di Paolo Pombeni
da Il Messaggero
LA GENTE forse fatica a capire fra la ridda di formule per addetti ai lavori, ma alle radici della crisi attuale c'è una querelle che risale addirittura ai tempi della Costituente. Già da allora si discuteva sulla tipologia da scegliere per la funzione di governo e molti personaggi inclinavano per un governo ??forte?. Alle spalle c'era ancora l'incubo della grande depressione e l'immagine, per molti, del presidente americano Roosevelt, che aveva guidato il suo paese verso un ??nuovo obiettivo? (new deal) imponendosi sull'immobilismo di molti ??poteri forti?. Naturalmente, all'opposto, potere forte richiamava le pretese di Hitler e Mussolini, che non avevano proprio portato i loro paesi al successo.
Una certa vulgata tende oggi a scrivere che perciò alla fine prevalse l'idea di un governo (molto) ??parlamentare?, cioè basato su un delicato e continuo equilibrio tra tutte le forze presenti in Parlamento, al limite poi del consociativismo più spinto e quindi del blocco di ogni capacità decisionale e di intervento, regolarmente bloccata da una selva di poteri di veto.
In verità, le cose non andarono proprio così perché, sia pure in modo un po' tortuoso, la formula scelta fu il ??governo di direttorio?. Il termine non è di quelli intuitivi, ma voleva indicare un sistema di potere che si fondava su una coalizione di partiti ??importanti?, i cui leader condividevano la responsabilità della formazione di un certo indirizzo politico in quanto depositari di strumenti forti di mediazione con sezioni della società civile.
Qualcuno ricorderà (speriamo) che De Gasperi, dopo la vittoria elettorale schiacciante del 1948, non volle che la Dc governasse da sola e preferì la formula della coalizione centrista, in omaggio a quella scelta del ??governo di direttorio?.
Oggi stiamo tornando a quel dibattito. Berlusconi ha portato al successo la formula ??decisionista? che già a suo tempo aveva invocato Bettino Craxi. Del resto anche l'attuale centro-sinistra scommetteva sul ??governo forte? (che poi facesse fatica ad incoronare un leader, è un altro paio di maniche). Con grande coerenza il Cavaliere ha portato avanti l'idea che la soluzione dei problemi italiani stesse nell'affidarsi al ??ghe pensi mi?. Il suo successo è sembrato definitivo quando anche l'opposizione ha inclinato verso quella deriva (campagna elettorale per Rutelli come sfidante).
Le fortune elettorali non hanno però sostenuto quell'impostazione ed oggi l'Udc chiede, né più né meno, di tornare al ??governo di direttorio? (ora definito ??di coalizione?). La sostanza è che, secondo il partito di Follini, si deve tornare ad un sistema in cui l'elaborazione della linea politica nasca dal confronto costante fra le componenti, senza privilegi interni per alcuna, solo perché questa sarebbe più funzionale al sostegno di qualche disegno del leader (leggasi Lega e una parte di An).
Questo ci riporterà alla deviazione dell'ultima fase della prima repubblica, quando al governo di direttorio si sostituì un consociativismo che cacciava tutto nella grande palude immobilista? La domanda è maliziosa, perché lega indissolubilmente una patologia con una forma di per sé sana.
Sarebbe assai più rilevante chiedersi se esistano oggi le condizioni per un governo di direttorio (di destra e/o di sinistra). Perché alla base di quel sistema stanno dei partiti efficienti e capaci di essere tramite efficace e reale con una società civile strutturata. Più di un osservatore dubita che queste due realtà esistano ancora. I partiti, per dire solo di quelli della attuale maggioranza, non navigano in floride acque. I leader Udc stanno lottando con pazienza per ricostruire quel tipo particolare di partito, ma hanno ancora molto lavoro da fare.
Infine, e non è cosa da poco, una società civile ??strutturata? è dubbio che esista ancora. Insomma, la partita che si sta giocando è tutto meno che un ??teatrino della politica?.