di Gaetano Alessi
Strano.
Rivedere muri amici, ruvide scolature di gesso che si staccano da pareti gonfie d’acqua. Strana l'Italia immersa in un silenzio spettrale, in una lunga giornata d'estate. Scendendo lo stivale, tra strade assolate e ammantate di luce, inizio a sentirmi meno alieno. Forse perché si tende a diventare romantici abitando a Bologna ma tentando ancora di vivere a Raffadali. Ma è strano percorrere strade, città e viadotti di un nazione che per usare le parole di Pippo Fava: “sa far tanto male a se stessa, ma che ha nel contempo tanta gioia e tanto amore per la vita”. Sicilia: trazzere arabe che ti conducono alla famosa “Corleonese Agrigentina”. Strada di traffico di droga e armi, di latitanti e “famiglie”, ma in cui non troverete una pattuglia dei Carabinieri neanche a pagarla oro. Tranne quella mitica del secondo ponte d’Alessandria della Rocca. Non sono gironi infernali quelli che percorro, ma le facoltà percettive sono disturbate solo dal ronzio costante di una “vuvuzela” che non vuol saperne di arrestarsi tra le mura amiche e il rumore costante delle macchine, unica specie che non risente del calo demografico.
Che strano dicevo. Ho lasciato i ragazzi nei vari “fortini” in Italia. Ho detto solo che andavo via, che avevo bisogno di respirare. Di togliermi per qualche istante una “corazza” che si fa sempre più pesante. Una piccola bugia: in realtà avevo voglia di camminare da solo. Di percorrere la strada che da Bologna porta in Sicilia senza tappe intermedie per iniziative, manifestazioni, scioperi. Ho sempre amato le pietre, gli angoli ed i respiri della mia terra, quelle strade male illuminate ma che raccontano storie, se solo si vogliono sentire. Mi piace attraversarle in silenzio. Abbandonarmi tra le viuzze della Basilicata, dell'Abruzzo (violentato in uguale misura dalla politica e dalla natura), della Calabria. Camminare con dietro le montagne e davanti il mare…..Tutto racconta storie.Mi rapiscono i ricordi, volti d’amici, come me, dispersi nel mondo. Ricordi di battaglie per la dignità, per il lavoro, per la libertà intesa nel suo senso più ampio, per la Costituzione, per l'Articolo21.
E’ un paese strano il nostro e per analogia mi trovo a guardare, in un centro storico a Melicucco in Calabria, costruzioni nuove che stridono con case vecchie, antiche. Radichi di paisi che ormai non hanno più linfa. Ti chiedi chi vincerà: la voglia di resistere, lottare e rinnovarsi, o quella di vivacchiare, aspettando il crollo che alla fine arriverà? Ma il paese che mi parla è in fase di stasi. Aspetta non si sa cosa. Il padrone sembra saldo sul cavallo, ma non lo è. Chi dovrebbe prenderne il posto da anni prova a tagliare "l'albero morto" ma ha l'assoluta capacità di farsi cadere i rami in testa. Leggendo le cronache, ascoltando i tg, tutto sembra vada bene. Tutti progetti attivi, abbracci, baci, cannoli, ponti, tutti felici. Ma gli occhi spesso regalano le verità che le parole non sanno raccontare. L’Italia è un paese moralmente in cancrena e un Oki (l’equivalente medico delle opposizioni parlamentari) non basta a curare una malattia. Al massimo attutisce il dolore.
Ma un’Italia che vive c’è. Lo fa anche tramite il web, parla di storie che varrebbe la pena diventassero vita vissuta. Parla attraverso la rabbia di chi pur sentendosi deluso in cuor suo sa che la resa non è contemplata nel suo animo e nella sua vita. Parla nello sventolio delle “Agende rosse”, nella caratura cromatica del “viola”, nell’esempio di Gino Strada e Luigi Ciotti. Parla soprattutto attraverso gli occhi scintillanti di migliaia d’uomini e donne “per bene” che anonimamente lavorano ogni giorno per un paese diverso. Cosa si aspetta non lo so. Immaginate però se tutte le persone che ogni sera fanno comunità su Facebook si ritrovassero in tutte le piazze di tutti i comuni a discutere su cosa “fare” in questo piccolo lembo di terra chiamato Italia, sarebbe in atto una piccola rivoluzione. Piccola dico, ma capace di rendere decente un’intera esistenza. In grado di far tremare dalle fondamenta un sistema di potere basato sulla nostra pigrizia. Credetemi chi ci governa è “nuddru ammiscatu cu nenti”. Se volete la conferma provate semplicemente a parlargli. Seduto su una panchina che dal bastione di un vecchio castello rinascimentale si staglia verso il mare, io non mi rassegno. Ateo da sempre, CREDO nella gente. Non come cieco atto di FEDE, ma come tenace anelito di vita. Sono convinto che siamo migliori di quanto sembriamo. Sono certo che una reazione ci sarà e non sarà per speranza, ma per disperazione.
Ad Est - il giornale dei siciliani migranti
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