di Gaetano Alessi
Nel paese dell’antimafia delle commemorazioni la storia che andiamo a raccontare non può sorprendere. Ignazio Cutrò è nato 43 anni fa a Bivona, piccolo paese della provincia di Agrigento, da una famiglia “semplice e dignitosa”, ci tiene a precisare sul sito. Inizia a lavorare nella sua terra come imprenditore e da subito s’imbatte nella mafia e nel racket. Che fa Ignazio allora? Molti avrebbero pagato tacendo, garantendosi una “tranquillità” al costo di qualche migliaio di euro e di un bel pezzo di dignità. Ignazio no. Ignazio denuncia. Grazie alla sua collaborazione viene imbastito uno dei più grossi processi nell’agrigentino a Cosa Nostra, “Face Off”, e grazie ad Ignazio, la cupola mafiosa di Bivona che si trova vicino Agrigento viene decapitata. Una grande vittoria per lo Stato che si trasforma in un calvario per Cutrò, debitamente suddiviso tra Caserme dei Carabinieri e sempre più intimidazioni. Tante, condite da danneggiamenti ai mezzi di lavoro e la solitudine che sovviene quando la gente del tuo territorio sa che sei “un morto che cammina”.
Arrivano le solidarietà ma durano il tempo di un ciak e muoiono nello stesso momento che la lucetta rossa della telecamera stoppa le riprese. Lasciato solo Ignazio, dalle istituzioni e dalla Confindustria e come unica “compagnia” le continue minacce di morte
Undici anni dopo Ignazio Cutrò è un uomo solo e in gravi crisi finanziaria. “Dove non ha potuto la mafia – scrive - lo sta facendo chi ci doveva dare una mano d’aiuto. Tanti appelli di aiuto per lavorare, nessuna risposta, dove sono i nostri politici? “Io e la mia famiglia abbiamo creduto in quello che abbiamo fatto e ci crediamo ancora – ci dice Cutrò - ma una persona sola ha risposto al nostro grido di dolore, Sonia Alfano, dagli altri nulla. Mi stanno togliendo pure la dignità. Comunque mi resta solo una cosa da fare per potere sfamare la mia famiglia: metto in vendita i miei organi, iniziando dai reni. Se qualcuno fosse interessato mi può mandare una e-mail. Meglio morire in piedi che vivere una vita in ginocchio, in culo alla mafia, ribellatevi in massa “.
Si attendono ora le risposte non solo dalla politica, ma anche da Confindustria e dall’antimafia istituzionale. In una Italia dove in molti predicano dai pulpiti mediatici la storia di Cutrò è emblematica: l’antimafia si fa in televisione e se non sei teleigienico giù in frontiera resti davvero solo. Il coraggio di Cutrò è servito a dare dignità alla sua terra, una terra che oggi dovrebbe garantirgli sostegno e aiuto. Sperando che quest’uomo non debba sentirsi dire un giorno “ma chi te l’ha fatto fare?”. Sarebbe una sconfitta non solo per lui ma per tutti quelli che ogni giorno in Italia si battono contro la mafia.
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