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Articolo 21 - Editoriali
Mediterraneo in fiamme. L’Italia, il “fattore Berlusconi” e la fine dei regimi "amici".
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di Gianni Rossi

Era dalla fine degli anni Cinquanta, dopo gli assestamenti geopolitici intervenuti a completare il quadro di stabilità disegnato dai paesi vincitori contro il nazifascismo e l’imperialismo nipponico, che non accadevano rivolgimenti così turbolenti nei paesi rivieraschi di quello che un tempo veniva chiamato “Mare Nostrum”. In quel periodo di “Boom economico” per l’Occidente, i paesi del Maghreb riscoprivano la voglia di indipendenza dalle potenze coloniali, di libertà dai regnanti corrotti. Con loro, anche altri popoli del Medio Oriente e poco più tardi dell’Africa intera sentirono questo vento caldo di libertà spirare sopra le loro teste e annidarsi nei loro animi. Nulla fu più come prima!

Sono passati 50 anni da quei sommovimenti che determinarono la fine di ogni colonialismo nel mondo, anche se le giovani nazioni libere, sia quelle del “Terzo Mondo”, sia quelle più sviluppate, furono tenute a freno dal “Tallone di Ferro” (dal titolo del libro fantapolitico di Jack London, che nel 1908 previde la nascita del “Patto di Acciaio” delle dittature nazifasciste, contrastato da un rivoluzionario di nome Ernest), o meglio ancora dalla “Cortina di Ferro” stesa sul mondo da Stati Uniti e Unione Sovietica per quasi un trentennio, insieme all’incubo della guerra nucleare. Dalla fine del 1989, con la caduta del Muro di Berlino, molta acqua è passata sotto i ponti. C’è stata la cosiddetta “fine delle ideologie”, tanto osannata dai media e dai politicanti di destra e di sinistra. In realtà si sono autodistrutte le due ideologie sorte alla fine dell’Ottocento e irrobustitesi nei primi del Novecento: il comunismo e il nazifascismo.

E’ rimasta ben salda la terza ideologia, quella del liberismo, strettamente legata al sistema economico dominante ovunque nel mondo: il capitalismo globalizzato. Ecco, oggi tutti i politici, gli intellettuali, i maitres à penser, gli opinionisti e gli editorialisti dalla penna facile e dai lauti guadagni si riempiono la bocca di quanto sia migliore questo mondo del Duemila senza ideologie, rispetto al Novecento “secolo breve”, dove le guerre fratricide hanno spazzato via oltre cento milioni di persone nei due conflitti mondiali e in quelli “regionali”. Eppure, da quella “deadline” dell’89 ad oggi, sono accaduti stravolgimenti dei sistemi economici, sociali e anche statuali proprio per colpa del sistema capitalistico e della sua ideologia basata sul liberismo, anzi sull’iperliberismo.

In quell'Autunno delle ideologie, furono i paesi d'oltre "Cortina" a ribellarsi, a liberarsi dalle catene del Pattodi Varsavia e non solo. Fu come un "gioco del Domino" e nel volgere di un decennio l'Europa dell'Est e quella balcanica scelsero la difficile vita della democrazia e dei sistemi liberali, non senza contraddizioni e non senza aver ricreato al proprio interno regimi affaristici pseudo-democratici: alle oligarchie dei partiti comunisti si sono molte volte sostituite le oligarchie del potere afaristico-mafiose.

La crisi di sistema che stiamo vivendo, dal 1998, sta ridisegnando nuove gerarchie del potere geopolitico, ma sta anche “risvegliando” masse oppresse che, grazie alle nuove tecnologie (TV satellitare, Internet e Telefonia mobile) ha preso coscienza del proprio stato di oppressione “semischiavistica”, nonostante i loro governanti, tiranni, regimi pseudo-democratici, siano stati riconosciuti e spesso apprezzati dalle “nazioni amiche”, dove invece vigevano sistemi istituzionali democratici solidi.

E’ questa crisi dell’iperliberismo globalizzato che rimette in discussione i ruoli nell’immensa catena di montaggio del sistema capitalistico. La Cina “comunista” ha sposato il capitalismo di stato ed è diventata la seconda potenza economica mondiale dopo gli USA. Ma non c’è democrazia né sono rispettati i diritti umani e civili a Pechino: il regime non è più comunista ortodosso, si è trasformato in neocapitalismo militarizzato, a partito unico e con una capillare Nomenklatura che usufruisce di incontrastati conflitti di interessi, arricchendosi sempre più con gli stessi sistemi del malaffare imperante nei paesi da secoli orbitanti nel capitalismo liberista. In questa globale catena di montaggio i paesi a religione islamica, quelli che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche gli altri del Medio Oriente, stanno vivendo i riflessi più contrastanti della crisi dell’iperliberismo. Finora si erano basati sullo sfruttamento dell’immense risorse energetiche, sulla forza lavoro che veniva fatta lavorare in regime di semischiavitù per i paesi più ricchi, o veniva “esportata” per rafforzare il sottoproletariato mal pagato in Occidente.

Le tecnologie avanzate hanno rotto l’incantesimo: il castello di Rosaspina (ricordate la favola di Perrault e dei fratelli Grimm de “La bella addormentata nel bosco”?) dopo 100 anni si sta risvegliando e nessun altro incantesimo potrà più far sopire gli abitanti del regno. Le fonti energetiche che hanno arricchito oligarchie militari o famiglie di regnanti dispotiche si stanno esaurendo e premono nuove forme di energie, rinnovabili e universalmente reperibili, che potranno nel volgere di un decennio far dimenticare la “dittatura del petrolio”.  Ai regimi islamici, di origine araba o turcomanna, sta letteralmente scivolando la sabbia sotto i piedi: i loro governati stanno da anni “respirando” via etere il profumo della libertà, della democrazia e della fine delle diseguaglianze. Non possiamo fare previsioni sui tempi, i modi e gli sviluppi istituzionali, che questi sconvolgimenti prenderanno, come si evolveranno e quanti morti ancora dovranno essere conteggiati nella clessidra della storia. Certo è che il movimento spontaneo che si è avviato nel Mediterraneo non solo creerà assetti geopolitici impensabili pochi mesi fa, ma influenzerà anche quei paesi rivieraschi che finora si consideravano da quest’altra parte: dalla parte dell’Europa “civilizzata, democratica e sviluppata”. Specie l’Italia!

E sì perché il nostro paese ha sempre giocato un ruolo di attrazione culturale, religiosa (il Vaticano è sempre stato molto “disponibile” verso l’altra grande religione monoteistica, quella profetizzata da Maometto, che discende dall’evangelizzazione del Cristo, molto più “diffidente” invece verso l’ebraismo), di ponte verso l’Europa, di “porta della speranza”, anche per la sua storica umanità, disponibilità a solidarizzare con tutte le minoranze etniche e ad accogliere profughi specie dal Nord Africa e dal vicino Oriente. Almeno questo fino a 15 anni fa, quando la Lega non aveva imposto le sue visioni apocalittiche sui “pericoli etnici”, quando da centro di accoglienza siamo diventati per legge “centro di respingimento”. Nello stesso tempo abbiamo avuto uno stravolgimento della politica di “buon vicinato” e di attenzione verso i diritti umani nei confronti proprio di quelle popolazioni che oggi si ribellano. Gli affari di Berlusconi hanno, in effetti, preso il sopravvento sulla politica diplomatica del nostro paese.

E così il Sultano di Arcore ha stretto amicizia verso i peggiori governanti, quei “vicini di spiaggia e di ombrellone” che potevano arricchire lui e la sua cerchia di “famigli”: sfruttamento delle fonti energetiche, infrastrutture, telecomunicazioni e media, società immobiliari, ecc… Ecco spiegata la diffidenza e lo scherno con cui viene giudicato il regime berlusconiano dalle amministrazioni americane, sia la repubblicana “dell’amico” George W. Bush, sia “dell’abbronzato” Obama, come i dispacci  diplomatici segreti pubblicati a Wikileaks certificano.Il regime autocratico del Sultano di Arcore è certo al tramonto, tanto che anche formalmente il governo italiano ha due presidenti: uno per l’interno, Berlusconi, con il suo carico di conflitti di interessi e le sue battaglie per la sopravvivenza scatenata contro i giudici e i media “nemici”; uno per l’estero, Tremonti, che ovunque vada a rappresentarci nei consessi più importanti, porta una ventata di “ribellismo” contro il sistema bancario internazionale, la speculazione finanziaria e le tassazioni di comodo, che privilegiano solo chi ha capitali da investire in operazioni “mordi e fuggi”.

Questa dicotomia nel modus operandi del governo italiano ha procurato non pochi disastri verso le “cancellerie” alleate e sta pregiudicando il livello di affidabilità del nostro “sistema paese”. Non aiuta, poi, l’assenza di ruolo internazionale nelle tormentate vicende dell’altra sponda, quella afro-araba, del Mediterraneo, i cui sistemi tirannici stanno cadendo o implodendo, lasciando per le strade centinaia di morti.  Anzi, le poche sortite pubbliche di Berlusconi sono solo di apprezzamento dei governanti contestati aspramente dalla piazza: il tunisino Ben Alì, l’egiziano Mubarak, il libico Gheddafi. Meglio per l’imbonitore televisivo mantenere ben saldi i legami con quei regimi dove sono ben oleati i comitati d’affari! Ma quello che succede sull’altra sponda del Mare Nostrum, è stato reso possibile sia dalla caduta di tutte le ideologie (questa volta anche il pernicioso liberismo capitalistico), sia da quello “chef geopolitico” di Obama, che ha tolto i coperchi malmessi sopra i pentoloni ormai sbuffanti di fumo e vapori bollenti, provenienti dai paesi islamici in fibrillazione.

Questa politica di intervento mediatico rapido e senza appelli di Obama può far sperare che, anche in una situazione analoga nel nostro paese, gli Stati Uniti facciano pressioni, affinchè il regime autocratico venga spazzato via da una nuova classe dirigente. Se nei paesi rivieraschi, i sistemi istituzionali sono sempre stati tenuti in piedi dal “protettorato militare”, anche laddove esistevano “democrazie a potere limitato”, in Italia questo ruolo di supplenza lo ha sempre svolto la magistratura: di mantenimento dello statu quo, durante gli anni bui dello stragismo e del terrorismo rosso e nero (allora predominava ancora un vertice giudiziario di provenienza neofascista); dagli anni Ottanta ( con lo scandalo P2) ai Novanta (lotta alla mafia di Falcone e Borsellino, “Mani pulite” del pool di Milano), fino ai nostri giorni con gli scandali sessuali del premier e lo scoprimento delle varie “cricche” affaristiche con protagonisti i suoi “famigli”.

Solo una difesa dei principi fondamentali come quelli sanciti dalla Costituzione repubblicana, le nostre laiche “Tavole delle leggi”, con la discesa in piazza del più vasto schieramento di popolo, potrà sbloccare questo “nodo gordiano” che sta soffocando la democrazia italiana, che sembra in preda ad un incubo senza via d’uscita. E solo con il superamento delle gelosie di appartenenza, della ricerca spasmodica e spesso fratricida di leadership antiberlusconiane, degli schieramenti tra destra e sinistra, oggi si potrà ottenere anche il sostegno fondamentale delle principali cancellerie del mondo, a partire da quella Obama. Poi, una volta terminata la fase del tourbillon iconoclastico, ognuno potrà ritornare a sentirsi di destra o di sinistra, ognuno potrà coltivare le proprie identità ideali e culturali. Poi, sarà salvata la Costituzione, la democrazia, la libertà e la dignità di un paese che ha inventato la giurisprudenza, è stata la culla del Cristianesimo, ha dato i natali ai più grandi geni dell’arte ed ha indicato al mondo intero che un’altra via è possibile per coniugare capitalismo, liberalismo, solidarietà e diritti sociali collettivi.

Stavolta il Vento della libertà non soffia dal Nord, come ai tempi del Risorgimento e della Resistenza,  ma dal caldo Sud desertico, da quella culla della civiltà per secoli oppresso e depresso da califfati, sultani e conflitti di interessi.

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