Articolo 21 - INTERNI
Sit-in a Roma: continua l'odissea dei lavoratori di Rosarno
di Bruna Iacopino
“Droits, droits” grida un ragazzo di colore di fronte ad un megafono. Lo grida con tutta la voce e la forza che ha in corpo, affinchè quel grido possa raggiungere il “palazzo” quello che si trova al di là della strada, al di là del traffico costante e rumoroso di Roma, al di là delle transenne e della polizia messa a guardia. “Permit de sejour” continua apostrofando in francese, quello appreso da bambino nella sua terra natale... se le stesse cose le avesse dette in italiano non avrebbero sicuramente avuto la stessa forza e incisività.
I lavoratori migranti di Rosarno ( quelli arrivati a Roma) sono tornati ieri in Piazza Santi Apostoli. Si sono ritrovati in una cinquantina di persone, tra migranti e italiani facenti parte della rete antirazzista romana, per tornare a chiedere con urgenza un incontro col prefetto, incontro atteso da mesi, ma ancora sospeso, come sospesa è la sorte di questi “senza diritti”. Dopo un primo contatto interlocutorio, avvenuto il 9 febbraio scorso, la prefettura non ha ancora acconsentito ad un incontro ufficiale al fine di trovare una soluzione degna per uomini che chiedono soltanto di poter vivere e lavorare onestamente sul suolo italiano. In seguito ai fatti di Rosarno, infatti, il permesso di soggiorno per motivi umanitari era stato concesso solo a 11 dei feriti, mentre per tutti gli altri rimaneva soltanto la via della fuga, o come sostengono le reti antirazziste “ della deportazione”.
I 150, che da Rosarno sono approdati a Roma, riuniti in assemblea ( ALAR) e sostenuti dalle realtà di movimento della capitale, si sono già mossi diverse volte, con manifestazioni di protesta, sit-in, conferenze stampa, per raccontare e raccontarsi per chiedere che ... nell'Europa dei diritti, nel'Italia dei diritti, anche a loro “sono dovuti” dei diritti.
“Perchè noi non siamo clandestini, siamo migranti, ma non clandestini!” Strilla al megafono un altro ragazzo nel corso del sit-in, dove a turno, si prende la parola.
Da due mesi, a Roma, vivono in condizioni precarie: in molti dormono all'addiaccio, per strada, dove capita, altri, più fortunati hanno trovato posto e ospitalità all'interno dei centri sociali e degli edifici occupati, in pochi, pochissimi, all'interno di strutture religiose.
Mancano di tutto, dei più elementari mezzi di sostentamento: quello che hanno per vivere è frutto della rete solidale che si è stretta intorno a loro e continua da accompagnarli in questa battaglia.
Sono visibilmente stanchi. Stanchi dello sfruttamento subito a Rosarno e nelle “tante Rosarno d'Italia”, eppure nonostante, questo, vista la mancanza di risposte istituzionali, in quelle “Rosarno” sono anche diposti a ritornarci pur di avere un lavoro con cui poter campare e, magari, inviare qualche soldo a casa.
E, visto l'approssimarsi della stagione estiva e la raccolta dei pomodori, la prospettiva si fa man mano più concreta.
Nel frattempo attendono e chiamano a gran voce i responsabili istituzionali perchè non si voltino dall'altra parte e si assumano le proprie respnsabilità. “ Tutti hanno presentato formale richiesta di protezione umanitaria – si legge nel volantino distribuito ai presenti- in ragione delle situazioni oggettive di pericolo e di persecuzione nei loro paesi d’origine, rinforzate dalle condizioni di sfruttamento para-schiavistico vissute nella campagne calabresi e dai relativi traumi psicofisici riportati come esito drammatico delle aggressioni subite.”
“Dopo quelle vicende in tanti - spiega un attivista della rete antirazzista – soffrono di disturbi da stress post-traumatico... ”
Rosarno non è mai finita.
I lavoratori migranti di Rosarno ( quelli arrivati a Roma) sono tornati ieri in Piazza Santi Apostoli. Si sono ritrovati in una cinquantina di persone, tra migranti e italiani facenti parte della rete antirazzista romana, per tornare a chiedere con urgenza un incontro col prefetto, incontro atteso da mesi, ma ancora sospeso, come sospesa è la sorte di questi “senza diritti”. Dopo un primo contatto interlocutorio, avvenuto il 9 febbraio scorso, la prefettura non ha ancora acconsentito ad un incontro ufficiale al fine di trovare una soluzione degna per uomini che chiedono soltanto di poter vivere e lavorare onestamente sul suolo italiano. In seguito ai fatti di Rosarno, infatti, il permesso di soggiorno per motivi umanitari era stato concesso solo a 11 dei feriti, mentre per tutti gli altri rimaneva soltanto la via della fuga, o come sostengono le reti antirazziste “ della deportazione”.
I 150, che da Rosarno sono approdati a Roma, riuniti in assemblea ( ALAR) e sostenuti dalle realtà di movimento della capitale, si sono già mossi diverse volte, con manifestazioni di protesta, sit-in, conferenze stampa, per raccontare e raccontarsi per chiedere che ... nell'Europa dei diritti, nel'Italia dei diritti, anche a loro “sono dovuti” dei diritti.
“Perchè noi non siamo clandestini, siamo migranti, ma non clandestini!” Strilla al megafono un altro ragazzo nel corso del sit-in, dove a turno, si prende la parola.
Da due mesi, a Roma, vivono in condizioni precarie: in molti dormono all'addiaccio, per strada, dove capita, altri, più fortunati hanno trovato posto e ospitalità all'interno dei centri sociali e degli edifici occupati, in pochi, pochissimi, all'interno di strutture religiose.
Mancano di tutto, dei più elementari mezzi di sostentamento: quello che hanno per vivere è frutto della rete solidale che si è stretta intorno a loro e continua da accompagnarli in questa battaglia.
Sono visibilmente stanchi. Stanchi dello sfruttamento subito a Rosarno e nelle “tante Rosarno d'Italia”, eppure nonostante, questo, vista la mancanza di risposte istituzionali, in quelle “Rosarno” sono anche diposti a ritornarci pur di avere un lavoro con cui poter campare e, magari, inviare qualche soldo a casa.
E, visto l'approssimarsi della stagione estiva e la raccolta dei pomodori, la prospettiva si fa man mano più concreta.
Nel frattempo attendono e chiamano a gran voce i responsabili istituzionali perchè non si voltino dall'altra parte e si assumano le proprie respnsabilità. “ Tutti hanno presentato formale richiesta di protezione umanitaria – si legge nel volantino distribuito ai presenti- in ragione delle situazioni oggettive di pericolo e di persecuzione nei loro paesi d’origine, rinforzate dalle condizioni di sfruttamento para-schiavistico vissute nella campagne calabresi e dai relativi traumi psicofisici riportati come esito drammatico delle aggressioni subite.”
“Dopo quelle vicende in tanti - spiega un attivista della rete antirazzista – soffrono di disturbi da stress post-traumatico... ”
Rosarno non è mai finita.
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