Clicca qui per il nuovo sito di Articolo 21 »
Ricerca con Google
Web articolo21.info
 
 
Articolo 21 - Editoriali
Le sconfitte elettorali di Sarkozy e Merkel. Un vento di rivolta soffia sull’Europa?
Condividi su Facebook Condividi su OKNOtizie Condividi su Del.icio.us.

di Gianni Rossi

C’è un vento di rivolta che soffia sull’Europa più forte, sui due paesi leader dell’Unione, Germania e Francia, che comincia a far traballare gli equilibri conservatori che hanno dominato l’ultimo decennio del panorama continentale. Due turni elettorali parziali, sulla scia delle forti contestazioni per le scelte nucleari e per le indecisioni sul come aiutare gli insorti libici contro il dittatore Gheddafi, hanno penalizzato in maniera determinante sia il presidente francese Nicolas Sarkozy, sia la cancelliera tedesca Angela Merkel. Certo si trattava di elezioni con forti connotati amministrativi, locale. In Francia c’erano le “cantonali”, una sorta di provinciali, che l’elettorato ha snobbato con un tasso di astensionismo mai visto prima, oltre il 55%. Ma pur sempre si è trattato di un test concreto  su come potrebbero andare le elezioni presidenziali del 2012. Già nelle recenti regionali francesi l’UMP di Sarkozy aveva perso quasi tutte le sfide a favore dei Socialisti della Martine Aubry.

Ora, la riconferma che il Partito Socialista francese, pur ancora in parte diviso su chi dovrà essere il “contendente” unico per la conquista dell’Eliseo, gode di un vasto consenso elettorale ne rafforza le aspirazioni a riprendersi la prestigiosa poltrona che fu un tempo anche di François Mitterrand, l’unico socialista presidente della Francia nel dopoguerra. Un successo (col 36% dei voti) comunque in parte offuscato dall’ascesa elettorale del Fronte Nazionale, il partito di estrema destra, xenofobo e antieuropeista ora guidato da Marine Le Pen, figlia del fondatore neofascista Jean-Marie. Il Louis de Funès che occupa temporaneamente l’Eliseo, come ironicamente lo hanno ribattezzato le penne satiriche francesi, per la strabiliante rassomiglianza di Sarkò con l’indimenticabile attore comico degli anni Sessanta, sta attraversando una fase discendente della sua parabola politica. Sorto nel panorama politico francese come campione della destra autoritaria, efficientista ed europeista, Sarkò riuscì a spodestare la sagoma ingombrante del suo predecessore Chirac, vincendo le presidenziali al secondo turno contro la socialista Ségolène Royal, anche grazie a strumentali aperture verso la sinistra moderata.

Fu così che nella sua prima fase presidenziale cercò di attorniarsi di alcuni esponenti di primo piano della cosiddetta “sinistra al caviale”, delusi dal gauchismo del Partito socialista e ipercritici della Royal, inserendoli nella sua compagine governativa o destinandoli a prestigiosi incarichi. Poi, però, la crisi economica che ha colpito la Francia alle prese con una forte disoccupazione e con tagli alle spese sociali (scuola, pensioni e sanità) ha di fatto riavvicinato Sarkò all’ala dei tecnocrati del suo partito. Le scelte xenofobe del suo governo contro i Rom e i maghrebini, le sue posizioni nucleariste e il suo interventismo militare nella guerra di Libia lo hanno fatto riavvicinare ad un altro “campione” della destra tradizionale, l’attuale ministro degli esteri Alain Juppè, il vero “azionista di riferimento” del partito, colui che potrebbe decidere se riproporre o meno Sarkò alle presidenziali del 2012. Ecco quindi il “restiling” del suo governo avvenuto mesi fa, con la fuoriuscita dell’ala sinistra e moderata, per cercare anche di contrastare i crescenti consensi dell’elettorato conservatore verso la figlia di Le Pen, Marine, che potrebbe persino contendergli il secondo turno di ballottaggio alle presidenziali contro il concorrente socialista.

A poco, finora, gli è valso aver messo le mani sulla Radiotelevisone pubblica, con alcune leggi disastrose che hanno riportato all’Eliseo la supervisione della nomina del vertice di France Televisions e alla drastica riduzione della pubblicità sui 2 canali generalisti, facendo precipitare il Servizio pubblico d’Oltralpe nella crisi finanziaria. E nonostante le pubbliche relazioni intrecciate dalla moglie, la modella-cantante italo francese Carla Bruni, Sarkò pare abbia anche perso il sostegno di alcuni dei suoi “cavalieri bianchi”, i 5 grandi big dell’imprenditoria e dei media (Bollorè, Bouygues, Lagardare, Dassault, Arnault). Già ha perso la “battaglia di Boulevard Blanqui”, ovvero il tentativo di scalata tramite i suoi amici al prestigioso quotidiano “Le Monde”, finito invece nelle mani del “Trio socialista”, formato da Pierre Bergè (patron del gruppo del lusso Yves Saint Laurent), Xavier Niel (proprietario dell’operatore Internet “Free”) e Matthieu Pigasse (vicepresidente europeo della potente banca d’affari Lazard e proprietario del magazine giovanile di successo Les Inrockuptibles). Non gli resta che mostrare un iperattivismo, che però non incanta più l’elettorato smaliziato francese. Quello stesso che si è messo alla finestra per osservare che fine farà l’annosa questione di chi sarà indicato come “sfidante ufficiale” a Sarkò dai vertici del PS.

Subito dopo il risultato elettorale cantonale, un gruppo di deputati socialisti ha già sponsorizzato la candidatura della Aubry; ma proprio la radicalizzazione a destra di Sarkò e l’avanzata della destra estrema, sembrano far salire le azioni dell’altro candidato-ombra, il grande economista Dominique Strauss-Kahn, Direttore generale del Fondo monetario internazionale, molto amato dagli ambienti finanziari progressisti, dall’elettorato moderato europeista e dalla stampa che conta. Per tutti, l’incognita si chiama astensionismo, quella malattia endemica che sta indebolendo la sinistra, oltre che in Francia, anche in Italia e nel resto d’Europa.

Non così determinante sembra sia stato l’astensionismo in Germania, però, alle elezioni regionali, per il rinnovo dei Lander della Renania Palatinato e Baden–Wuerttemberg, dove per la prima volta dopo 59 anni la CDU della cancelliera Merkel ha perso la presidenza e grazie al successo “stratosferico” dei Verdi anche i Socialdemocratici sono riusciti a ridimensionare le loro perdite e a sopravanzare la coalizione conservatrice al governo a Berlino. Molto, stando agli analisti e non solo, ha giocato il disastro nucleare giapponese con l’improvvisa e non convincente “conversione” alla moratoria del governo, e l’indeterminatezza della Merkel di schierarsi a favore degli insorti libici, più che le ricette anticrisi, in qualche modo “digerite” dall’elettorato, anche perché edulcorate dalla forza di interposizione della SPD, che si trova in maggioranza con gli alleati “rosso-verdi” nella Camera delle Regioni, il Bundesrat. La “sconfitta dolorosa”, come l’ha giudicata la Merkel, dopo analoghe debacle ad Amburgo e nella Nord Reno-Westfalia, potrebbe ridimensionarne il ruolo sia in Germania sia a livello internazionale, anche perché molto del suo prestigio si era basato proprio sull’intesa privilegiata con un’altra “Ombra che cammina”, il francese Sarkozy.

Le due sconfitte dei conservatori più determinanti in Europa, comunque, potrebbero in realtà indebolire le posizioni dell’Unione Europea e favorire spinte euroscettiche, guidate dalla Gran Bretagna, governata dall’altro conservatore David Cameron, e favorire un interventismo guerrafondaio, come un inasprimento delle ricette iperliberiste per contrastare le crisi economiche e finanziarie degli stati più indebitati (dalla Grecia, all’Irlanda, al Portogallo e, nel futuro prossimo Spagna e Italia). Proprio mentre si cominciano a intravedere i primi segnali della ripresa economica, grazie anche agli interventi pubblici “keynesiani” dell’amministrazione americana di Barack Obama, l’Europa corre il grande pericolo della stagflazione (stagnazione dei consumi e aumento dell’inflazione) e le grandi lobbies finanziarie bancarie si apprestano a fare aumentare i tassi d’interesse alla BCE, la Banca centrale europea presieduta dal francese Jean-Cluade Trichet, ormai al termine del mandato.

E sarebbe una iattura, perché con queste “ricette” neoliberiste la disoccupazione non diminuirebbe, i consumi languirebbero ancora, i ceti medi e i pensionati, impoveriti nel potere d’acquisto, non riuscirebbero a sostenere il peso eccessivo dei mutui, le tasse non calerebbero e le tensioni sociali esploderebbero senza alcun controllo. 

Letto 1026 volte
Notizie Correlate
Audio/Video Correlati
Dalla rete di Articolo 21