La lettura del testo di riforma del settore radiotelevisivo spagnolo, elaborato dal gruppo di lavoro insediato dal governo Zapatero, offre ricchi spunti di riflessione. Diciamo subito che ci sono luci ed ombre, e non sarebbe saggio abbandonarsi ad unâ??acritica elegia del progetto solo perché avversato palesemente dalla propagine spagnola di Mediaset.
La riforma proposta sembra,  complessivamente, nascere da un  riflesso di autodifesa del paese.Il Governo Zapatero che anche in altri settori  tende a rivalutare una forte identità nazionale, vuole reagire ad un processo di pericolosa modernizzazione passiva del paese dal punto comunicativo. Il mercato televisivo spagnolo è infatti dominato dai due gruppi privati ( Telecinco e Antenna 3) entrambi guidati da un dominus estero, e nella fattispecie italiano.Rispettivamente si tratta appunto di Mediaste per Telecinco e il gruppo De Agostini, nella persona di Maurizio Carlotti, ex Amministratore delegato di Fininvest.Una situazione   a dir poco allarmante, soprattutto se, come è il caso spagnolo, i due gruppi italiani non offrono al paese iberico il meglio della nostra cultura. La Spagna infatti è allagata da quella che chiamano  Telebasura, ossia il peggio del trash televisivo, sparso a piene mani dalle due emittenti commerciali. Che, va detto, hanno surclassato i canali pubblici di TVE. La reazione di Madrid è quella di rovesciare il teorema Gasparri: più abbondanza di contenuti e più dinamismo degli apparati sono la conseguenza e non la causa del governo del sistema da parte dellâ??interesse pubblico. Concretamente  si punta a più qualità dei linguaggi ma anche ad una maggiore competitività del prodotto nazionale nel suo insieme in vista della transizione al digitale: questi gli obbiettivi della riforma proposta a Zapatero.Fra le luci da segnalare una costante tensione istituzionale del progetto che tramite una combinazione di maggioranze qualificate sottrae la TV alle cupidigie di qualsiasi esecutivo.Secondo aspetto positivo la volontà di stroncare qualsiasi imperialismo televisivo di gruppi privati, nazionali o esterni, con una normativa che  usa il pubblico  come elemento di equilibrio di un mercato senza oligopoli, a cominciare  dalle limitazioni sul mercato pubblicitario. Efficacie la strategia che vede la TV come uno dei principali fattori di competizione internazionale del paese, con un impulso forte alle proiezioni estere della produzione spagnola, data anche il vantaggio linguistico  di cui gode il paese .Così come fortemente propulsiva è lâ??impostazione da sistema paese che permea lâ??intero progetto che  accosta il riassetto di TVE ( due canali in chiaro e accelerazione del processo di digitalizzazione) con la riorganizzazione di EFE , lâ??agenzia nazionale dâ??informazione spagnola.
Fra i punti oscuri da segnalare una certa ansia pedagogica che attraversa il piano di riorganizzazione editoriale di TVE, con la pre costituzione di linee editoriali per i canali televisivi e radiofonici. Unâ??ansia che ricorda, in qualche modo la riforma Rai del 76. Dove tra lâ??altro riemerge  la logica protezionistica delle quote di programmi  da preservare a tutti i costi.Infine câ??eâ?? da rilevare, ma questo non si può mettere sul conto solo del governo spagnolo, continua ad essere assente unâ??ambizione europea, continentale, dove ricostruire linee di congiunzione fra  i sistemi dei vari paqesi dellâ??Unione.Lo facciamo sui pomodori, pagandolo amaramente fra lâ??altro, mentre la Tv continua ad essere riserva di caccia del peggior isolazionismo. Comunque fatti i conti siamo in presenza di un qualcosa che ha tutte le esembianze di una legge di uno stato moderno.Dove obbiettivi e mezzi sono trasparenti e funzionali, dove lâ??equilibrio fra pluralismo e modernità non eâ?? uno slogan. Non è davvero poco.