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Articolo 21 - Editoriali
La riforma rai? Prima le dimìssioni di Masi
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di Roberto Cuillo*

 
Stefano Balassone, nell'articolo di ieri pubblicato da Europa, offre notevoli spunti di riflessione.
Cominciamo dalla proposta del PD. In una riunione svoltasi alcuni giorni fa del Forum per la riforma della Rai, Carlo Rognoni ci ha presentato una bozza di riforma del governo della Rai, imperniata sulla figura di un Amministratore Delegato con pieni poteri, eletto da un consiglio d'amministrazione composto da quattro membri eletti dalla commissione parlamentare di vigilanza, quattro da Regioni; Comuni e Province, più, ovviamente, il nuovo AD della Rai.
La proposta non è nuova ed è di buon senso. Ha un grosso limite però: si scontra con la dura realtà del sistema televisivo italiano e con quello che è successo in Rai dall'avvento di Masi in poi.
Proprio l'altro ieri, i due consiglieri Rai del PD hanno fatto fuoco e fiamme per bloccare una “propostina” del Dg Masi: nominare alla presidenza della Sipra (la consociata Rai che raccoglie la pubblicità per conto dell'azienda) il prof. Giuliano Urbani, fondatore di Forza Italia, consigliere di Berlusconi, ministro di Berlusconi, consigliere Rai di Berlusconi. Quindi amico anche di quell'altro Berlusconi, proprietario di Publitalia, azienda di raccolta della pubblicità per le tv del gruppo Mediaset, la cui proprietà è nota...
Insomma, una volpe a guardia di un pollaio. I consiglieri del PD hanno, per ora, impedito questo scempio. Ma qui è il punto. Come dimostra anche questo ultimo episodio una qualsiasi riforma del governo della Rai non ha senso, se non si va  a tagliare il nodo del conflitto di interessi. Questo male ci affligge da quindici anni ed è ora di cominciare la terapia d'urto per uscirne. Sento l'obiezione a questo argomento: ma così non faremo mai nulla. Veramente, finora, non abbiamo fatto proprio niente per risolvere questo problema, e trovo inaccettabile che ora ci si arrenda per sempre al conflitto d'interessi, come se ormai facesse parte del paesaggio naturale dell'Italia. Perchè la cappa è proprio quella. Andiamo a vedere cosa dice Stefano Balassone: nel suo articolo denuncia la mancanza di una industria dell'audiovisivo in Italia, che non ha avuto, specie nel servizio pubblico, lo sviluppo e il peso che ha avuto in Germania, Francia, Regno Unito etc. E' talmente vero, che  la  Rai ha rinunciato a giocarla questa partita, semplicemente perché qualcuno l'ha lasciata negli spogliatoi, non è stata fatta entrare sul terreno di gioco. Per capire, in Italia, cosa significa competizione e mercato televisivo abbiamo dovuto vedere all'opera Murdoch. Oggi, perdonatemi il paradosso, se c'è qualcuno che fa televisione pubblica (nel senso di qualità e innovazione) è Sky:basta vedere la sua informazione, le sue fiction, il suo modo di raccontare lo sport. Non lo fanno perché sono buoni, ma perché competono, quindi investono su innovazione e qualità per conquistare nuove fette di mercato. Alla Rai tutto ciò è mancato. Del resto, negli ultimi anni, ad eccezione di Claudio Cappon, nessun direttore generale della Rai aveva esperienza e cognizione del “prodotto  televisivo”. E, in questo campo , quasi nulla è casuale.
Mi pare che il PD abbia il dovere di prendere di petto questa situazione, rilanciando una battaglia per il pluralismo televisivo, per la nascita di un vero polo industriale dell'audiovisivo, per questa via riformare la Rai, per farla competere sul mercato con altri soggetti televisivi. Non capisco perché spesso i nostri dirigenti e parlamentari si incaponiscono su strane e bizzarre battaglie quali i compensi dei conduttori nei titoli di coda (ma non sarebbe meglio conoscere il costo globale di una trasmissione? Tanto per vedere il rapporto tra costi e share...), la difesa di singole rubriche televisive, ma non si vede mai una battaglia, politica e parlamentare, che cerchi di disegnare un futuro che si chiama, molto semplicemente, libertà d'impresa, inesistente in Italia, per quanto riguarda la televisione.
Ci aveva provato il disegno di legge Gentiloni che cercava di affrontare il problema in questi termini, ma quella legislatura finì come tutti sanno.
Ora, che siamo all'opposizione, non possiamo accontentarci di qualche lenticchia che ci offre la maggioranza. Abbiamo il diritto, ma anche il dovere, di puntare in alto. Perché questa è una di quelle partite che decide il destino di una nazione: ha ragione Balassone, uno sviluppo libero della industria televisiva può dare molto in termini di crescita e di occupazione.
Ma dobbiamo cominciare con il piede giusto. A partire dalla denuncia del fatto che, in questo momento, si sta compiendo l'opera di distruzione e annichilimento della Rai. Le mosse del direttore generale Rai, Mauro Masi, vanno tutte in questa direzione. Cosa aspettiamo a chiederne le dimissioni?
Voglio fare una proposta al PD: non inseguiamo formule astratte, ancoriamoci alla realtà, convochiamo in modo aperto tutti i soggetti che lavorano e operano nell'audiovisivo, convochiamo una sorta di Stati Generali dell'audiovideo, per scrivere il manifesto della libertà creativa e industriale, affinché quel manifesto, scritto da tutti, diventi la riforma che faremo una volta al governo. La vera riforma della Rai si chiama libertà.
 
* da Europa
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