di Gianni Rossi
Cesare Geronzi lascia il timone delle Generali, il “Leone rampante” di Trieste, leader europeo delle Assicurazioni, “salotto buono” dei poteri forti italiani, incrocio delle maggiori partecipazioni azionari nelle società che contano (dai media alle banche, alla finanza, alle industrie trainanti, tipo energia e telecomunicazioni). La maggioranza dei consiglieri, riuniti in seduta straordinaria a Roma, voleva sfiduciarlo e così lui, l’uomo dalle mille risorse politiche e finanziarie, si è dimesso. Esce di scena così dal palazzo in stile dalmata di Piazza Venezia, a due passi dall’altra dimora del potere, quel palazzo Grazioli sede “alternativa” del governo berlusconiano.
Ora, la presidenza passa ad interim al vicepresidente vicario, Francesco Gaetano Caltagirone, altro “big” dell’imprenditoria romana: Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino, Piemme pubblicità, Vianini infrastrutture, Cementir, Monte Paschi di Siena, ACEA, Grandi Stazioni, presente in tantissimi consigli di amministrazione e suocero di Pierferdinando Casini, il leader dell’UDC. Da un romano “andreottiano” ad un altro romano “andreottiano”, ma più sensibile ai venti di cambiamento politico che soffiano a raffiche, come il Ponentino in questa primavera,che segna il declino del regime di Berlusconi. E sì perché, chi comanda in Generali, la società più capitalizzata della Borsa italiana, quella più internazionalizzata, con un piccolo azionariato diffusissimo, riesce a determinare gli assetti imprenditoriali, finanziari e politici.
Generali vuol dire, infatti, anche Mediobanca, l’altro storico “salotto buono” della finanza, dove da quando non ci sono più Cuccia, gli Agnelli e Pirelli, sono entrati anche alcuni “parvenu” dei nuovi “poteri forti” , come: la famiglia Berlusconi (la figlia Marina siede nel CDA) e i suoi amici, tra i quali Tarak Ben Ammar (l’imprenditore tunisino da sempre in affari nei media con il Sultano di Arcore, come nella Nessma TV di Tunisi e la Quinta Communications, insieme con Gheddafi, e membro CDA di Telecom Italia) ed Ennio Doris, comproprietario con Berlusconi di Mediolanum, altro potente conglomerato assicurativo-bancario. Geronzi aveva cercato di “comandare senza metterci i soldi e senza avere le deleghe”, come ultimamente lo aveva accusato uno dei soci delle Generali, artefice della campagna per le sue dimissioni, Diego Della Valle, ormai in rotta di collisione con gli assetti sclerotizzati dei “poteri forti” e propugnatore dello “spazio ai giovani”: facce nuove e assetti nuovi, più avanzati. Visto come il fumo negli occhi da Berlusconi e amici.
Galeotta fu per Geronzi un’intervista, in qualche modo non autorizzata dal board delle Generali, rilasciata all’autorevole quotidiano finanziario inglese Financial Times, ritenuta dai membri del CDA come un vero e proprio “abuso di potere”, lontana dalla “policy” aziendale. Ma Geronzi ha sempre fatto così: dove va, lui vuole comandare e disporre del suo potere discrezionale, in modo da influenzare anche gli eventi politici. Nasce professionalmente in Bankitalia, all’ombra di Guido Carli, ma poi con l’ascesa di Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini, se ne va in cerca di maggiori fortune, grazie anche ai buoni uffici di “Zio Giulio”, Andreotti. Prima al Banco di Napoli, esperienza deludente, e poi alla piccola Cassa di Risparmio di Roma da dove spicca il volo, organizzando la prima grande fusione bancaria degli anni Ottanta-Novanta: la piccola Cassa di Risparmio si “mangia” letteralmente il più diffuso e potente Banco di Santo Spirito (regno incontrastato della finanza cattolica e democristiana, sotto l’ala protettrice del Vaticano e di Andreotti), per poi assorbire Banca di Roma, Banco di Sicilia e altri istituti. Nasce così il colosso Capitalia, che poi sarà incorporato in Unicredit.
Geronzi diventa il “consigliere” bancario più ascoltato nei salotti che contano, la sua ascesa sembra incontrastata, anche grazie al fatto che in Bankitalia è salito al potere come governatore l’altro “cattolicissimo”, Antonio Fazio. E neppure quando la stella di Fazio si spegnerà e alcuni scandali finanziari lo coinvolgeranno con alterne fortune (Crac Cirio, Parmalat, Italcase, fallimento Federconsorzi, frode fiscale Telecom), il “piccolo” Cesare di Roma (l’altro è Romiti, storico amministratore delegato della FIAT) vedrà arrestare la sua corsa. Tanto da superarlo proprio nell’impresa, tanto agognata da Romiti: prendere le redini di Mediobanca. Ecco così, in pieno regime berlusconiano, arrivare a sedersi sulla poltrona che fu di Enrico Cuccia, il più grande banchiere italiano, che costruì Mediobanca e che per oltre mezzo secolo decretò fortune e salvataggi delle maggiori imprese, influenzando le scelte economiche del paese, ma restando sempre fuori dai giochi politici. Non così è stato per Geronzi, allievo prediletto di Andreotti, che dopo Mediobanca è riuscito anche ad ottenere il timone di comando delle Generali.
Ma sul porto sferzato dalla Bora di Trieste, il suo destino ha trovato l’ultimo approdo. Certo, c’è voluto il più carezzevole vento di Ponentino, ma l’aria tersa e troppo fina di Trieste deve avergli dato alla testa. Ha perso così la sponda sia in Mediobanca sia in Bankitalia, dove ancora per fortuna vige un’etica tra ivertici, legata ai comportamenti da “civil servant” che si rifanno a Luigi Einaudi, Raffaele Mattioli, Paolo Baffi, Cuccia e Ciampi, solo per fare qualche nome. Alle Generali ha dovuto fare i conti con gli azionisti “pesanti” e con una società talmente ricca di azionisti, che ad ogni assemblea annuale dei soci, anche i più piccoli risparmiatori si fanno sentire e snocciolano i rendiconti con minuziosità. E, soprattutto, poteva contare solo sulla delega alle comunicazioni istituzionali con il suo fido collaboratore di sempre, Luigi Vianello, anche se usava dire che a lui per gestire gli affari “bastava solo un telefono”.
Le sue dimissioni, decise dalla prova di forza anche degli uomini di Mediobanca, sono il segnale che sia nei “salotti buoni”, sia dentro Confindustria, sia in alcuni settori della politica moderata (il Terzo polo di Casini-Fini-Rutelli, ma anche “Italia Futura” di Luca Cordero di Montezemolo), la misura del regime tentacolare di Berlusconi è colma! E’ ancora presto per fare analisi approfondite, decodificare strategie a breve, ma certo gli equilibri che hanno permesso a Berlusconi di non avere oppositori dentro ai “salotti del potere” si sono rotti. L’isolamento dell’attuale vertice di Confindustria parla chiaro. E’ probabile che anche dentro al Vaticano alcuni alti esponenti abbiano dato il via libera al “dimissionamento” del “cattolicissimo” Geronzi, per dare un segnale allo stesso Berlusconi. E’ vero che la politica si fa dentro le aule del Parlamento e nelle piazze, ma se fosse ancora il tempo della politica trasparente con la “P” maiuscola. Ma così in Italia non è! E anche nel passato della storia repubblicana i “poteri forti” hanno determinato scelte, fortune, alleanze, separazioni, intrighi di palazzo.
Con la FIAT ormai americanizzata; i grandi gruppi editoriali a rischio di essere controllati dalla “galassia berlusconiana” (specie RCS-Corriere della sera); le TLC allo sbando con Telecom Italia, in mano agli spagnoli, balbettante e bloccata dai debiti e dalle assenze di scelte del governo sulla “banda larga”; le maggiori banche in debito di ossigeno e con le fondazioni sempre più golosamente appetite dai partiti al governo (in primis la Lega di Bossi e lo stesso Tremonti); le imprese strozzate dai debiti e dai restringimenti dei crediti, proprio in piena crisi economica; ecco, in questo panorama socialmente instabile e preoccupante per le sorti della stessa democrazia, i cosiddetti “poteri forti”, i maggiori imprenditori che fanno parte dei “salotti buoni”, hanno bisogno di creare nuove condizioni di alleanze, di voltare pagina. Di attraversare il “deserto” verso un orizzonte più europeo.
Berlusconi ha disatteso tutte le promesse: non ha fatto nessuna riforma del mercato, nessuna liberalizzazione, nessun taglio delle imposte, ha addirittura ristretto la libertà di concorrenza, allargandosi invece come una piovra su molti settori economici e finanziari, ben oltre i media. Insomma, il Sultano di Arcore ha fatto i suoi affari privati e quelli dei suoi sodali e familiari, macinando profitti e aumentando esponenzialmente le sue ricchezze, stringendo in un angolo tutti gli altri che lo avevano delegato a rappresentarli in politica. Siamo agli inizi, ma stavolta si è partiti con i fuochi d’artificio! Il che potrebbe portare a capovolgimenti impensabili e anche repentini in campo degli assetti economici e in quelli politici. E’ probabile che si sbloccherà la ritrosia del Terzo Polo a tentare un’alleanza con il centrosinistra, per modificare la legge elettorale e andare alle elezioni anticipate insieme, per poi una volta riscritte le regole, ognuno proseguire per la propria strada. Ma è anche probabile che la “disattenzione” interessata del Vaticano e le divisioni “strumentali” in campo sindacale finiscano a breve, riportando in campo forze nuove, cattoliche e sociali, insieme a chi già sta scendendo in piazza per cercare di far cadere Berlusconi.