di Gaetano Alessi
Tlic – tlac – tlic – tlac – tlic – tlac, immaginatevi il piede che per sei volte batte su una pedalina. Il buio di una cantina, la fame, la fatica, il sudore che si mischiano all’inchiostro, che t’invadono l’anima. Fuori il rumore della guerra, le bombe, i rastrellamenti e dentro di te la paura che si mischia al coraggio, alla voglia di non arrendersi all’invasione nazista e agli italiani in camicia nera che vanno a caccia di partigiani. Tlic – tlac – tlic – tlac – tlic –tlac, la pedalina gira e verga su carta la stampa clandestina della Resistenza. “L’Unità” – “Noi Donne” – “Il Garibaldino”, sei colpi per dare vita a quei piccoli fogli che sembrano dire nulla e che invece marchiano nell’anima dei resistenti l’idea che prima o poi il nazi-fascismo cadrà. La nebbia e l’umidità della bassa padana che t’inzuppano più della fatica in quel piccolo comune Conselice (Ra) rubato con la forza delle braccia alla palude. Un rumore e tu che esci sporco d’inchiostro dalla cantina, i tedeschi che ti prendono, ti massacrano di botte ma non parli perché se hai un idea forte il coraggio supera la paura. Le ossa che s’incrinano e poi il buio di una fosse comune, sepolto vivo perché, “sporco ribelle”, non meriti neanche il colpo di grazia.
Tic – toc il passare del tempo che incide sulla storia e sulla vita di ognuno di noi 65 anni da allora. Tic – toc il rumore del cucchiaio che urta un piatto e gli occhi del partigiano “Pippo” che ti guardano, ti studiano. Il silenzio, le parole di cortesia ed i suoi occhi che s’illuminano ogni volta che la parola “libertà” viene pronunciata. Poi la sua voce bassa inizia a imperniare la sala. Parla lento e racconta non la storia dei vivi, ma quella dei morti, dei compagni persi perché dice “a loro è toccata la parte più dura, noi abbiamo solo difeso l’eredità che ci hanno lasciato”.
Plic – plic, il rumore della pioggia che sbatte su una teca, la pedalina sta dentro, intorno le bandiere di un paese unito, la voce del Sindaco Maurizio Filippucci che parla con orgoglio, che progetta ancora, ancora, perché la cultura, la memoria, la libertà d’espressione sono “risorse”. Ma è quella pedalina a sospenderti nel tempo a farti pensare. Pensare che dei ragazzi continuassero a farla girare più per speranza che per certezza, che combattessero la loro guerra di “Resistenza” vergando fogli clandestini perché la “libertà di stampa” diventasse nel nostro paese un valore ma soprattutto un diritto. Pensare che sei lustri dopo un governo democraticamente eletto provi con ogni mezzo a limitare l’articolo 21 figlio di quella passione e del Tlic – tlac – tlic – tlac – tlic – tlac che quelle macchine producevano in continuazione. Pensare che ancora una volta la “stampa” clandestina che si espande, non più sulle biciclette delle staffette, ma tramite internet o i piccoli fogli locali si riveli un argine contro una dittatura non dichiarata (ma sostanziale) e si ponga come argine alle barbarie dimostra come in Italia gli anticorpi democratici sono forti e non si arrendono. Che questo governo da molti ritenuto xenofobo e neo fascista troverà sempre dei nuovi resistenti pronti a resistere un secondo in più delle loro umane capacità.
Nel buio di quelle cantine, tra inchiostro, carta, ferro, speranza e passione è nata la storia del nostro paese, la Costituzione, la libertà di espressione figlia del coraggio di chi non volle arrendersi. Vedere oggi ragazzi vestiti dai colori più indefiniti attestarsi a difesa di quella libertà dimostra che quella pedalina dentro la teca non ha mai smesso di girare. Tlic – tlac – tlic – tlac – tlic – tlac e un ultimo colpo per la stampa. Sette suoni…gli stessi che servono per dire “libertà”.
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