di Valter Vecellio
Esisteva un tempo una fortunata rubrica: “Incredibile, ma vero”. Andrebbe aggiornata: “E’ incredibilmente credibile, e purtroppo è vero”. Ogni giorno nel mondo della giustizia, e del carcere in particolare, accadono cose che hanno dell’incredibile; ma sono al tempo stesso, vere. Per esempio, chi avrebbe mai sospettato che ciambelle e biscotti possano essere pericolosi, così pericolosi da indurre l’Autorità a vietare che siano consegnati dai parenti ai detenuti? Cosa potrà celare, un biscotto, una ciambella? Al loro interno strumenti per l’evasione, come la classica lima nascosta nella pagnotta? Oppure chissà: sarà stato elaborato un particolare vocabolario per cui chi è fuori riesce a comunicare con chi è dentro? Che so: due ciambelle e tre biscotti uguale “fategliela pagare”; oppure tre ciambelle e due biscotti: “portate pazienza”…
Non si sta scherzando. E’ quanto accade nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros. La mai troppo lodata agenzia di informazioni carcerarie “Ristretti orizzonti” segnala che la commissione “Diritti civili e politiche europee” del Consiglio regionale sardo che tra una settimana visiterà il carcere di Badu ‘e Carros si dovrà occupare tra le altre cose del recente divieto a consumare biscotti imposto ai detenuti. II presidente Silvestro Ladu e la responsabile regionale di “Socialismo Diritti Riforme” Maria Grazia Caligaris parlano di “un’incomprensibile provvedimento che appare ancora più assurdo nel mese di dicembre”. Difficile dar loro torto.
La decisione della direzione del carcere di vietare la consegnare di dolci secchi è stato segnalato da alcuni familiari che fino a qualche settimana fa hanno potuto far arrivare ai congiunti privati della libertà biscotti e ciambelle. Non è dato sapere la ragione di questo divieto; sicuramente sarà fondato e serio. Dietro l’innocente aspetto di un biscotto e di una ciambella si nasconde certo una minaccia; fortunatamente qualcuno l’ha scoperta ed è intervenuto. Così si fa, e ora ci sentiamo tutti più tranquilli.
Altro “incredibile, ma vero”, a Milano. La denuncia viene dalla Uil-Penitenziaria: mancano gli automezzi per trasposto detenuti, il carcere di San Vittore a rischio paralisi. Vediamo meglio: “Da sempre il carcere di San Vittore è, nell’immaginario collettivo, una delle icone del sistema penitenziario italiano, con il suo carico di sofferenza e palese degrado. Da ieri, purtroppo, è anche l’esempio concreto di una situazione logistica caratterizzata dall’assoluta mancanza di mezzi adibiti al trasporto dei detenuti. Questo significa che diversi processi sono a rischio perché potrebbe essere impossibile garantire la presenza dei detenuti nelle aule di giustizia. D’altro canto tempo fa era già successo ad Opera”. È un allarme rosso quello lanciato dal Segretario nazionale della Uil Pa Penitenziari, Angelo Urso: “Già di per se la disponibilità di sei furgoni e di quattro pullman non era sufficiente a garantire le reali necessità per il trasporto detenuti. Da qualche giorno questa disponibilità è ridotta a soli due furgoni e soli due pullman, perché gli altri mezzi sono ricoverati in officina in attesa di riparazioni che non possono essere effettuate causa l’esaurimento dei fondi assegnati. Per le traduzioni ogni giorno occorrono, solo per San Vittore, dai dieci ai quindici automezzi per i novanta detenuti che mediamente ogni giorno sono nelle aule di giustizia. È chiaro che in questa situazione si va verso la paralisi e potrebbero saltare molti processi. Non è eresia, quindi, affermare che più di un parco macchine bisogna riferirsi ad un cimitero dei mezzi. Vorrà dire - sottolinea con ironia Urso - che la polizia penitenziaria dovrà industriarsi in maniera diversa ricorrendo al “girotondo a moto perpetuo” degli automezzi e semmai anche con traduzioni a piedi”. Alcuni giorni fa un incidente di un mezzo della polizia penitenziaria in avaria con i freni avrebbe potuto causare, sulla Bari-Napoli, una strage. Molte sono anche le traduzioni interrotte per guasti meccanici.
“Certo che se Milano piange Roma non ride – dice Urso - Qualche giorno fa nei garage del Dap ha preso fuoco, pare per autocombustione, la macchina del Capo Dipartimento Ionta e solo il tempestivo intervento del custode ha evitato il propagarsi dell’incendio ad altre, costosissime, autovetture in dotazione. È evidente che al Dap c’è un problema di gestione del servizio automobilistico nel suo complesso”.
In Lombardia per garantire il servizio di traduzione dei collaboratori di giustizia (anche di I fascia) ci sono solo tre autovetture, nonostante i collaboratori siano ristretti in tre diversi istituti e che le disposizioni vigenti impongano le traduzioni di quei soggetti con non meno di due macchine. Si spende più in carburante e missioni per gli autisti, per rendere fruibili le tre autovetture da un istituto ad un altro, che non per comprare tre autovetture nuove.
“Ogni giorno – dice Urso – i politici si attribuiscono meriti che, invece, sono di esclusiva pertinenza delle forze dell’ordine e della magistratura. La verità è che lasciare a piedi i poliziotti penitenziari, rendendo concreta la possibilità che saltino processi, non ci pare si possa definire una politica che aiuta la Giustizia e rafforza la sicurezza. In ogni caso nel derby tra Maroni e Alfano vince con grande scarto il primo. Chissà perché il Ministro degli Interni riesce sempre ad approvvigionarsi di uomini e mezzi, mentre il secondo sguarnisce le frontiere penitenziarie e lascia a piedi i suoi uomini a cui non pagano le missioni, bloccano i contratti e che spesso sono costretti, tra l’ altro, ad anticipare le spese per il carburante”.
A Torino, infine. “Vorrei che mi facessero vedere mia figlia per l’ultima volta. La vorrei proprio vedere. Chiedo al direttore del carcere che sia un po’ clemente, non gli chiedo il sole, chiedo solo un permesso per mia figlia”. È il disperato appello, fatto in lacrime, dal padre della trentenne molisana in carcere a Torino per furto e alla quale è stato negato di poter rivedere per l’ultima volta il padre che è in fin di vita. L’uomo, che è malato di tumore, dopo essere stato ricoverato in ospedale è tornato a casa, a San Polo Matese, vicino Campobasso, con un verdetto, quello dei medici, che non lascia speranze. A “Telenorba” l’uomo ha detto: “Chiedo solo che lei mi venga a trovare per l’ultima volta per questo ringrazierei il direttore del carcere tanto tanto”. Infine si è rivolto direttamente alla figlia: “Le voglio tanto bene, voglio dirgli questo”. La trentenne, che finirà di scontare la sua pena nel prossimo mese di marzo, ha presentato istanza alla Direzione carceraria per vedere anche per una sola ora il padre, ma si è per ora sentita negare il permesso, ha deciso quindi di ricorrere al Magistrato di Sorveglianza, e ha contestualmente presentato un esposto al Garante per i diritti dei detenuti. Un appello è stato lanciato anche dalla madre della ragazza, che in questi giorni assiste il marito malato: “Chiedo che mi mandino mia figlia perché mio marito sta male. Mia figlia non è una assassina, qui tirano fuori gli assassini e a mia figlia, che ha fatto qualche piccolo furto, non le fanno vedere il papà. Il papà ora ha bisogno di vedere la figlia”.