di Sandro Ruotolo
E?? importante a distanza di quasi due mesi continuare ad interrogarci su quanto è accaduto la sera del 4 marzo a Baghdad. E?? importante tanto più perché proprio in questi giorni abbiamo saputo che i lavori della commissione congiunta Stati Uniti - Italia sono bloccati perché gli americani vorrebbero scrivere nel rapporto finale che ??non si ravvisano responsabilità?.
E?? importante continuare a sollevare la questione perchè assistiamo allo sfogo di una magistratura che si vede mettere i bastoni fra le ruote, proprio nel mezzo di una difficile inchiesta. Deve essere chiaro: non si può pensare di accontentarci di una eventuale conclusione ??congiunta? della commissione tecnico-militare.
Le ipotesi al momento parlano di omicidio volontario e tentato omicidio? La magistratura italiana ha quindi il dovere e l??obbligo di fare le indagini. Per questo devono immediatamente essere rimossi gli ostacoli da parte dell??amministrazione americana.
Preparando la puntata di Primo Piano ??Io e Nicola? e sentendo Giuliana Sgrena mi sono fatto l??idea che paradossalmente l??episodio è proprio frutto della paura degli americani. E?? la dimostrazione che nonostante ci abbiano detto che la guerra è finita, la guerra non è affatto terminata. In questo caso c??è stato clamore perché è morto Nicola Calipari e perché c??era Giuliana, ma negli ultimi sei mesi a Baghdad ci sono stati quasi 300 eventi simili. Questo non può, quindi, che significare una cosa: si devono cambiare le regole di ingaggio.
Proviamo ad analizzare la dinamica della morte di Calipari. Intanto si deve considerare che il tutto è accaduto nel punto dove avvengono il maggior numero di attentati, lì passa chi va e viene dall??aeroporto, dove c??è una importante base militare americana. In pratica i soldati americani devono transitare per forza da quel punto. La pattuglia che ha sparato contro la macchina di Calipari, la sera del 4 marzo, però non doveva essere lì. Non era previsto un nuovo check point. Lo conferma il capitano Green che come ha appreso la notizia ha affermato: «ma qui non ci doveva stare nessuno». Invece qualcuno c??era. C??era una pattuglia di giovani soldati americani letteralmente terrorizzati. Ragazzi giovanissimi. Ce lo ha ricordato il maggiore dei carabinieri che era in macchina con Nicola e Giuliana: «tutti ragazzi di 22 23 anni».
Giovani, quindi, e quasi tutti latinoamericani in cerca di green card, il permesso per poter restare negli Usa a lavorare. Così quella sera si sono sommate una bassa professionalità e il terrore. Ma se tutto questo è vero, e se è vero che i morti americani dalla fine del ??conflitto? non sono mille e passa ma, come affermano fonti credibili, almeno 3mila, si ritorna al punto che siamo proprio in piena guerra. In una guerra dove fra l??altro non si rispettano le regole. La regola dice che se hai il timore di un??auto bomba devi cercare di fermare la macchina. Ma come si ferma? Uccidendo? Questa è stata la logica che ha attraversato la mente della pattuglia di soldati americani, che deve aver pensato per fermare l??auto di uccidere tutti quelli che vi erano dentro. In realtà la tecnica è un??altra: si deve colpire il motore e al limite bucare le ruote.
Gli americani hanno subito detto una serie enorme di bugie. Come quella che la macchina procedeva ad alta velocità. La macchina non poteva correre. Innanzitutto perché 160 chilometri orari, velocità dichiarata dai vertici Usa subito dopo l??omicidio, è una velocità proibitiva per una Toyota Corolla. Una 1200 di cilindrata, presa a noleggio, quella velocità non la può raggiungere. Inoltre alla guida c??era un maggiore, che era stato capocentro Sismi di Baghdad, che sapeva benissimo che quello era un punto di attentati. Non per niente seguiva una precisa procedura, che consisteva nel mettersi al centro della carreggiata perché c??erano ostacoli che bloccavano la corsia di destra e nell??avere la luce interna accesa. Erano quindi ben visibili, anche perché i soldati Usa avevano sicuramente in dotazione un visore notturno. Inoltre non potevano andare che piano perché era tutto allagato, visto che aveva piovuto moltissimo, e perché probabilmente stavano anche aspettando l??ok da parte delle autorità dell??aeroporto, che era chiuso. Poniamo che invece la versione della velocità fosse corretta: uscendo da una curva, con il bagnato, e con una ruota bucata, qualcuno pensa che la macchina non si sarebbe cappottata? Dalle foto si vede una macchina colpita dai proiettili ma non distrutta.
Piccoli particolari che confermano che è una vicenda tutt??altro che chiara. Non credo quindi che si possa risolvere tutto con la commissione di inchiesta ??congiunta?, l??azione penale è obbligatoria. Il problema è semmai come dargli i mezzi reali per poter andare avanti. E?? morto un cittadino italiano, la macchina che è stata acquistata dall'ambasciata italiana, e quindi è italiana, deve essere messa a disposizione delle autorità inquirenti del nostro Paese. Ma questo ancora non avviene. Le domande che vengono spontanee sono: noi in Iraq siamo alleati alla pari degli americani o siamo solo degli ospiti? Perché gli Usa si stanno opponendo al visionamento della macchina. Quello che è certo è che più tempo passa e più le indagini diventano difficili.
A questo punto diventa indispensabile istituire una commissione parlamentare di inchiesta. Le scuse non possono bastare. La prima cosa che si deve ammettere è che in Iraq stiamo in una situazione di guerra. Solo se siamo in guerra infatti si capisce l??eccesso e la paura. Le scuse non bastano se poi non si cambiano le regole di ingaggio. E questo fin ora non sembra essere avvenuto.
Torniamo però alla dinamica. Hanno detto stupidaggini sulla velocità. Hanno detto stupidaggini sulla raffica di avvertimento. Infatti hanno sparato più armi. Ho mostrato i fori nell??auto e quelli in entrata parlano chiaro. I colpi sul motore infatti possono essere stati deformati, ma quelli sulla carrozzeria no. Stanno lì a parlare: dicono che sono state usate più armi. Si parla poi di un numero di proiettili fra gli otto e i dodici, gli americani sostengono otto, però è anche vero che hanno affermato di aver sparato in aria e stando alle dichiarazioni del maggiore alcuni proiettili gli sono passati davanti tanto che i lunotti e i finestrini sono finiti in frantumi e quindi alcuni colpi sono entrati e usciti. L??unica certezza è che hanno sparato e hanno ucciso. E?? impressionante vedere lo schienale di Giuliana con 5 proiettili all??altezza del torace. Un particolare che senza fare retorica ci fa affermare che Nicola Calipari è stato un eroe. Non solo ha protetto Giuliana, ma l??ha anche spinta verso il basso. Cinque proiettili hanno così colpito lo schienale, il sesto ha colpito lui.
Molto si è polemizzato anche sul fatto che non erano blindati e che non avevano un convoglio di scorta. La mia esperienza mi dice che la scelta di cercare di non dare nell??occhio è stata sensata. Altre polemiche ci sono invece state sul livello di segretezza. Non so fino a che punto la Cia era stata informata, di sicuro sappiamo la vicenda dei due giornalisti francesi, e il fatto che gli americani hanno ostacolato il loro rilascio. E?? chiaro che in questo contesto l??operazione di segretezza doveva essere a compartimenti stagni: una volta avvisata l??amministrazione dell??aeroporto che si poteva rientrare con un cittadino sprovvisto di documenti non occorreva dire altro. Ricordo che quando lo Sco, il servizio centrale operativo della Polizia, arrestò Nitto Santapaola arrivarono gli uomini da Roma, affittarono le macchine a noleggio, ma non passarono a dirlo a tutti in Questura a Catania. Andarono, lo presero, portarono il detenuto mafioso in Questura a Catania per le fotografie, lo misero in un aereo e lo portarono via. Per quanto riguarda il convoglio ricordiamoci che questo è un obiettivo. In Iraq quanti ne stanno morendo al giorno di soldati Usa in ??convoglio??.
Quanto accaduto quel 4 marzo è stato a mio avviso un normale incidente di quelli che capitano quotidianamente a Baghdad in Iraq. Non credo alle dietrologie. Ma proprio perciò non si possono assolvere gli autori della sparatoria. E sciagurato è quel governo che per ragioni ??politiche? accettasse un compromesso con gli americani. Nicola Calipari non può essere eroe in patria e colpevole fuori. Lo dobbiamo a lui, a Giuliana Sgrena, alla verità.
Infine, una considerazione sui servizi segreti. Oggi ne fanno parte finanzieri, poliziotti, carabinieri? Una generazione, quella di Nicola - che io ho conosciuto ai tempi del sequestro Soffiantini - di gente che in questi anni ha vissuto nel Paese. Anni di grandi battaglie per la legalità sia istituzionali che civili. Su questa trasformazione si deve riflette, è importante. Il fatto che Giuliana dopo 20 minuti chiamava Calipari ??Nicola? e che lui la chiamava ??Giuliana? la dice lunga di quanta distanza c??è fra questi servizi e quelli che abbiamo conosciuto. I servizi deviati, la P2, sono un??altra cosa.