di Cesare Damiano*
Nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007 sette operai dello stabilimento Thyssen Krupp di Torino vennero investiti da una fuoriuscita di olio bollente in pressione che aveva preso fuoco e persero la vita. Per non dimenticare pubblichiamo la lettera di saluto che Cesare Damiano ha scritto per il convegno che si terrà oggi a Torino, nell’ambito della settimana sulla sicurezza. Ricordo come fosse oggi quel giorno di tre anni fa, il giorno della strage alla ThyssenKrupp. Ricordo il dolore che ho provato. Un dolore grande. Il dolore di chi, dopo una vita passata a contatto con la fabbrica, con i lavoratori, si sente personalmente colpito. Ero ministro del Lavoro, allora. In quella veste avevo un dovere in più. Il dovere di cercare una spiegazione razionale a quanto accaduto. E soprattutto – dopo aver portato la solidarietà alle famiglie tanto profondamente colpite – il dovere di operare, con tutti gli strumenti a disposizione, affinché tragedie così non potessero accadere mai più. Un compito quanto mai difficile, perché in Italia, quando si parla di lavoro, il tema della sicurezza è sempre evocato ma è assai poco praticato. Allora avevamo approvato da pochi mesi la legge “123” sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Con la “626” del 1994, costituiva, in materia, un complesso normativo tra i più completi e incisivi d’Europa. Il mio impegno, in una situazione politica difficilissima che avrebbe di lì a poco portato alla caduta del governo Prodi e a elezioni anticipate, fu quello di varare in tempo utile la delega che avrebbe consentito a quelle norme di diventare pienamente operative. Così fu fatto. Ma le cose, poi, hanno preso una piega diversa. In questi anni il governo di centrodestra ha operato in modo da ridurre le tutele allora introdotte. Le spese per la sicurezza sono tornate a essere viste come un costo da contenere il più possibile in nome della competitività, anziché come un investimento doveroso e utile. E i ripetuti appelli del Presidente della Repubblica riscuotono consensi spesso solo di facciata.Tutti ricordiamo le parole, poi corrette, pronunciate la scorsa estate dal ministro Tremonti, secondo il quale le regole previste dalla “626” sarebbero eccessive. E tutti abbiamo sotto gli occhi quanto avviene nel mondo degli appalti. In questo settore si registrano condizioni di lavoro spesso insostenibili e con drammatica frequenza avvengono infortuni mortali. E’ un bene che si metta mano alla normativa che li disciplina. Non però peggiorandola come fa il ministro Sacconi. Le regole degli appalti al massimo ribasso vanno cambiate. Il costo del lavoro, che deve essere calcolato sulle tabelle dei contratti nazionali e il costo degli investimenti per la sicurezza del lavoro, devono essere conteggiati a parte e non assoggettati alla logica del ribasso. In caso contrario, pur di aggiudicarsi l’appalto, le aziende sono costrette a pagare al nero ed eliminano i costi per la sicurezza. Con i risultati, spesso tragici, che sono sotto gli occhi di noi tutti. E’ vero che i dati più recenti resi noti dall’Inail in materia di infortuni parlano di una importante diminuzione. Non dobbiamo però abbassare la guardia. I miglioramenti che registriamo sono indubbiamente l’effetto delle misure introdotte dal governo Prodi. Ma sono anche il risultato del drastico calo dell’occupazione che, causa le crisi, è avvenuto nel biennio 2009 – 2010. Per questo è necessario continuare la battaglia in difesa della sicurezza, un diritto di tutti, cui, per nessun motivo, è possibile derogare. E’ un dovere che la politica, nel suo insieme, ha nei confronti di chi lavora. E’ un obbligo morale che tutti noi abbiamo nei confronti dei sette operai morti alla Thyssen.
* lettera di saluto al convegno di Torino, nell’ambito della settimana sulla sicurezza