di Infromazione senza frontiere
"Può un Premier che sta facendo di tutto per limitare diritti fondamentali della democrazia nel proprio Paese con leggi unanimente giudicate liberticide assumere la Presidenza di turno dell'Unione Europea che sul rispetto di quei principi fonda la propria identità ? Dal 1 gennaio 2011 l'UE rischia di perdere ogni credibilità sul fronte della difesa dei diritti umani a livello internazionale.E' il caso del primo ministro ungherese Viktor Orban che, forte della maggioranza dei due terzi conquistata in parlamento dal suo partito Fidesz, nei mesi scorsi il governo di Orban ha limitato le competenze della corte costituzionale e ha dato una forte sterzata alle norme sull'immigrazione raccogliendo le spinte xenofobe interne e, scorso 20 dicembre, ha varato la nuova legge sui media che mette sotto diretto controllo dell'esecutivo i media pubblici, dettando norme censorie anche per quelli privati ( 20 per cento di limite per le notizie di cronaca nera ). Il senso dell'operazione è già stato chiarito con la sospensione dei colleghi della radio ungherese sospesi dal servizio per la propria opposizione alla legge. Facciamo appello ai parlamentari europei perché vogliano difendere i fondamenti liberali dell'Unione costringendo Victor Orban o a ritirare le norme censorie sulla stampa o a rinunciare alla Presidenza comunitaria ".
Inizia con questo appello contro la presidenza UE del premier unghere il documento sullo stato della libertà di stampa nel mondo per l'anno 2010, diffuso oggi dell'Esecutivo di Information Safety and Freedom, associazione internazionale per la libertà di stampa.
" Il 2010 si chiude con un bilancio insanguinato da ben 79 colleghi uccisi nel mondo, confermando una tendenza ormai ventennale che vede i professionisti dell'informazione come bersagli di governi, militari e criminali. In testa alla classifica spicca l'emergenza del Messico, con 10 giornalisti uccisi all'interno di una vera e propria guerra civile che contrappone narcos e governo, con i primi in netto vantaggio. Pari in graduatoria è l'Honduras con un'impennata di violenza che registra 10 omicidi di colleghi. La stampa è stata una dei settori più colpiti dal golpe di Stato del giugno del 2009, con assassini, ad abusi, intimidazioni, censure e chiusura di media. Benché si ignorino ancora i mandanti e gli esecutori, l'obbiettivo delle violenze è evidente: mettere a tacere le denunce relative a violazioni dei diritti umani, corruzione o narcotraffico .
Pakistan ed Iraq seguono con 9 omicidi a testa : il dato testimonia dell'escalation di violenze in atto nel Paese che fu la patria di Al qaeda, sottoposto alle dinamiche del terrorismo talebano e filoiraniano, e del protrarsi della devastabnte guerra civile avviatasi all'indomani dell'invasione USA in Iraq e non ancora sedata.
Le Filippine mantengono il trend di violenza costante negli ultimi decenni con 5 omicidi di giornalisti. Ma bisogna ricordare che nel 2009, sull'isola di Mindanao caddero 30 giornalisti colpiti in un agguato delle forze che facevano capo al governatore locale, legato alla presidente Arroyo. Si trattò della più grande strage della storia del giornalismo.
Nella parte bassa della graduatoria troviamo Paesi africani con Somalia e Nigeria in evidenza, il Nepal e molti Paesi mediorientali ( Turchia inclusa ).
Ma, come ha dimostrato la reazione del governo di Pechino all'assegnazione del Nobel al dissidente Liu Xiaobo, resta in primo piano la negazione dei diritti umani nella Repubblica Popolare Cinese, dove è difficile persino monitorare lo stato della situazione, tanto è pesante il controllo delle informazioni.
Infine l'Iran, dove a seguito della rivolta dell'Onda Verde nello scorso anno, è in atto una campagna di repressione dei media senza precedenti. Sono decine i giornalisti arrestati e le testate chiuse, oltre un centinaio i colleghi fuggiti all'estero. Si può ormai dire che ogni spazio di espressione è negato e carcere ed esilio sono le uniche alternative per chi si oppone al regime di Ahmadinejad.