Articolo 21 - Editoriali
Il mistero dei papisti invasati
di Enzo Costa
Però la curiosità antropologica mi resta, davanti all’indicibile spettacolo di certi papisti impegnati nella missione impossibile di difendere l’autodifesa di Papi nel (perdonate la parolaccia) Rubygate. Al di là del disgusto etico e politico che mi procura una faccenda simile, non riesco a soffocare una vocina che è in me e mi sussurra: “Ma ci credono davvero? Ma quali molle psicologiche li attivano? Ma a casa, non gli dicono niente, non si imbarazzano, non si preoccupano?”. L’ultima volta è stata osservando la pidiellina Bernini a Otto e mezzo sulla 7. Triplice, il motivo della sete di conoscenza che mi suscitava: il fatto che sostenesse una tesi insostenibile; il fatto che la sostenesse con un trasporto irrefrenabile; soprattutto, il fatto che in altre occasioni, precedenti a questa vicenda, io l’avessi vista pronunciare parole per me non condivisibili ma comprensibili, esposte in forma argomentativa, con accenti non fanatici. Ecco, una così, non esattamente una variante femminile di Capezzone, né tantomeno una velina rifilata alla politica, ora era lì, davanti a Lilli Gruber, ad affermare che il Premier aveva telefonato in questura perché sinceramente convinto che Ruby fosse la nipotina di Mubarak. Meglio: non lo affermava: lo ripeteva come un pappagallo arteriosclerotico. La cui iteratività sonora era direttamente proporzionale alla potenza di emissione: più ribadiva il concetto inconcepibile più alzava il volume, oltre ad acutizzare il tono. Una visione, per me, allucinante, inquietante, sconvolgente, e proprio per questo (sgomento a parte) intrigante: ma come aveva potuto ridursi così? Domanda che prendeva a presentarsi e ripresentarsi nella mia mente fino a diventare un pensiero fisso dopo che qualcuno in studio (non ricordo più chi) aveva obiettato: “Ma se davvero voleva evitare un incidente diplomatico, perché non si è attivato con l’ambasciata egiziana, e invece ha contattato una consigliera regionale lombarda che poi ha consegnato la ragazza ad una prostituta?”. Obiezione più che ragionevole: sana. Dettata dal buon senso, dalla logica, dalla funzionalità neuronale. Alla quale la Bernini opponeva una sorta di silenzio invasato: non rispondeva nel merito, rifugiandosi nel precedente, martellante refrain. Da quel momento, non ho più avuto pace: non c’è istante in cui io non mi chieda come sia stato possibile, quale oscuro meccanismo emotivo, fattore inconscio, agente psichico pre-politico abbia conciato così una stimabile onorevole. Più me lo chiedo e più non mi rispondo. Mi divora una curiosità profonda, attonita e desolata: qualcuno mi può aiutare?
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