Ma entrambi sanno che il nostro paese non potrà reggere al ciclone delle turbolenze finanziarie speculative, né risollevarsi dalla profonda crisi economica, dal crollo produttivo e dal declino sociale, che sta attraversando anche nel 2010 un altro “annus horribilis”, un’ altra Via Crucis per il regime mediatico autocratico. Sempre che “la speculazione nemica” non faccia saltare anche i tempi e i modi studiati dal duo di Arcore Berlusconi/Tremonti, che, potrebbe anche prevedere un “prelievo forzoso” sui depositi bancari e sui titoli di stato, sulla falsariga di quanto fece il governo Amato nel 1992 di fronte alla disastrosa crisi della lira e del bilancio pubblico, eroso da Tangentopoli e dalle “finanze allegre” dei governi craxiani.
*Bankor era lo pseudonimo usato dal governatore di Bankitalia Guido Carli, autore negli anni Settanta su L’Espresso, diretto da Scalfari, di articoli critici sulla finanza pubblica e il sistema economico italiano. Viene ripescato per tutelare l’identità di alcuni operatori finanziari