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Articolo 21 - Editoriali
Caso FIAT. E ora lo sciopero generale!
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di Gianni Rossi

Il “caso FIAT” divide come mai storicamente era successo  a sinistra e nel sindacato. Nel 1980 ci fu il primo forte strappo con la “marcia dei 40mila”, quadri e impiegati dell’azienda, spalleggiati dall’amministratore delegato Cesare Romiti. Anche allora la crisi della casa automobilistica era drammatica. Il PCI di Berlinguer fu dalla parte degli operai, il PSI di Craxi da quella della proprietà. La rottura tra CGIL-CISL e UIL fu dolorosa, ma si riuscì a ricomporla. Non furono toccati i diritti fondamentali previsti dallo Statuto dei Lavoratori né quelli costituzionali né si violò la contrattazione nazionale collettiva. La FIAT lentamente si riprese scegliendo una diversificazione tra la produzione di nuovi modelli e la finanziarizzazione del gruppo. Con gli aiuti di stato riuscì a fronteggiare la prima sfida globale portata avanti dal sistema di “qualità totale” delle case automobilistiche giapponesi. Una boccata d’ossigeno che durò fino ai primi anni Novanta. Poi, tra crisi alterne e uscita di scena dei padri nobili della famiglia Agnelli, la FIAT è arrivata alla sfida della globalizzazione senza idee innovative e senza capitali. 

Oggi, 30 anni dopo la “ricetta Romiti”, la “cura Marchionne” va ben al di là di quella dura esperienza. E imbocca strade ideologiche, anziché affrontare la crisi con piani di investimento, ricerca e sviluppo, innovazione e diversificazione industriale. Si appella ad un fantomatico “modello americano” che anche la Chiesa, con la sua nuova dottrina sociale, ha condannato di recente sul quotidiano della CEI, Avvenire. Negli Stati Uniti, va ricordato ai tanti “smemorati interessati” che pontificano su giornali e TV, Marchionne ha avuto considerevoli aiuti finanziari dal governo Obama per acquisire la disastrata Chrysler, ma proprio in virtù del “sistema italiano” di produzione, innovazione, di relazioni industriali  e tutela della forza lavoro. Oggi, Marchionne e i suoi tanti corifei fanno finta di dimenticarselo!  

D’altra parte, alcuni sindacati, CISL e UIL in testa, ormai appiattiti sulle posizioni del governo Berlusconi, e inebetiti dal ricatto antistorico di “o firmi questo accordo o non lavori”, sono entrati nel gorgo della delegittimazione della FIOM e della “casa madre” CGIL. E affrontano il problema in maniera demagogica: di fronte alla crisi mondiale economica, alle incapacità di un governo di centrodestra, che da due anni non sa proporre nessuna ricetta per aiutare sviluppo e occupazione, si appiattiscono sui ricatti padronali, scegliendo la rottura definitiva con la CGIL, e disconoscendo i diritti storici conquistati in decenni di lotte dalla “classe operaia”.  

Il governo dei tanti conflitti di interessi, guidato da Berlusconi, Bossi, Tremonti e Sacconi, plaude alla “cura Marchionne”, nella speranza così di spostare l’attenzione mediatica dalle sue nullità programmatiche verso le divisioni nella sinistra e nel sindacato. Non solo, ma con l’attuazione dei protocolli d’intesa per le fabbriche di Mirafiori e Pomigliano ( ma cosa dire della chiusura di Termini Imerese e l’afasia governativa circa la riutilizzazione degli impianti?), viene messo definitivamente in soffitta lo storico accordo sulla Concertazione, firmato nel ’93 dall’allora presidente del consiglio Ciampi, che fece uscire il paese da un’acuta crisi finanziaria ed economica, rilanciando sviluppo e occupazione, riducendo gli alti livelli di deficit e debito pubblici, aprendo la strada al successivo ingresso del nostro paese nell’Euro. 

La sinistra, da parte sua, rischia di uscirne con le ossa rotte. Una parte preponderante del PD, dall’ex-Popolari, ai “veltroniani” e ai “dalemiani”, è favorevole alla “cura Marchionne” pur con qualche distinguo. Si autodefiniscono “modernizzatori, innovatori”, non vogliono sentirsi accusare di essere dei “conservatori di sinistra”, come spesso si legge dalle colonne del Corriere della Sera (giornale che ha nel suo “patto di sindacato” di controllo azionario capitali FIAT e del gotha imprenditoriale finanziario). Sotterraneamente nel PD, in molti si sfregano le mani per come la FIOM, ritenuta a torto espressione della “sinistra radicale” ( e quindi ben vista dall’astro nascente Niki Vendola), venga messa al bando dalla contrattazione nazionale.Non vedono oltre la punta del loro naso: i diritti fondamentali, irrinunciabili anche negli altri paesi europei, dove i competitor della FIAT stanno superando la crisi senza mortificare la loro forza lavoro, non possono essere messi in discussione proprio da quei settori, che in tutti questi anni non sono riusciti a mettere in piedi uno straccio di progetto per la rinascita produttiva del “sistema Italia”. 

La fuoriuscita della FIAT da Federmeccanica e Confindustria , seppure definita “temporanea”, getta un’ombra grigia sull’idea dei nuovi rapporti industriali che una parte dell’imprenditoria italiana vuole seguire per il futuro, per i rinnovi contrattuali. E' l'inizio del declino della stessa Confindustria. Non solo, ma da domani i contratti potrebbero essere solo individuali, diversi per siti produttivi privati e pubblici, la rappresentanza sindacale mortificata e ridotta solo a coloro che firmano gli accordi: surrettiziamente verranno così reintrodotte le gabbie salariali, senza bisogno di una legge. Si accentuerà il divario tra Nord e Sud, tra distretti produttivi più forti e quelli deboli. Oltre al ricatto della flessibilità e dell’estrema precarizzazione, i giovani avranno contratti al minimo, legati alla produttività del singolo e senza garanzie assistenziali né sindacali. Ma chi pagherà in futuro le pensioni dell’INPS, con la progressiva diminuzione dei versamenti dei contributi previdenziali? 

Non si esce così dalla crisi! Non si risollevano così interi comparti industriali e produttivi! Non si calpestano così diritti costituzionali, acquisiti democraticamente con storiche battaglie!  

Per queste ragioni c’è bisogno di una Nuova Alleanza che vada oltre i cancelli delle fabbriche del Nord, oltre gli operai della FIAT, ma che coinvolga i giovani, universitari e precari, dipendenti pubblici e privati, disoccupati e cassintegrati, affinchè si arrivi ad uno sciopero generale che faccia sentire la voce dei nostri diritti costituzionali, che non possono essere né mercanteggiati né calpestati.

Non c’è da iscriversi al “partito FIOM” o a quello della CGIL né partecipare alle diatribe interne nel PD. Siamo per la ricerca di un’intesa di tutta l’opposizione e di una nuova unità sindacale che coinvolga CISL, UIL e CGIL sulla base dei 3 pilastri delle relazioni industriali esistenti: lo Statuto dei lavoratori, l’accordo sulla Concertazione, la Contrattazione nazionale collettiva. 

Il “caso FIAT” rischia, dunque, di diventare uno spartiacque tra una nuova visione solidaristica e umana della forma di società futura, da una parte, e chi invece, incapace di trovare una fuoriuscita dalla crisi cronica del capitalismo iperliberista, non sa altro che proporre un ritorno al passato, oscurantista. Noi siamo per un mondo che si rinnovi, mettendo al centro l’uomo; loro, gli adepti della “cura Marchionne”, sono contro la vera modernità, la libera competizione globale, contro la libera circolazione delle idee.

Sono loro i “nuovi conservatori”, tanto più pericolosi, in quanto privi di idee innovative e di cultura, ma forti e prepotenti per la debolezza delle istituzioni, dei governi e di quanti in Italia dovrebbero contrastarli democraticamente. Dichiarazione di Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, e Vincenzo Vita, senatore del Partito Democratico

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