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Articolo 21 - Editoriali
Prodi, lâ??informazione e i retroscena sullâ??Ulivo
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di Romano Prodi*

Caro Direttore, in questi giorni, distratto come sono dai molti impegni che sono seguiti, anzi, felicemente seguiti al voto di domenica e lunedì scorso, confesso che seguo i giornali con meno attenzione del solito.
Il titolo, "Tv e ministeri, nell'Ulivo c'è già chi prenota poltrone", col quale il suo giornale ha oggi pubblicato un articolo di Maria Teresa Meli, mi ha, comunque, incuriosito ed indotto ad una lettura attenta. Una lettura che mi spinge a chiederle ospitalità per una riflessione breve ma non per questo priva di serietà.
A questo punto, i lettori potrebbero pensare che io intenda intervenire, magari per smentirle, sulle ambizioni ministeriali attribuite ai maggiori esponenti del centrosinistra.

Non è così. Il tema che mi preme affrontare è quello dell'informazione e, per essere più preciso, della credibilità dell'informazione.
E' la stessa signora Meli che mi induce a parlare di questo quando, nelle prime righe del suo articolo, riprendendo il contenuto del colloquio che avevo avuto il giorno prima con un giornalista del «Corriere» e cinque altri suoi colleghi provenienti da altrettanti grandi quotidiani italiani, mi attribuisce la seguente frase: «Basta con i virgolettati sui giornali attribuiti a noi dell'Unione: dovremo provvedere».
Detta così, sembra che io abbia voluto reagire ad un'informazione troppo invadente o fastidiosa nei confronti della mia parte politica.
Non è così. Il mio lamento non era provocato dalla puntigliosità o dall'aggressività dell'informazione ma da quella che è, spesso, troppo spesso, la sua mancanza di attendibilità.

Troppo spesso, infatti, nel raccontare le vicende della politica, i giornali e i giornalisti italiani si abbandonano all'abitudine di spacciare per autentiche parole e frasi che non sono mai state realmente pronunciate.
E' sufficiente che nei corridoi della politica o a margine delle tante riunioni che avvengono quotidianamente circoli una chiacchera, è sufficiente che qualcuno dica che quell'altra persona ha detto ed ecco che sui giornali appaiono, presentate come autentiche, parole che nessuno ha mai davvero pronunciato e che nessuno si è mai preoccupato di verificare alla fonte.
Il timbro di verità offerto al lettore sono le virgolette. Si mettono le virgolette e, come nei fumetti dove si vedono le parole uscire dalle bocche dei personaggi, i lettori sono indotti a pensare che si tratti di dichiarazioni autentiche.
Non serve protestare, non serve smentire. La risposta standard che viene dai giornali, ai quali spetta il privilegio dell'ultima parola, è, quasi sempre, una sola: «sono parole che abbiamo raccolto da una fonte attendibile». Fonte attendibile, naturalmente, tra virgolette. Senza né nome né cognome.

Non sono d'accordo. Non è così che si offre un'informazione credibile. Non è così che si aiuta la politica, troppo spesso piegata su stessa e sulle proprie piccole vicende, a concentrarsi sui problemi veri del Paese.
Mi auguro sinceramente che il «Corriere» voglia essere in prima fila per contribuire a cambiare questa cattiva abitudine del nostro giornalismo.

*leader dellâ??Unione

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