di Montesquieu
Due modi
Ci sono due differenti modi di accostarsi al conflitto in atto tra i fondatori del primo partito italiano .Il primo è quello di considerarlo una questione interna di partito ,e quindi una vicenda politica , priva di risvolti istituzionali. Il disinteresse che praticamente tutti i partiti nazionali manifestano da sessant’anni verso la doverosa attuazione dell’art.49 della costituzione relega l’assenza di democrazia in una formazione politica ad un rilievo esclusivamente interno alla stessa , in nessun modo sanzionabile sotto un profilo giuridico. Questo nonostante la inequivoca volontà del costituente di favorire la nascita ,dopo la dittatura, di un sistema politico che rafforzasse la riconquistata democrazia nel paese con la garanzia del rispetto delle regole democratiche dentro i partiti .
La vicenda politica repubblicana è ricca di partiti monocratici o oligarchici , che conoscono gli unici momenti di democrazia nei confronti congressuali ,quanto meno sotto il profilo di una conferma delle leadership ,e quindi di una possibile alternanza alla guida del partito. Da questo punto di vista negli ultimi quindici anni si è addirittura perduta la necessità del rito ,magari simulato , della conferma o del ricambio . I congressi di alcuni partiti ,accentuando una tendenza appena sfiorata nella fase declinante del primo tempo della repubblica , sono diventati degli eventi nei quali si inneggia al culto del capo, senza che vi si fronteggino persone o idee. Dove la sola idea di votare diviene un oltraggio alla personalità dominante .
C’è il secondo modo di affrontare la questione , che considera come i due contendenti siano rispettivamente a capo di un ramo del parlamento e del governo. Una relazione istituzionale delicata e problematica ad un tempo,che involge in modo diretto il principio della separazione dei poteri . Che si intreccerà quasi subito con la prima ,quella politica ,creando a quel punto un vero caso istituzionale: quando ,comunque risolto il problema politico , la vera posta in palio diventerà la presidenza della camera .
Anche qui ,la soluzione sembrerà a portata di mano .E inoppugnabile . Il rapporto dei partiti con il presidente di una camera svanisce con l’atto dell’elezione al vertice dell’assemblea ,e non si ricrea fino alla successiva elezione ,all’indomani della costituzione di nuove camere. A differenza delle cariche istituzionali “ politiche “ , quali le presidenze della commissioni parlamentari , nella funzione del presidente di un ramo del parlamento il ruolo di garanzia scaccia quello politico ,e non può essere messo in discussione per l’intero mandato. Non esiste un rapporto fiduciario tra il presidente di assemblea e parti ,anche maggioritarie ,di quella camera ,e non vi è quindi una possibile sfiducia ,nel senso giuridico del termine.
La questione è pacifica nella giurisprudenza parlamentare , nei taumaturgici” precedenti “.E’ pacifica nello spirito della costituzione .E allora ?
Un problema invece esiste ,ed enorme : i due modi di vedere la questione sono entrambi solo artificiosamente tranquillizzanti, perché appesi alle pigre convenienze che nascondono due disfunzioni costituzionali rimosse o camuffate.
La prima , la mancata attuazione dell’art.49 della costituzione , è già delineata. L’altra , sempre addebitabile ai partiti, riguarda la possibile coesistenza nei presidenti di assemblea di un ruolo terzo, costituzionalmente ovvio , e di un ruolo politico, addirittura rafforzato dalla rendita di posizione di un incarico singolarmente stabile , almeno rispetto alla volatilità di quelli di governo per tutta la durata della prima repubblica. Fenomeno che diventa la regola negli ultimi anni, quando alla tutto sommato pacifica consociazione parlamentare si sostituisce lo scontro permanente ,e a chi governa serve un arbitro amico. Quasi tutti i presidenti delle camere fanno e hanno fatto politica ,in entrambi i tempi della repubblica: l’anomalia è il fatto che ciò non sia considerato anomalo.
L’anomalia oggi si ha quando la politica del presidente di una camera non coincide con quella del governo ,ipotesi certo non più grave di quella ,contraria ,di una sintonia politica tra vertice parlamentare e capo del governo . Con tutto il rispetto per le persone , in questa legislatura il modello più lontano da quello costituzionale è rappresentato dal vertice del senato, sovrapponibile sempre e comunque a quello del capo del governo,e sempre politico.
I due rimedi , il mancato vincolo democratico dentro i partiti e la fiducia di legislatura per i presidenti delle camere , sono in realtà dei ripieghi che nascondono la principale disfunzione istituzionale ,presupposto delle mille altre : la degenerazione del ruolo dei partiti. Incontrollati e incontrollabili , dilagati fin negli interstizi della società pubblica e privata , custodi con criterio solo politico e di rapporti di forza di delicati meccanismi relazionali. Occupatori abusivi di tutti i ruoli che contano e spesso, a fini di mero consenso ,anche di quelli che non contano. Selezionatori della composizione del parlamento in luogo degli elettori . Non si farà nessuna riforma ,probabilmente ,nemmeno in questo triennio che ,ironia della politica italiana ,doveva essere armonioso e privo di ostacoli. Ma se ci fosse lo spazio per un intervento, la riforma dei partiti in senso costituzionale potrebbe contenere la chiave per tutte le altre.