di Gianni Rossi
Affari e politica in Italia hanno sempre convissuto con sistemi di scambio il più delle volte criptici, fuori dalle regole, seppure attenuate, del liberismo capitalistico. E’ come un “peccato originale” che si portano appresso le varie classi dirigenti di questo paese dall’epoca del Risorgimento fino ad oggi, passando per periodi drammatici ed oscuri come le due Guerre mondiali, il fascismo, la ricostruzione ed il boom, gli “anni di piombo”, il fenomeno stragista, lo scandalo P2, Tangentopoli, i “fatti di mafia, camorra e ‘ndrangheta”, per arrivare ai giorni nostri nel pieno del regime berlusconiano con gli scandali sempre freschi dai lavori per il G8, alla cricca, alla P3 e alla P4.
A ben vedere, si può parlare di un metodo malavitoso che si è impadronito del sistema politico, parallelamente alla dialettica democratica e allo svolgimento della vita sociale ed istituzionale. Non tutto il ceto politico è immerso in questa melma, ma non tutto è immune! Era forse profetica la Tina Anselmi, storica parlamentare democristiana, più volte ministro, ex-staffetta partigiana, presidente della Commissione d’inchiesta sulla P2, quando ricordava nei suoi appunti, dopo aver ascoltato, il 25 Novembre del 1982, il banchiere Orazio Bagnasco (immobiliarista, proprietario dei fondi fallimentari Europrogramme, vicepresidente del Banco ambrosiano ai tempi di Roberto Calvi, intrattenitore di rapporti con lo IOR, la banca del Vaticano): “Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano per creare la P3 e la P4” ( da “La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi”, a cura di Anna Vinci, edizioni Chiarelettere, marzo 2011).
E’ probabile che l’Anselmi a suo tempo credesse ancora fermamente al sistema democratico dei partiti, così come uscito dalla Resistenza e dallo sforzo unitario nel redigere la Costituzione, e così abbia usato il termine indulgente di “insensibilità”, anziché, alla luce degli scandali del Trentennio successivo: “opportunità”! La fine del liberismo capitalista, dovuta essenzialmente alla deriva monetarista che i governi conservatori e socialdemocratici hanno imboccato negli ultimi 30 anni, ha prodotto soprattutto nel nostro paese una “tecnica pragmatica” di lotta politica, parallela a quella pubblica, democratica, che si è trasformata ben presto in una “Cupola”, sullo stile delle secolari organizzazioni malavitose meridionali. Non si usano armi né metodi violenti, ma si ricorre alle cooptazioni per l’ingresso e l’ascesa nelle varie “famiglie” politiche; alla costituzione di dossier segreti con l’aiuto di settori deviati degli apparati dello stato; alla formazione di una classe politica dirigente trasversale, legata ai “poteri forti” della finanza e del Vaticano.
Ecco, quindi, che il “metodo riservato massonico” torna molto utile, che personaggi di lungo corso, come Flavio Carboni o Luigi Bisignani ed altri ancora rinascono come salamandre dalle ceneri infuocate degli incartamenti e delle inchieste dei vecchi scandali ormai gettati nel camino. Anche perché, nell’era della “politica mediatica”, imposta dal berlusconismo trionfante, la memoria storica è “un brutto vizio” che va soppiantata dalla lavanderia del “grande fratello”, che nel giro di mesi o al massimo di pochi anni, tutto rimuove e al fine riconsacra i personaggi discussi ed inquisiti di un tempo a nuova verginità pubblica, politica e imprenditoriale. Così ritorna in ballo il ruolo di Bisignani, già piduista, già uomo di fiducia per i potenti democristiani della Prima Repubblica, già indagato e condannato in Cassazione per le tangenti Enimont, persino radiato dall’ordine dei giornalisti, dove era entrato appena diciottenne.
Ma chi e perché dovrebbe tenere tanto da conto le capacità di relazioni di un “pregiudicato” come Bisignani? Semplice la risposta, perché nella deriva del regime berlusconiano, tutti i protagonisti della vita politica e affaristica degli ultimi 17 anni ( da quando cioè Berlusconi è entrato in politica), nonostante le diversità apparenti di destra, centro e sinistra, avevano bisogno di una “stanza di compensazione”, di un “mediatore” e di un “incubatore”, che fosse esterno dalle loro istanze ufficiali di partiti, banche, imprese, istituzioni. E che godesse di entrature riservate, dirette e fuori dalle logiche di schieramento in Vaticano. Dalla “Cupola al Cupolone”, insomma! Ovvero, dalle stanze del potere laico e massonico a quelle del potere ecclesiastico, che non ha mai mollato la presa sui destini dell’Italia, specie durante e dopo il pontificato di papa Giovanni Paolo II.
Il pontefice polacco per anni coprì il vescovo Paul Marcinkus, capo indiscusso dello IOR e “collettore” dei finanziamenti segreti agli oppositori anticomunisti polacchi di Solidarnosc. Non solo, ma mentre papa Wojtyla si impegnava nella sua “testimonianza martire” del cristianesimo per il mondo, alla sua “corte” si fortificavano le logge “paramassoniche” di alcune congregazioni laico-religiose. Così dentro la Curia romana si creava una sorte di governo occulto, dove alti prelati, Gentiluomini di Sua Santità, affaristi di livello e politici senza scrupoli decidevano delle sorti di uomini, società pubbliche, istituzioni, all’ombra del Cupolone. Dalle inchieste sulla P2 a quelle su Tangentopoli, la P3 e la P4, tranne il breve periodo di indagini sul caso Banco Ambrosiano-IOR, nessun magistrato ha osato oltrepassare i portoni di bronzo di Piazza San Pietro. Certo, vige l’extraterritorialità, ma il Concordato non esclude che si possa “mettere il naso” sugli affari poco chiari di cittadini italiani, che utilizzano i servizi offerti dal Vaticano, o che ricoprono incarichi di prestigio oltre Tevere. Ma è alquanto strano che non siano mai stati fatti passi autorevoli e inequivocabili per accedere ai conti riservati dello IOR, alla banca dati del servizio ispettivo del Vaticano, alle cassette di sicurezza, dove potrebbero essere custoditi documenti interessanti.
E questo, nonostante il tentato omicidio del papa ad opera di Alì Agca e del rapimento di Emanuela Orlandi. La fine delle ideologie e dei partiti come noi li conoscevamo, eredi della tradizione democratica liberale di fine Ottocento, ha portato con sé anche l’imbarbarimento della lotta politica, lo snaturamento delle tattiche, sempre più utilizzate per cercare nuove trasversalità e imporre gruppi di fidati al potere delle proprie organizzazioni. Per fare ciò, c’è bisogno di soldi, “amicizie” potenti e appunto trasversali, di informazioni riservate e di “mediatori”. Sta qui, in questo sistema decadente del regime berlusconiano che tornano utili personalità alla Bisignani, anche se si tratta di persone già entrate nel mirino delle indagini giudiziarie e passate al setaccio di processi.
Mentre Berlusconi, durante la sua permanenza ai governi, rafforzava anche grazie alle “leggi ad personam” il suo regime, la “Santa Alleanza” si estendeva ben oltre i confini della destra e degli ambienti cattolici e paramassonici. L’uso dei dossier, dei media amici, ha creato quindi un sorta di “governo ombra”, dove tutti gli attori dovevano entrare in contatto con alcune “eminenze grigie”, fuori dalle istituzioni ufficiali, pur sempre controllate, personaggi già collaudati in passato, capaci di intessere una fitta rete discreta, ai quali poter “confessare anche l’inconfessabile”: proprio perché erano, anzi sono, tenutari di segreti che nessun organo giudiziario o poliziesco è mai riuscito a penetrare.
Quando la rete a maglie concentriche di questa “Santa Alleanza” verrà spezzata (e le inchieste di questi mesi, le tante intercettazioni, i risultati politici dei Referendum, la nascita in Rete di soggetti politici estranei alle organizzazioni partitiche cominciano a creare qualche falla), probabilmente anche il nostro paese si avvierà verso forme mature di democrazia, come nel resto del Nord Europa. La pubblicazione delle intercettazioni telefoniche avvenute nel 2005 tra alti dirigenti della RAI e ambienti del potere berlusconiano, testimoniano come questo metodo si sia ormai ben radicato; come non esistano più confini tra istituzioni e settori pubblici e privati; come gli affari personali siano commisti a quelli d’interesse generale.
In RAI, mai come negli ultimi anni è diventato potente il conglomerato di interessi legati agli ambienti ecclesiastici, massonici e berlusconiani. Mentre Mediaset si avviava nello stesso periodo ad un declino ideativo, produttivo e di ascolti (ma aumentava gli introiti pubblicitari!), la RAI, pur resistendo grazie all’eredità del passato e alla massa inerziale culturale delle “maestranze” ancora legate all’idea di Servizio pubblico, si avviava verso una “sudditanza” al regime berlusconiano, che nelle sue mire ne vorrebbe fare una sorta di dependance vatican-massonica. Appalti, produzioni, scelte di dirigenti e avanzamenti di carriere: neppure all’epoca d’oro di Bernabei e Fabiani, l’ascendenza d’oltre Tevere era così forte! Anzi, per lungo tempo una certa sudditanza culturale veniva esercitata solo nel TG1 e nel Giornaleradio2. Oggi, gran parte dell’azienda di Viale Mazzini subisce nella sua politica aziendale e industriale l’ingerenza dell’ala cripto massonica e clericale della corte berlusconiana. Da qui il potere dei vari Bisignani e di quanti, ancora non scoperti ufficialmente, vestono il ruolo di “mediatori” del potere trasversale di questa scandalosa “Santa Alleanza”.