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Articolo 21 - Editoriali
Perchè sarò anch'io nel corteo “per la Costituzione” il 12 marzo a Roma
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di Fernando Cancedda

Perché sarò in piazza sabato 12 marzo a difesa della Costituzione? La mia risposta eccola. Non è esatto quello che i leaders  dell'opposizione vanno ripetendo in questi giorni, che il presidente del consiglio, anziché governare, “pensa soltanto ai suoi processi” (vedi anche un titolone di repubblica sulla quarta pagina del 6 marzo). Nel populismo di Berlusconi c'è ben altro che una preoccupazione per le sue vicende giudiziarie. Ciò che domanda, anzi pretende, è che il paese pensi, dica e faccia quello che piace a lui. In particolare, che accetti la sua concezione aziendale della politica come “mercato del potere”, disordinato e senza regole come quello che ha permesso e continuerà a permettere il suo monopolio.
Anche la riforma “epocale” della giustizia, che il consiglio dei ministri ha oggi approvato all’unanimità, andrebbe considerata in questo contesto, come espressione del berlusconismo più che come provvedimento “ad personam”. E poco importa se, come opportunisticamente fa notare Ghedini, i tempi previsti per la revisione costituzionale non consentono un beneficio diretto per le sorti giudiziarie del premier. Le polemiche di stampa su questo punto andrebbero giudicate, a mio avviso, riduttive e di scarsa rilevanza.
Libertà di sottrarsi alla giustizia per chi “se lo può permettere”: questo vuole il cavaliere e beninteso non solo lui. Se fossero solo in pochi ad accettare questa pretesa, lui non sarebbe arrivato ad avere la posizione che occupa da quindici anni, anzi da venti. Non senza la complicità che ha trovato negli ambienti della politica e dell'economia, legale e illegale. Che si chiamino P2 o P4, cricche o “furbetti”, l'imperativo comune è alimentare la cultura della disuguaglianza di fronte alla legge.
Fulgido esempio di tale disuguaglianza è la riconosciuta piaga dell'evasione fiscale, contro la quale  la politica italiana, sia pure in diversa misura a seconda degli schieramenti, ha sempre peccato di scarsa determinazione. Così, ogni volta che qualcuno propone, come il 6 marzo Scalfari nel suo editoriale, di “tassare subito chi ha un adeguato imponibile”, si fa presto a dimenticare in nome dell'emergenza che ogni misura di questo tipo, nella voluta assenza di una guerra efficace all'ingiustizia fiscale, non fa altro che allargare la forbice iniqua tra i redditi dei contribuenti onesti e quelli disonesti, moltiplicando il numero degli evasori che “se lo possono permettere”.
Più che una distanza generica tra i ricchi e i poveri, è quella tra gli sfruttati e gli arricchiti che dovrebbe preoccupare. Quanti sono questi ultimi? Difficile dirlo con certezza. Temo che siano ancora troppi i loro complici, tutti quelli che pensano che tentare di sfuggire, anche individualmente, alle tasse sia più conveniente che contribuire secondo il dovuto. Evasori reali o soltanto virtuali, abusivi e condonati. Temono, non senza fondamento, che un governo di centro sinistra non rappresenti una protezione affidabile  come quella di Berlusconi e soci.
Contro questa cultura dell' iniquità, purtroppo ampiamente rappresentata in parlamento, altra difesa non abbiamo che la nostra Costituzione. E quando la Consulta dichiara incostituzionale una legge, la vera domanda da porsi, come ha ricordato il presidente De Siervo, è “come mai un organo rappresentativo della sovranità popolare non si sia resa conto di aver fatto o supportato l'entrata in vigore di una norma illegittima costituzionalmente. Il Parlamento questi errori li reitera un po' a raffica”. Qualcuno risponde?
La mia risposta, e spero quella di centinaia di migliaia di cittadini, sarà intanto la partecipazione al corteo e alla manifestazione di sabato prossimo, col tricolore e la costituzione.

 

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