â??Abbiamo fatto unâ??inchiesta sul giornalista italiano, abbiamo scoperto che era una spia e lo abbiamo uccisoâ?�. Fino a oggi, questa è la testimonianza più diretta che abbiamo sulla morte di Enzo Baldoni, il collaboratore di Diario rapito dallâ??Esercito islamico in Iraq il 20 agosto 2004 e assassinato, per quel che sappiamo, il 26. A parlare è il capo di una prigione dellâ??Esercito islamico dalle parti di Abu Ghraib. Ã? il pomeriggio del 18 settembre, davanti a lui ci sono Christian Chesnot e Georges Malbrunot, i due reporter francesi sequestrati lo stesso giorno, nella stessa area e dallo stesso gruppo di Baldoni. Malbrunot ha descritto questa scena in una recente intervista a Diario (11 febbraio 2005).

La ricostruzione è coerente con la scarna â??rivendicazioneâ?� apparsa in un cd rom di propaganda del gruppo, circolato a dicembre. Sotto un fotogramma del video di Baldoni trasmesso da al Jazeera il 24 agosto, tre sole parole: â??Agente italiano-giustiziatoâ?�. Malbrunot ha raccontato a Diario come funzione la â??giustiziaâ?� dellâ??Esercito islamico. Nei primissimi giorni del sequestro câ??è unâ??istruttoria condotta in modo molto professionale (da un ex ufficiale dei servizi di Saddam Hussein nel caso dei francesi): i prigionieri vengono interrogati sulla loro attività in Iraq. Lâ??accusa di base, per tutti gli occidentali, è quella di essere delle spie. Poi ci sono delle verifiche, probabilmente anche attraverso ricerche su Google. Immediatamente dopo, un â??tribunale islamicoâ?� emette la sentenza.

Enzo Baldoni era un pubblicitario di professione, giornalista per passione e operatore umanitario allâ??occorrenza. Perché i suoi rapitori lo hanno preso per una spia? Secondo Malbrunot, Enzo è stato ucciso prima di tutto perché italiano, cittadino di un Paese che ha truppe in Iraq. I â??resistentiâ?� faticano a comprendere che un italiano possa pensarla allâ??opposto del proprio governo: è la nazionalità che fa il nemico. In secondo luogo, può aver pesato lo status incerto di Baldoni: una ricerca su Google non lo avrebbe identificato immediatamente come un giornalista, né associato a una grande testata internazionale. Terzo, nessuno si è mobilitato per lui, e sempre Malbrunot ci ha spiegato che i grandi cortei e lâ??intervento delle più alte autorità dello Stato vanno a favore delâ??ostaggio, perché i rapitori capiscono di avere per le mani una merce di scambio di valore.

Però la mobilitazione deve essere immediata, la sorte dellâ??ostaggio si decide nei primi giorni. Invece ne passarono tre o quattro prima che in Italia si sapesse che Enzo era scomparso durante un attacco al convoglio della Croce rossa italiana che tornava da Najaf a Baghdad. Si diceva e scriveva che fosse in giro a far scoop, o che forse il suo cellulare non â??prendevaâ?�. In più era agosto, mese sfavorevole alle mobilitazioni, e lâ??Italia non aveva ancora acquisito la grande esperienza in sequestri di connazionali che purtroppo oggi ha.

A Diario ci siamo chiesti, come molti, se ci fosse un disegno dietro il rapimento del nostro collaboratore. Un disegno che magari comprendesse i successivi sequestri di italiani accomunati dalla militanza contro la guerra: le Simone di Un ponte per... con i loro due colleghi, Giuliana Sgrena. Oltre ai reporter francesi, contrari alla guerra e cittadini di un paese ostile a Bush, oltre a Margaret Hassan di Care International, che contro lâ??invasione anglo-americana si era spesa in ogi sede. Oltre a Florence Aubenas di Libération... Qualcuno voleva eliminare i testimoni scomodi? Qualcuno voleva mettere in crisi il fronte pacifista?

Lâ??ipotesi appariva fondata, ma si è regolarmente scontrata con i fatti. Chesnot e Malbrunot sono certi di essere stati individuati al momento, semplicemente come occidentali, in una delle zone più pericolose del Paese. Il convoglio di Enzo, secondo Malbrunot, è stato attaccato perché italiano. E solo in quanto italiane sono state rapite Simona Torretta e Simona Pari, a quanto dicono loro e la loro associazione. E Giuliana Sgrena imputa il proprio sequestro a una sosta troppo prolungata tra i profughi di Falluja a Baghdad.
Infine, dellâ??Esercito islamico in Iraq oggi sappiamo molte cose in più rispetto ad agosto. Ã? un gruppo vero, di ispirazione salafita (una visione tradizionale dellâ??Islam), nel quale convivono fondamentalisti religiosi ed ex militari di Saddam Hussein. Ã? un gruppo che gli americani li combatte a viso aperto, come ha fatto durante la battaglia di Falluja, e in contatto con al Qaeda.

Questo è quello che sappiamo finora. Nulla, per ovvie ragioni, uò essere verificato sul campo. Come la recente notizia, diffusa dal quotidiano iracheno al Sabah, della morte di un giovanissimo guerrigliero che si vantava della â??decapitazioneâ?� di Enzo tra la gente di Falluja. Aveva 19 anni. Se dovessimo dare un titolo alla tragica fine del nostro collaboratore, per il momento scarteremmo â??Il grande vecchioâ?� e sceglieremmo â??La banalità del maleâ?�.