di Gianni Rossi
Ci stiamo abituando da anni ormai a subire la censura informativa da parte del massimo mezzo di “distrazione di massa”, che è la Televisione, pubblica o privata che sia, di sinistra, di centro o di destra.Come Articolo 21 abbiamo messo in piedi un Osservatorio TG che puntualmente ogni giorno fa le “pulci” all’informazione negata in TV. Ma non basta! Perché il metodo di nascondere, occultare, minimizzare, “colorare” le notizie, è ormai invalso su tutti i canali.
E così la gente, l’opinione pubblica, soprattutto le giovani generazioni, ma non solo, come ha splendidamente argomentato il professor Stefano Rodotà su Repubblica, si informano sui siti, sui blog, sui quotidiani e le TV online, non solo italiani ma soprattutto esteri. Si cerca, insomma, la libertà ad essere informati. Qualche “piccolo” esempio recentissimo ci sentiamo di proporlo anche noi.
Lunedì scorso, i risultati delle elezioni amministrative a Bolzano e in centinaia di comuni piccoli e grandi del Trentino Alto Adige hanno sentenziato la vittoria schiacciante del centrosinistra insieme allo storico partito altoatesino SVP. Di contro c’è stata la sconfitta della destra sia oltranzista separatista sia di quella PDL, che a sua volta si è anche spaccata in due dandosele di brutto (i sostenitori delle due fazioni berlusconiane si sono anche picchiati!). E’ da tempo che nella regione a statuto speciale la politica del centrosinistra opera come in un “laboratorio” di nuove alleanze, che potrebbero anche essere “esportate” al resto del paese.
Nessun cenno sui TG nazionali!
Da poche settimane si stanno raccogliendo le firme per il Referendum contro la legge che privatizza la distribuzione dell’acqua pubblica. Gli organizzatori sono quasi arrivati già alle 500 mila firme nel silenzio “assordante” dei media radiotelevisivi. E’ più che altro una battaglia per i diritti civili di “nuova generazione” che si combatte sulla Rete, attraverso i “passaparola”, i telefoni cellulari, la stampa cosiddetta alternativa e locale.
Nessun cenno sui TG nazionali!
C’è un’ agitazione consapevole e assai determinata da parte di tutti gli operatori delle fondazioni musicali italiane: cantanti, coristi, musicisti, ballerini si sono riuniti lunedì scorso al Teatro dell’opera di Roma per protestare contro il decreto Bondi, firmato dopo una breve resistenza da parte del Presidente della Repubblica. C’è stato anche un “colorito” diverbio tra la grande ètoile della danza mondiale, Carla Fracci, e il sindaco di destra di Roma, Gianni Alemanno, nonché presidente della fondazione del Teatro dell’Opera e sostenitore del decreto “ammazza cultura”. Questo martedì sono scesi in sciopero generale nel tentativo estremo di far modificare il Decreto Bondi se non bocciarlo. Con questa operazione di “tagli e frattaglie” il governo Berlusconi rischia di uccidere una delle fonti di introito della cultura, dell’arte e della musica, che ci vengono invidiate nel mondo!
Nessun cenno sui TG nazionali!
Da un mese, più o meno, siamo inondati di immagini spesso cruenti e drammatiche degli scontri tra le “Camicie rosse” thailandesi e le truppe governative per le strade di Bangkok. Decine e decine di morti, centinaia di feriti, palazzi e auto in fiamme, l’attività politica ed economica di una delle “Tigri asiatiche” messa in ginocchio. Sembra che i “buoni” siano i rivoltosi, espressione del malcontento sociale delle etnie del Nord del paese, dei contadini e dei ceti più poveri; mentre i “cattivi” sono quelli al governo, espressione del Partito democratico, di centrosinistra, spalleggiati dai militari e dalla “mano occulta” della famiglia reale, che difenderebbero i ceti sociali più agiati, i thailandesi del commercio e della capitale. Ma è proprio così? Chi sta dietro alle “camicie rosse”?
Non è dato saperlo dalle corrispondenze, anche perché si scoprirebbe molto semplicemente che questi moti rivoluzionari rappresentano la nuova lotta di classe e di potere tra chi vive e lavora nei grandi centri urbani dell’Oriente sempre più produttivo e, dall’altra parte, vive miseramente nelle immense campagne, foreste, tra le montagne o sulle coste, spesso alla mercè di soprusi e schiavizzazioni da parte di “nuovi ricchi” predatori sociali. Democrazia urbana contro dittatura del popolo delle campagne, allora? No! Almeno per la Thailandia, dove ad organizzare le Camicie rosse è il leader spodestato dai militari negli anni scorsi Thaksin Shinawatra, capo del partito populista che raggruppa questi oppositori, ma conosciuto in patria e nell’Oriente asiatico come grande imprenditore di Telecomunicazioni, Televisioni e immobiliarista.
E’ l’uomo più ricco del suo paese, ha vissuto negli ultimi anni “in esilio” in Gran Bretagna, per qualche tempo si è comprato anche la squadra di calcio del Manchester City, e, raggiunto da mandati di cattura e da processi per frode e altri intrallazzi, ha chiesto asilo politico all’estero e ha dovuto sborsare centinaia di milioni di euro per non andare dritto dritto in galera, una volta ripresentatosi a Bangkok. Il suo “caso politico” ha messo in allarme i governi delle grandi potenze asiatiche, che, di fatto sostengono il governo thailandese contro questo fenomeno. Forse la “prudenza” ad accostare le rivoluzionarie Camicie rosse, “paladini” della democrazia, a questo “portatore sano di conflitti di interesse” sta producendo qualche “strabismo mediatico” nelle corrispondenze. Meglio non provocare nei sudditi italiani di Sua Emittenza qualche “distrazione di massa”!
Nessun cenno sui Tg nazionali!
E’ questa l’informazione che dovrebbe aiutare un popolo, una nazione democratica tra le più sviluppate al mondo, membro ad honorem del G8, a vigilare sui propri governanti e ad esprimere liberamente i propri voti nelle libere elezioni? E in uno stato di crisi economica e sociale così forte, il ruolo di servizio dei massmedia è fondamentale anche per difendere le istituzioni democratiche, con le fabbriche che chiudono, milioni di lavoratori in cassa integrazione, in prepensionamento, milioni di giovani senza prospettive di un lavoro certo, decine e decine di piccoli imprenditori che si suicidano, lavoratori e lavoratrici che si lasciano morire o che diventano protagonisti di drammatici casi di cronaca nera. La tensione sociale sta crescendo, i gesti di protesta eclatanti potrebbero trasformarsi in qualcosa di incontrollabile. C’è quindi necessità di un’informazione che abbia il coraggio di documentare quello che sta succedendo in Italia e nel resto del mondo. C’è la necessità di uno scatto di orgoglio dei giornalisti per riprendere le fila del “racconto storico” della realtà che ci circonda. Dietro la censura imperante, c’è solo l’abisso delle nostre coscienze e delle libertà!