di Bankor
La speculazione, si sa, è come il vento: cresce impetuosamente, colpisce indistintamente, si placa per un po’ e poi riprende la sua corsa fino ad esaurirsi. Dietro di sé lascia macerie e morti. E’ impalpabile, senza volto, può venire da qualsiasi direzione. A volte lo si definisce “amico”, altre volte “minaccioso e furioso”. Il vento della speculazione, che nelle settimane scorse ha colpito i mercati finanziari europei e ridotto il peso dell’Euro, si è come d’incanto placato il lunedì di questo inizio settimana con i grandi guadagni nelle borse mondiali, per poi ricominciare a riprendere fiato già il giorno dopo. Si chiamano in gergo “prese di beneficio”. Lunedì compro al meglio, dopo i ribassi delle settimane scorse, e martedì, visto il boom dei titoli “gonfiati”, rivendo a prezzi superiori: questa è la speculazione “mordi e fuggi”! Chi sono gli speculatori che guadagnano sulla crisi economica mondiale e sul disastroso stato di salute dei conti pubblici degli stati più deboli dell’Eurozona (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia)? E si fermeranno dopo il Piano dell’UE, varato nel weekend e strombazzato ai quattro venti come salvifico e, appunto, lo “Scudo” più efficace contro la speculazione?
Certo, qualcosa quell’accordo preso in extremis dai 27 paesi dell’UE a Bruxelles, con il mal di pancia della cancelliere tedesca Angela Merkel (“punita” subito dopo dagli elettori nel maggior lander), con il distinguo suicida della Gran Bretagna ( che a breve dovrà fare i conti proprio con la speculazione e non saprà a quale “santo” rivolgersi!), con le pressanti telefonate del presidente USA, Barack Obama, alla Merkel, al presidente francese Nicolas Sarkozy e agli inglesi, preoccupato anche per i destini finanziari dei mercati americani (il debito USA è tra più alti del mondo, la disoccupazione ha superato il 10%, i titoli di stato sono in mano a cinesi, arabi e altri paesi “emergenti”), qualche effetto lo ha sortito. La BCE, la Banca centrale europea, potrà in fin dei conti prelevare i bond invenduti alle aste e scambiare i propri titoli esteri, facendosi forte anche del “tesoretto” di alcune decine di miliardi dollari in bilancio presso la Commissione Europea. E poi? Quali sono le altre misure “miracolose” contro la speculazione che soffia sotto la brace della crisi finanziaria e dell’Euro?
Le solite raccomandazioni-imposizioni agli stati membri: ridurre il disavanzo dei bilanci pubblici, rientrare nei parametri di Maastricht, tagliare le spese per welfare, sanità e pensioni, abolire gli sprechi della pubblica amministrazione, contenimento dei salari, maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Solo e sempre ricette “draconiane” per colpire le masse popolari, i ceti medi produttivi, per creare il circolo vizioso di deflazione, in attesa che il tempo migliori e che il vento forte della speculazione di plachi. Troppo poco per addolcire la “bestia nera” che divora le ricchezze degli stati, dell’economia reale e delle famiglie! Eppure Obama aveva chiesto un po’ di coraggio agli europei: approntare un piano legislativo per colpire alle radici il conflitto di interessi che sottintende al sistema finanziario, che dalla fine del 2007 ad oggi sta letteralmente sconquassando il mondo capitalistico, senza soluzione di continuità, con alti e bassi, con maxi-indebitamenti degli stati e utili stratosferici per banche e istituzioni finanziarie, dopo i momentanei crac.
E’ ancora lecito per il mercato iperliberista in declino consentire a società di Rating, connesse a Banche d’affari e a Fondi d’investimento, stilare classifiche astruse sui conti pubblici e sulle società quotate in borsa, speculando a loro volta sui i titoli di stato e sulle azioni e i loro derivati? Questo enorme conflitto di interessi, che si intreccia con i pacchetti azionari di società dei media mondiali e delle Reti WEB (CNBC, Bloomberg, CNN, DowJones, Reuters, Wall Street Journal, Financial Times, Economist, FOX e SKY TV), è ancora sopportabile per il futuro stesso dei sistemi democratici? Per l’amministrazione Obama sembrerebbe di no! Ma per i governanti dell’UE ( tutti “gattini ciechi e sordi” nati da una gatta “presciolosa”, il troppo rapido allargamento dell’Unione e dell’Eurozona) questo conflitto neppure si intravede! E come stupirsi, poi, di questa cecità, quando si lascia imperare in Italia il conflitto di interessi di Berlusconi, così da prolungare la sua azione di contagio in altri paesi neo-promossi dall’Est europeo dentro l’Unione?
Intanto, i media stanno preparando il terreno sulla base di alcune “parole d’ordine”: la speculazione avanza sui mercati perché esistono stati con i conti in disordine; le nazioni con i bilanci in crisi devono operare subito manovre fiscali aggiuntive; le crisi economiche finanziarie si affrontano con tagli e “lacrime e sangue” per i lavoratori finora “privilegiati”; gli stipendi vanno bloccati e ridotti, l’età pensionabile allungata nel tempo; i sacrifici di oggi sono per salvaguardare il futuro delle giovani generazioni e fermare la bancarotta della “patria”; perdere oggi un po’ di autonomia nazionale nelle decisioni sulla finanza pubblica è fondamentale per ritrovarsi domani di nuovo nel gruppo dei “virtuosi”. Mentre i profitti di banche, assicurazioni e istituti finanziari macinano utili e investono nel mercato immobiliare, “spalmando” i loro interessi azionari sulle maggiori imprese industriali in crisi, bisognose di ricapitalizzazioni. Il tenore di vita dei lavoratori, dei pensionati e delle giovani generazioni si abbassa sempre più e questo non induce a maggiore competitività sul costo del lavoro e sulla produttività, come avveniva un tempo.
Il rischio è che questa cura da cavallo, senza colpire alle origini le cause della speculazione, della “mano morta” del capitalismo iper-liberista, generi violenza, contrasti sociali e una instabilità politica senza precedenti, come hanno previsto a fine 2009 dossier speciali del Fondo Monetario, dell’ONU, dell’Organizzazione internazionale del lavoro, la Direzione dei servizi segreti interni degli Usa e l’Unità di intelligence del settimanale economico inglese Economist. Allarmi per ora caduti nel vuoto, mentre il tenore di vita dei lavoratori si assottiglia!
Secondo l’ultimissimo Rapporto OCSE “Taxing Wages”, i salari netti italiani sono mediamente inferiori non solo a Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito, ma anche agli stipendi di altri Paesi europei che sembrerebbero in maggiori difficoltà economiche, come Grecia, Irlanda e Spagna: il 16,5% rispetto alla media. I salari italiani risultano però più alti rispetto a quelli dei portoghesi, polacchi, ungheresi. In coda alla classifica i messicani. Il salario annuale netto del lavoratore medio, single senza carichi familiari, è in Italia di 22.027 dollari, contro i 26.395 della media Ocse, i 28.454 della Ue a 15. Se si guarda alla classifica del guadagno medio di un lavoratore con famiglia, unico percettore di reddito con a carico coniuge e due figli, il reddito netto degli italiani sale a 26.470 euro ma resta inchiodato, anche in questo caso, al 23° posto della classifica Ocse.
Ad aggravare questa situazione retributiva si aggiunge anche il livello estremamente elevato della pressione fiscale per l’Italia. Il peso di tasse e contributi sui salari, il cosiddetto cuneo fiscale che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore, nel 2009 è stato in Italia del 46,5%, rileva ancora il rapporto Ocse. Nella classifica dei maggiori 30 Paesi, l'Italia è al sesto posto per peso fiscale sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). Il peso di tasse e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile dal 2008 al 2009, In Italia hanno un impatto rilevante sulla differenza tra salario lordo e netto anche i cosiddetti "pagamenti obbligatori non fiscali", rappresentati dal TFR, che aumentano la pressione di un ulteriore 3%. Aggiungendo questa variabile, il prelievo obbligatorio sui salari in Italia sale oltre il 49%, portando il Paese a superare la Francia in termini di quota di imposizione. Ma in Francia, come in altri paesi del nord Europa, il welfare state è molto esteso e le retribuzioni medie sono superiori del 23% e oltre rispetto all’Italia!
Intanto, il Fondo Monetario ha diffuso le previsioni per il 2011, in cui si afferma che l’Italia «emergerà dalla recessione più lentamente» rispetto ad altri grandi Paesi dell’Eurozona, come Francia e Germania. Il Pil italiano salirà dell’1,2% (+0,8% nel 2010) contro l’1,8% di quello francese e l’1,7% di quello tedesco. Quanto all’Europa, il Fondo rileva che è ormai allarmante la situazione dei debiti pubblici di molti Paesi. «Dagli indicatori di sostenibilità», sottolinea il rapporto, «stanno giungendo segnali preoccupanti». E anche se «stabilizzare il debito pubblico nel breve termine non è fattibile nè desiderabile, dato il rischio di una ricaduta nella recessione», conclude il Fondo, i governi «devono impegnarsi in modo credibile a risanare i propri bilanci». Il messaggio, insomma, è chiaro: sacrifici per chi vive di stipendi e paga le tasse, contrazione dei consumi, riduzione degli interventi sociali da parte degli stati, maggiori liberalizzazioni nel mercato del lavoro e delle retribuzioni. I
l liberismo, ammantato da monetarismo, che tanti danni ha provocato sia agli inizi degli anni Novanta in Europa ( nel ’92 Gran Bretagna e Italia furono sull’orlo del fallimento per la speculazione sulle monete), sia alla fine del secolo scorso per le cosiddette “Tigri asiatiche”, e ora a livello planetario con lo scandalo dei “sub-primes”, ha ancora mano libera. La riforma delle istituzioni pubbliche di vigilanza internazionali, che avrebbero dovuto prendere le redini di un processo di controllo del sistema bancario-finanziario e rating, è ferma al palo. L’Unione Europea stenta a cambiare rotta, anche se dagli Stati Uniti arrivano forti pressioni in questa direzione, che ripropongono l’ennesima revisione del capitalismo. Certo, se poi ci si mettono anche i media a decantare le lodi del Berlusconi risolutore, di colui che rimette in fila i potenti d’Europa e fa da tramite con Obama per organizzare lo Scudo fiscale di aiuti, per risollevare le sorti degli stati europei più indebitati, allora siamo proprio arrivati al capolinea!
Anziché osannare il “portatore sano di conflitti di interessi”, i massmedia dovrebbero domandarsi: dove sono andati a finire i progetti per rilanciare l’economia, sul tipo della “green economy” lanciata da Obama; che fine faranno i milioni e milioni di giovani laureati europei senza futuro occupazionale; cosa faranno quelle masse sterminate di lavoratori italiani, greci, spagnoli, portoghesi, irlandesi, ma anche inglesi e francesi, una volta terminati i soldi dei sussidi per cassa integrazione e disoccupazione; chi e come pagherà i servizi di assistenza e sanità, tagliati dalla spesa pubblica; come rilanciare i consumi già depressi da due anni; come affrontare le tensioni sociali?
Intanto, sul Titanic della finanza internazionale si brinda e si balla, fino allo scontro col prossimo iceberg della recessione mondiale. Anche allora i passeggeri della prima classe si sentivano sicuri e potenti, rispetto a quelli delle “classi inferiori”: ma non avevano fatto i conti con le scialuppe, troppo poche per tutti, e con i “risparmi” dell’armatore sulla qualità dello scafo e delle strutture portanti della nave! E’ quanto non ha fatto l’Europa dei 27 con l’ottusità dei governanti e la “mano morta” del capitalismo, che ha dettato ai tecnocrati della BCE l’ennesima ricetta iper-liberista da “lacrime e sangue”, che porterà il vecchio continente alla deriva verso l’iceberg della crisi globale del sistema.
Senza una visione coraggiosa, che coniughi risanamento dei conti con dinamiche espansive dell’economia reale, finanziando progetti industriali innovativi, grandi opere sociali, infrastrutture a basso impatto ambientale, “reti” intelligenti per acqua, elettricità e telecomunicazioni a basso costo ed alta redditività, risorse ingenti per cultura, arte e comunicazione; senza sviluppare questi nuovi settori della società e, quindi, creando occupazione o reinserendo chi l’ha perso, e senza un’armonizzazione europea dell’IVA, delle tassazioni su salari e rendite finanziarie, qualsiasi Piano fiscale di rientro dai debiti sarà solo come un’aspirina che attenua la febbre del malato grave, lo debilita, ma certo non cura la malattia. Come dire: “Peccato! L’operazione è riuscita, ma il paziente è morto!”.