di Gianni Rossi
Alla FIAT di Pomigliano d’Arco la “pistola fumante” del Referendum ha sancito il suo verdetto: 62% SI e 38% Contrari (36,6% NO ai quali si aggiungono schede nulle e bianche). Ha perso la democrazia di base dei lavoratori, ma hanno perso anche l’amministratore delegato Marchionne che sul “plebiscito” al “prendere o lasciare” aveva basato la sua linea di imprenditoria “alla cinese”, insieme a lui Berlusconi e i suoi corifei di estrazione socialista: il ministro del Welfare, Sacconi, dell’economia, Tremonti, e della funziona pubblica, Brunetta. Al “Trio Lescano” dai garofani rosso-antico non pareva vero riuscire a piegare la FIOM e con essa l’intera CGIL, il vero obiettivo della loro trasformazione genetica politica, da quando con malcelato odio e spirito di vendetta si sono gettati nelle braccia del Sultano di Arcore.
E con la CGIL, ovviamente, andava colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori, che Sacconi e Brunetta vedono come il fumo negli occhi. Che strano destino questo degli ex-socialisti ( al Trio Lescano vanno aggiunti anche il ministro degli esteri Frattini e il capogruppo alla Camera Cicchitto)! Sembrano gli epigoni di quei socialisti rivoluzionari, quegli anarco-sindacalisti, che delusi dalle lotte operaie dei primi anni Venti, guidate dal neonato PCI e dalla CGIL, si affrettarono a ingrossare le fila dei Fasci combattenti dell’ex-leader socialista, nonché ex-direttore dell’Avanti, organo del PSI, Benito Mussolini.
Non siamo a quei tempi né la storia si ripete. Ma è nei meandri di una certa visione del socialismo individualista, del “conservatorismo compassionevole”, dell’odio contro tutto ciò che sa di “comunismo scientifico”, di marxismo, che vanno ritrovate le origini di questa mutazione genetica, che ha spesso portato esponenti socialisti a diventare le colonne portanti dell’iperliberismo e i più fedeli alleati dell’uomo solo al comando: Silvio Berlusconi.
Di fronte alla prospettiva dura e inumana di accettare un contratto anticostituzionale e “cinese” (altro che polacco, visto che comunque gli operai delle fabbriche FIAT in Polonia sono tutelati dagli ordinamenti dell’Unione Europea!), oppure di essere tutti licenziati, gli operai della FIAT di Pomigliano hanno dimostrato un forte senso di attaccamento alle regole democratiche e alla “loro fabbrica”: al 95% sono andati a votare, ma solo 6 su 4 hanno detto sì al Referendum capestro.
Per Marchionne questo risultato è senz’altro negativo, rispetto alle sue aspettative e alle sprezzanti parole dette contro i sindacati e gli stessi operai. Vorremmo ricordare che neppure l’arcigno Cesare Romiti, l’uomo che si oppose alla CGIL di Lama e al PCI di Berlinguer, che organizzò la marcia dei 40 mila tra quadri, impiegati e dirigenti nel 1980 per stroncare la protesta operaia di Mirafiori, neppure lui che rilanciò la FIAT con pugno di ferro (dopo aver “cacciato” l’ingegner De Benedetti, troppo legato alla “finanza creativa” e ritenuto “troppo di sinistra”) ebbe mai un comportamento così protervo e sprezzante nei confronti dei lavoratori e dei suoi rappresentanti sindacali.
Altri tempi, altre idee, altri uomini!
Fatto sta che ora la FIAT o riapre la trattativa anche con la FIOM-CGIL e accetta di modificare le clausole anticostituzionali del contratto per investire i 700 milioni di euro e produrre la nuova Panda, oppure imbocca una strada senza via di uscita: quella della chiusura dello stabilimento con la riapertura “alla cinese” di una Nuova FIAT Pomigliano e, di fatto, innescare le tensioni sociali verso un “autunno caldo” già in piena estate.
E’ proprio questo, quello che vuole la “punta di diamante” del capitalismo industriale italiano?
Mortificare gli operai, stravolgere le regole di contratti appena firmati (che strano, però, quando quello dei metalmeccanici fu siglato, senza l’assenso della FIOM, gli altri sindacati negarono il Referendum!), fare carta straccia dello Statuto dei lavoratori e della Costituzione e dettare nuove regole in materia di organizzazione industriale e di tutele, non porta altro che alla conflittualità permanente, all’esasperazione sia dei garantiti (lavoratori a tempo indeterminato, cassaintegrati) sia dei cosiddetti “flessibili” (gli stagionali, quelli a contratto determinato, i giovani in cerca di prima occupazione).
Già la FIAT ha deciso di spostare in Polonia le linee di produzione di Termini Imerese e, di fatto, compensare la fabbrica polacca dello spostamento a Pomigliano della linea Panda. A Pomigliano non si farà, stando all’accordo, nessuna ricerca e innovazione di prodotto, come nel passato nobile di quella fabbrica, che andrebbe ricordato allo “smemorato” Marchionne: la Panda, in effetti, è il prodotto che nella gamma FIAT (comprese Lancia e Alfa Romeo) è a minor tasso di innovazione tecnologica e lo si porta in uno stabilimento che, storicamente, è stato all'avanguardia per la parte motoristica con le invenzioni del motore boxer, del primo turbo per vetture diesel, del common rail, che anche se non prodotto a Pomigliano era progettato dalla vicina Elasis.
Insomma, i lavoratori del SUD, anche se Pomigliano resta, perdono molto in occupazione e diritti (che fine hanno fatto le tante “mirabolanti offerte” per Termini Imerese, strombazzate dall’ex-ministro Scajola?); mentre quelli polacchi avranno le giuste compensazioni. La FIAT si concentrerà per la “green economy” negli stabilimenti americani della Chrysler, grazie agli aiuti di stato elargiti da Obama a tutti i settori industriali per uscire dalla crisi. E qui in Italia resterà una produzione residuale: la “casa di campagna” della famiglia Agnelli e dei suoi nuovi amministratori, tutti un po’ più internazionali, ma certo tutti “smemorati” dei 50 anni di aiuti di stato, di imposizioni politiche, di “governi amici”, di lotte e violenze, di dirigenti gambizzati e operai-sindacalisti della FIOM uccisi, come Guido Rossa, dalla furia omicida delle Brigate Rosse.
“Quello che sta bene alla FIAT, va bene al paese”, recitava con orgoglio l’avvocato Gianni Agnelli, nel bene e nel male. Ma le regole venivano attuate e c’era il rispetto reciproco. Ora, nel regime mediatico autocratico, tutto sembra venga giocato nello scenario virtuale di dichiarazioni roboanti, di proposte ad effetto, di provocazioni politiche.
Che strana stagione questa, fatta di diritti negati, stravolti, calpestati!
Il Sultano Berlusconi nell’autunno del suo regime usa tutti i marchingegni delle regole parlamentari e delle leggi, per svuotare la Carta Costituzionale ed asservire la volontà popolare al suo disegno da “golpista bianco”. Laddove non arriva con la sua maggioranza d’acciaio, entra a piedi uniti con i suoi tanti conflitti di interesse (RAI, banche, assicurazioni, pubblicità, cinema, TLC, energia).
Il caso dello stabilimento FIAT di Pomigliano d’Arco è di per sé quindi paradigmatico.
Con l’opposizione che balbetta, anzi si prodiga per far accettare “l’amaro calice” del contratto “cinese” ai lavoratori, e i sindacati divisi, Berlusconi ha gioco facile attraverso tutti i suoi media TV e con la “complicità intellettuale” della libera stampa, anche se contraria su altri temi, a far passare il pensiero unico di questo vetero-capitalismo familista italiano, assistito dalle sovvenzioni pubbliche e dedito alle speculazioni finanziarie, anziché agli investimenti e alla ricerca, alla continua richiesta di nuovi condoni ed esenzioni fiscali, tutto preso dalle delocalizzazioni e dai giochi di potere politico.
Ma dove sono finiti i “capitani coraggiosi” e “progressiti”: De Benedetti, Montezemolo, Della Vallle, lo stesso Marchionne, prima di Pomigliano, e la Marcegaglia (da giovane imprenditrice era una fan di Prodi e ora è al servizio di Berlusconi), i Colaninno, i Merloni e i Pininfarina, gli Abete?
E’ la fine di un’era: il capitalismo familistico italiano nella crisi più nera del sistema capitalistico iperliberista si è ridotto orami solo a chiedere protezioni, aiuti diretti e indiretti, prepensionamenti, delocalizzazioni, casse integrazioni a gogò.
Servirebbe, in realtà, un Piano di Rinascita e Sviluppo industriale, che poggi su energie rinnovabili, su nuove tecnologie e brevetti, quindi ricerca ad alto livello: tutto questo crea nuova occupazione e fa uscire l’Italia dalla Depressione.
L’auto, dicono gli esperti, è un prodotto finito, che non fa guadagnare molto ed è troppo costoso all’origine.
E se provassimo a modificare nel profondo il concetto di mobilità? Più trasporti pubblici, non inquinanti, su rotaia e filobus e, dove ci sono i fiumi, anche fluviale, e meno auto nelle città? Più investimenti per ridurre gli attuali sistemi di trazione a motore, scegliendo energie ecocompatibili, come l’idrogeno-acqua, e l’elettrico fotovoltaico con cellule all’idrogeno?
Se seguissimo, insomma, l’esempio degli Stati Uniti, senza delocalizzare lì i nostri centri di ricerca e sviluppo, oltre all’anima “finanziaria” delle nostre grandi e medie industrie?
Gli operai di Pomigliano con questo voto hanno dato un segnale forte alla FIAT e al paese intero. Tocca a noi, alla libera stampa, agli intellettuali, ai partiti di opposizione, ai movimenti della società civile intercettare questi segnali e far ripartire la “creatività dell’intellettuale collettivo”, come diceva Gramsci, per far uscire il nostro paese dal regime e dalla più grave crisi economica e sociale dalla nascita della Repubblica.