di Vittorio Roidi
Un errore giornalistico, durante una battaglia politica senza esclusione di colpi come quella alla quale ci è toccato assistere quest'anno, può avere effetti gravi. I colleghi de L'Unità hanno già ammesso di averlo compiuto e si sono scusati, come del resto la legge istitutiva della professione fa obbligo ad un giornalista corretto.
Pure, da più parti, si continua a sfruttare quanto è accaduto. Sono anche persone che in passato - per il proprio comportamento - avrebbero meritato solenni richiami disciplinari. Il senso della legge è chiaro e l'interpretazione semplice. L'Ordine regionale (da chiunque e in qualsiasi modo abbia appreso la segnalazione di un, sia pure presunto, illecito deontologico) ha il dovere di intervenire. Deve accertare se la notizia è infondata e, se non lo è, deve aprire formalmente il procedimento disciplinare.
Questo si svolge con tutte le forme e le garanzie del procedimento amministrativo. Offenderei i lettori e gli amici di "Articolo 21" se andassi oltre, magari per ricordare le sanzioni possibili e il ricorso a successivi gradi di giudizio, primo dei quali il Consiglio nazionale di cui faccio parte. Non entro nel merito.
Dico però a me stesso che i principi etici e le regole deontologiche devono essere rispettati, se vogliamo che la nostra sia un'attività alla quale i cittadini possano dare credito. Mi pare che le speculazioni vadano evitate, in primo luogo da parte di quei giornalisti che hanno anche cariche pubbliche. E che sono rimasti iscritti all'Albo. (Post scriptum: l'autosospensione non esiste, chi vuole può chiedere di essere cancellato)