di Gianni Rossi
Come guadagnare di più, pur perdendo quote di mercato? Semplice, grazie al conflitto di interessi del proprietario della società e al “potere di persuasione” che gli deriva dal fatto di essere il Presidente del consiglio. Nella sua Relazione annuale sul 2010, il Presidente dell’Authority per le TLC, Corrado Calabrò, non cita mai il nome di Berlusconi come responsabile dell’assenza di concorrenza nel mercato radiotelevisivo, ma le cifre che enuncia sono più chiare di qualsiasi indicazione palese. Nel 2010 Mediaset conquista il primo posto e supera SKY Italia nella classifica dei ricavi, mentre la RAI scende dal primo al terzo posto.
"Il sistema televisivo italiano”, sottolinea Calabrò nella Relazione, “cresce del 4,5% in termini di risorse e si consolida in una tripartizione delle stesse tra Rai, Mediaset e Sky: Mediaset rappresenta il 30,9% delle risorse complessive, Sky il 29,3%, Rai il 28,5%". In particolare, Mediaset cresce nei ricavi dell'8.1% e nel 2010 è a quota 2.770,60 milioni di euro (contro i 2.562,98 del 2009), Sky registra un +1.8% e raggiunge i 2.630,76 milioni (nel 2009 era a 2.583,18 milioni), la Rai ottiene un +2.5% e raccoglie 2.553,84 milioni (2.490,25 nel 2009). Segue a netta distanza Telecom Italia con una fetta dell'1.8% (seppure con una crescita del 4.9% dai 152,68 milioni del 2009 a 160,17 del 2010). "Nella raccolta pubblicitaria, Mediaset - precisa Calabrò - con il 38% degli ascolti, attira il 56% delle risorse pubblicitarie; Sky meno del 5%. La Rai, con circa il 41% degli ascolti, controlla il 24% della pubblicità", essendo sottoposta a "uno stringente limite di legge".
In pratica Mediaset perde ascolti (dal 39,29% del 2009 al 38%), ma aumenta la raccolta pubblicitaria in termini assoluti, restando al 56%, a scapito della RAI che pure rispetto al 2009 ha perso solo lo 0,41%, ma ha incassato una torta inferiore di pubblicità, passando dal 25,6% al 24%. Più successi nei programmi, minori incassi: è il paradosso del mercato ingabbiato dal conflitto di interessi!Nell'andamento degli ultimi due anni, Mediaset ha visto aumentare i ricavi da spot dai 2.251,45 milioni del 2009 ai 2.413,50 del 2010 e quelli da offerte pay da 311,53 milioni a 357,10 milioni, mentre Sky ha aumentato la raccolta di pubblicità da 154,67 milioni a 190,5 milioni e i ricavi da tv a pagamento da 2.428,50 milioni a 2.440,17 milioni. Per la Rai, i ricavi da canone sono cresciuti da 1.531,53 milioni del 2009 a 1.558,44 del 2010, gli introiti pubblicitari da 909,90 milioni a 946,58 milioni. Insomma, per il Servizio pubblico è allarme rosso per i ricavi, tanto da far rinnovare a Calabrò la richiesta di riformare il sistema di gestione di Viale Mazzini. Una nuova governance “duale” della Rai che separi ''la funzione di servizio pubblico'' da ''quella più a vocazione commerciale'', sostiene Calabrò: ''è una riforma scomoda che non piace ai partiti che albergano nell'azienda e non piace ai concorrenti che mal vedono una Rai più competitiva''.
Altra denuncia di Calabrò è la massiccia evasione del canone: "E' intollerabile il livello di evasione del canone. Con il canone non riscosso la Rai sarebbe il primo operatore". In particolare, si ricorda nella Relazione, secondo le stime della Corte dei Conti a fine 2009 l'evasione dal canone ordinario si attesta intorno al 26,5%, "con un mancato introito per l'azienda di oltre 500 milioni di euro". Ora tocca alla nuova DG, Lorenza Lei, tentare di risalire la china scivolosa della “montagna incantata”: archiviati i nuovi palinsesti autunnali, risolta la querelle con Santoro (scontentando le opposizioni, ma anche tutta l’opinione pubblica), ora deve stringere i tempi per rinnovare i contratti con gli altri autori “scomodi” al potere berlusconiano, tutti della “scuderia Raitre”. Non solo, ma deve sciogliere i nodi dell’organizzazione interne, rivalutando le energie professionali da anni mortificate ed emarginate, mobbizzate; riformare la macchina produttiva, ridando slancio all’ideazione e produzione interna, a scapito degli appalti monopolizzati da 4 società, che operano anche con il concorrente Mediaset; ridare autonomia al servizio pubblico e difenderne il pluralismo; selezionare i dirigenti per i nuovi incarichi attraverso curriculum professionali e non tenendo conto delle pressioni lobbistiche provenienti da Palazzo Grazioli.
Un compito arduo, certo, ma necessario, come il rivedere l’abolizione del contratto con SKY per la diffusione del segnale sul satellite (una perdita annuale sui 50 milioni di euro); l’uso più efficiente e remunerativo dei ponti di trasmissione, anche per sviluppare le nuove tecnologie trasmissive Internet. Buttarsi a capofitto per ottenere in tempi stretti l’aggancio del canone alla bolletta elettrica, giustificato anche dall’uso massiccio che gli utenti fanno dell’ADSL per vedere programmi TV e ascoltare la Radio via WEB.
Per il resto, Calabrò avverte governo e forze politiche di due situazioni critiche: la Banda larga e l’assenza di regole sul mercato delle risorse pubblicitarie nel prospero mercato della Rete.L'Italia, nella banda larga, è "sull'orlo della retrocessione in serie B. La percentuale di abitazioni connesse alla banda larga (fisso e mobile) è inferiore al 50%, a fronte di una media europea del 61%". Inoltre "esiste ancora un 4% di digital divide da colmare, cui si aggiunge circa il 18% della popolazione servita da adsl sotto i 2 Mbit al secondo". Tutto questo, avverte Calabrò, "potrebbe anche precludere all'Italia la possibilità di estendere il servizio universale alla banda larga". Calabrò rileva in generale che nelle TLC "abbiamo un'Italia a due velocità". A fronte della grande diffusione della telefonia mobile, con oltre una sim e mezza per abitante e con i 12 milioni di italiani che navigano dal telefonino (e con i problemi di traffico già evidenziati nella Relazione dello scorso anno), "nella rete fissa, invece, la situazione è più stagnante, sebbene oltre 5 milioni di linee siano attive in unbundling e nonostante il miglioramento della qualità della rete.
La penetrazione del 22% della banda larga fissa migliora il dato del 20,6% dello scorso anno, ma rimane indietro rispetto alla media Ue del 26,6%". Insomma, "il modello della connessione dal computer fisso ancora non si afferma: non ci si abbona alla banda larga anche quando è disponibile e spesso anche con tariffe promozionali convenienti", anche perché "il fondamentale gap digitale dell'Italia è innanzi tutto culturale e di alfabetizzazione informatica".
Anche nel nostro Paese, testimonia il Presidente dell’Authority, è boom dei social network, che ovunque "stanno cambiando la società, il costume, le forme di democrazia, l'uso dei diritti", come dimostrano le vicende del Nord Africa e del Medioriente (oltre che delle elezioni amministrative e dei Referendum), ma gli italiani restano sostanzialmente tele-dipendenti quando si tratta di informarsi. "Nonostante le nuove tecnologie/piattaforme frammentino l'audience e spostino l'attenzione sulla rete - e benché gli italiani siano fra i più avidi consumatori di social network - il caso Italia - rileva il presidente dell'Agcom - evidenzia come sia ancora la tv il veicolo di gran lunga prevalente per l'informazione: quasi il 90% nel 2010; poi vengono i quotidiani col 61%; Internet è per ora soltanto al 20%".Il modello di tv tradizionale resta vincente: "Le sei reti generaliste di Rai e Mediaset - sottolinea Calabrò - conquistano ancora oltre il 73% di share medio giornaliero ( in particolare, le reti Rai il 38,3% dello share medio dell'anno 2010, quelle Mediaset il 35,2%,). La7 poco più del 3%. I canali tematici Rai e Mediaset rappresentano complessivamente il 5,4%. Tutti i canali Sky circa il 5% (inclusa Fox)".
E dunque, "malgrado un apprezzabile aumento degli ascolti dei canali tematici (+11%), il modello tradizionale imperante della tv generalista tiene ancora. E i principali broadcaster sono più o meno gli stessi". Calabrò spinge la sua analisi sulla centralità della tv nel sistema dei media anche sul fronte politico: "Se da una parte il processo di convergenza tecnologica giustifica una riflessione sul pluralismo 'multimediale', dall'altra una visione realistica del nostro Paese non può ancora prescindere da una particolare attenzione alla tv di casa nostra. 'In un secolo in cui l'informazione è potere - sottolinea citando Barack Obama - la televisione ne rappresenta la forza d'occupazione". Di qui la scelta di indicare "al Governo e al Parlamento l'opportunità di prorogare il divieto di cumulo tra stampa e tv", segnalazione - rivendica Calabrò - accolta dal Governo.
Infine, la valorizzazione dei contenuti online come antidoto alla crisi del settore editoriale: è la strada tracciata da Calabrò: "prosegue la riduzione delle copie vendute; le risorse attivate complessivamente diminuiscono (-4,5%), anche se nell'ultimo anno la raccolta pubblicitaria sulla carta stampata è rimasta pressoché costante". Per Calabrò, "la valorizzazione dei contenuti editoriali online è il giusto percorso. Sta di fatto - sottolinea - che la raccolta pubblicitaria online complessiva, sganciata dal concetto sempre meno definito di editoria (includendo cioé tutti i siti web e i motori di ricerca), cresce significativamente sino a sfiorare il miliardo di euro". A fare la parte del leone è Google, "il giocatore più importante, pur in presenza di concorrenti qualificati provenienti sia dai media classici, sia dal mondo delle telecomunicazioni".