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Articolo 21 - Editoriali
Corleone, i beni confiscati ai mafiosi non restano cattedrali nel deserto
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di Giuseppe Morrone

Sotto traccia, mentre la cronaca degli eventi di mafia registra poche notizie, l’onda paziente del movimento antimafia ricomincia a divenire progetto. Questo non vuol dire che la criminalità organizzata stia cedendo il passo, perché i volumi d’affari e le infiltrazioni procedono a ritmi spediti dal Sud al Nord d’Italia, dunque l’attenzione deve rimanere alta ed investire i tanti cittadini settentrionali che fanno finta di non vedere quanto parte delle classi imprenditoriali e politiche locali siano coinvolte da questi processi. Allo stesso tempo, però, la consapevolezza civile sta crescendo ed i segnali concreti che lo attestano sono molteplici, anche a livello di studi (segnalo il recente e notevole volume “Alleanze nell’ombra - Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”, edito da Donzelli).

Prendiamo ad esempio Corleone, il simbolo negativo della Sicilia negli ultimi decenni, lì dove il numero dei beni confiscati ai mafiosi inizia ad essere rilevante. A Corleone, grazie anche al valido supporto delle Amministrazioni locali, i beni confiscati ai mafiosi (dai campi agli immobili) non rimangono cattedrali nel deserto, ma letteralmente rinascono nelle mani della cittadinanza impegnata e dei volontari che da tutta Italia sostengono la cooperativa “Lavoro e non solo”, uno dei soggetti più attivi del territorio. Lo scrivo perché sono stato uno di quelle migliaia di volontari, appena tornato dalla Sicilia pieno di fiducia resistente proprio in contrasto con l’aria funesta che spira sul nostro Paese. Sono partito perché, in passato, avevo avuto modo di studiare la storia della mafia e del movimento antimafia in Sicilia, ma in Sicilia non ci ero mai stato.

Ed in Sicilia, a Corleone, ho capito che fare politica può essere anche coltivare la terra, ascoltare, viaggiare, studiare e conoscere in convivialità, raccogliere pomodori e discutere appassionatamente, pervasi di racconti, risate, dialetti e mescolanze. Ho scoperto un’altra Corleone, vivace culturalmente, vogliosa di riscatto e gelosa della propria orgogliosa storia (da Bernardino Verro a Placido Rizzotto, passando attraverso il movimento dei Fasci siciliani di fine Ottocento e le lotte contadine del secondo dopoguerra), quanto indelebilmente macchiata dalle delittuose vicende delle famiglie mafiose.

Un diverso modo di agire, di vivere e di lavorare, non fondato esclusivamente sull’egoismo bensì sulla cooperazione, esiste ed è significativo testimoniarlo in queste settimane di manovre a carico dei ceti medi e popolari e di provvedimenti governativi alieni di qualsiasi principio di reale solidarietà e giustizia sociale. A ben guardare, le straordinarie pratiche di riappropriazione e condivisione dell’antimafia sociale sui beni confiscati - siano essi a Corleone o nelle decine di altri luoghi coinvolti della Sicilia, della Calabria, della Puglia e della Campania - possono rappresentare un prezioso riferimento per una cultura di sinistra rinnovata che non rinnega i propri valori fondanti. Ed è con questa piccola suggestione che me ne sono tornato a casa, felice ed umanamente arricchito.

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