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Articolo 21 - Editoriali
Due modi
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di Montesquieu

Due modi


Ci sono due  differenti modi di accostarsi al conflitto in atto tra i fondatori del primo partito  italiano .Il primo  è quello di considerarlo   una questione  interna di  partito ,e quindi una vicenda politica , priva di  risvolti istituzionali. Il disinteresse che praticamente tutti i partiti  nazionali  manifestano  da sessant’anni  verso la doverosa  attuazione dell’art.49 della costituzione   relega l’assenza   di democrazia  in una formazione  politica ad un rilievo esclusivamente  interno alla stessa , in nessun  modo sanzionabile  sotto un profilo giuridico.  Questo nonostante la inequivoca  volontà del costituente di favorire la nascita ,dopo la dittatura, di un sistema politico  che rafforzasse  la riconquistata democrazia  nel paese  con la  garanzia del rispetto delle regole democratiche dentro i partiti .
La  vicenda politica repubblicana è ricca di partiti   monocratici o oligarchici , che conoscono gli unici momenti di democrazia nei confronti congressuali ,quanto meno sotto  il profilo di una conferma delle leadership ,e quindi di una possibile alternanza  alla guida del partito. Da questo punto di vista negli  ultimi quindici anni  si è  addirittura  perduta  la necessità  del rito ,magari  simulato , della conferma o del ricambio . I congressi  di alcuni partiti ,accentuando una tendenza appena sfiorata  nella fase declinante del primo tempo della repubblica , sono diventati    degli eventi  nei quali si inneggia  al culto  del capo, senza che vi si fronteggino  persone  o idee. Dove  la sola idea di  votare diviene un oltraggio alla personalità dominante .
C’è il secondo modo di affrontare la questione , che  considera come i due contendenti siano rispettivamente   a capo  di un ramo del parlamento e del governo. Una relazione istituzionale delicata e problematica ad un tempo,che involge  in modo diretto il principio della separazione dei poteri . Che si intreccerà quasi subito con la prima ,quella politica  ,creando a quel punto un vero caso istituzionale: quando ,comunque  risolto il problema politico , la vera posta in palio diventerà la presidenza della camera .
Anche qui ,la soluzione sembrerà a portata di mano .E inoppugnabile . Il rapporto dei partiti con il presidente di una camera svanisce con l’atto dell’elezione al vertice dell’assemblea ,e non si ricrea  fino alla successiva elezione ,all’indomani della costituzione di nuove camere.  A differenza   delle cariche istituzionali “ politiche “ , quali le presidenze della commissioni parlamentari , nella funzione del presidente di un ramo del parlamento il ruolo di garanzia scaccia quello politico ,e non può essere messo in discussione per l’intero mandato. Non esiste un rapporto fiduciario tra il presidente di assemblea e parti ,anche maggioritarie ,di quella camera ,e non vi è quindi  una possibile sfiducia  ,nel  senso giuridico del termine.
La questione  è   pacifica nella giurisprudenza parlamentare , nei  taumaturgici” precedenti “.E’ pacifica  nello spirito della costituzione .E allora ?
Un problema invece  esiste ,ed enorme : i due  modi di vedere la questione sono   entrambi solo artificiosamente  tranquillizzanti, perché appesi alle pigre   convenienze  che nascondono due disfunzioni  costituzionali  rimosse o camuffate.
 La prima  ,  la mancata attuazione dell’art.49 della costituzione , è già delineata.  L’altra , sempre addebitabile ai partiti, riguarda la possibile  coesistenza nei presidenti di assemblea di un ruolo terzo, costituzionalmente ovvio , e di un ruolo politico, addirittura rafforzato dalla rendita di posizione di un incarico singolarmente stabile  , almeno rispetto alla volatilità di quelli di governo per tutta la durata della prima  repubblica. Fenomeno che diventa  la regola negli ultimi anni, quando alla tutto sommato pacifica  consociazione parlamentare si sostituisce lo scontro permanente ,e a chi governa serve un arbitro  amico. Quasi tutti  i presidenti delle camere  fanno e hanno fatto politica ,in entrambi i tempi della repubblica:  l’anomalia è il fatto che ciò non sia considerato anomalo.
L’anomalia oggi  si ha quando la politica del presidente di una camera non coincide con quella del governo ,ipotesi certo non più grave di quella ,contraria ,di una sintonia politica tra vertice parlamentare e capo del governo . Con tutto il rispetto per le persone , in questa legislatura il modello più lontano da quello costituzionale è rappresentato dal vertice del senato, sovrapponibile sempre e comunque a quello del capo del governo,e sempre politico.
I due rimedi , il mancato vincolo democratico dentro i partiti e la fiducia di legislatura per i presidenti delle  camere , sono in realtà dei ripieghi che nascondono la principale disfunzione istituzionale ,presupposto delle mille altre : la degenerazione del ruolo dei partiti. Incontrollati e incontrollabili , dilagati fin negli interstizi della società pubblica e privata , custodi con criterio solo politico e di rapporti di forza  di delicati meccanismi  relazionali. Occupatori abusivi di tutti i ruoli che contano  e spesso, a fini di mero consenso ,anche di quelli che non contano. Selezionatori della composizione del parlamento in luogo degli elettori  .  Non si farà nessuna riforma ,probabilmente ,nemmeno in questo triennio che ,ironia della politica italiana ,doveva essere armonioso e privo di ostacoli. Ma se ci fosse lo spazio per un intervento, la riforma dei partiti in senso costituzionale potrebbe contenere  la chiave per tutte le altre.

 

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