di Gaetano Alessi
Fateci caso. Il nostro è un paese che da sempre è stato diviso su tutto. Litigioso, arrogante con se stesso e spesso con chi ha avuto la ventura di nascere qualche metro più a sud. Unito da una spedizione militare 150 anni or sono e cresciuto con una solida base di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Poi il fascismo, dittatura che se non si fosse tinta di sangue potrebbe tranquillamente essere considerata da operetta. E lì, tra un paese che si sognava “impero” ma che camminava con le pezze al culo, alcuni ragazzi decisero di rendere un insieme di territori una nazione, di trasformare il concetto di “unità” in un sentimento condiviso. Innalzarono il più grande dei riferimenti etici, la libertà, e difesero quel vessillo con solidarietà, scavando fossati, prendendo la strada dei monti, morendo. Molti di questi ragazzi erano meridionali, molti di questi meridionali morirono giù al nord, su quella “Linea Gotica” che ancora ne conserva le tombe.
La Resistenza, fu chiamata, ma il concento non rende l’impatto morale che quel movimento ebbe, quei ragazzi non “resistevano”, creavano un paese diverso, più giusto, più libero. Erano pochi, ma 18 mesi dopo consegnarono agli alleati il volto pulito di un Italia finalmente liberata dallo squallore del fascismo. Quei ragazzi, i partigiani, crearono valori, unificarono non più per ragioni economiche, ma per ideali, tutto il paese. Delegarono i loro uomini migliori a scrivere quella che diventerà la più bella carta dei diritti occidentale, la Costituzione Italiana. Lavoro, solidarietà, libertà di associazione e stampa, ripudio della guerra. Valori alti, condivisi, capaci di resistere ad una “reazione” furibonda che vedeva in quelle parole, divenute di colpo ragione d’esistere di un popolo, un avversario formidabile, capace di bloccare la violenza della sopraffazione nel nostro paese. Valori che negli anni si sono incarnati in uomini come Pertini, Berlinguer, Moro, Di Vittorio ed in donne come Tina Anselmi e Nilde Iotti, divisi su molto, ma mai sui cardini che resero il nostro paese “unito e indivisibile”. Nel tempo questi uomini e queste donne sono andati via, sono spariti i loro partiti di riferimento, il lavoro è divenuto sempre più precario, la solidarietà solo una parola da spendere in qualche comizio, ed è sceso il buio. Ma anche in questa oscurità eterna il 25 aprile, il 1° maggio ed il 2 giugno hanno rappresentato la sola occasione dove un popolo disorientato tornava ad essere unito, dove una platea scollegata ormai in mille sigle trovava, intonando “Bella ciao”, il fattore comune dell’essere paese, nonostante tutto, nonostante le brutture e le debolezze, ritrovava l’orgoglio dell’essere “qualcosa”, l’orgoglio di essere figli di un atto di coraggio: la Resistenza. Bandiere le chiamano, simboli, ma sono l’essenza stessa del sentirsi uomini, del sentirsi vivi, nervi e sangue della democrazia. Valori e simboli “pericolosi” per il potere, perché uniscono, perché rendono forti un insieme di debolezze, per questo il governo più iniquo della storia vuole approfittare della scusa della crisi, per scardinare simbolicamente gli ultimi capisaldi del nostro paese. Spostare per abolire di fatto il 25 aprile, il 1°maggio ed il 2 giugno, non è abolire tre “festività”, tre date, ma è cancellare tre valori condivisi, libertà, lavoro e repubblica, che sono il collante di un nazione “atipica” come la nostra. Disintegrare l’unità non solo territoriale ma soprattutto morale dell’Italia è l’obiettivo dei vari Berlusconi, Sacconi, Bossi, Calderoni e dei loro giannizzeri meridionale come Scilipoti ed il ministro in odor di mafia Romano. Uomini al servizio non dei cittadini, ma dei loro interessi personali, dei loro gruppi di potere, di un nuovo fascismo imperante figlio della disgregazione sociale in cui, anche a causa di un opposizione spesso inerte, hanno gettato l’Italia.
Ma anche in questo buio c’è chi dice no, c’è chi si oppone con le armi della democrazia, che lancia segnali sperando che vengano colti. Uno di questi è Thomas Casadei, giovane consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna che insieme a Roberto Balzani (Univ. di Bologna, Sindaco di Forlì), Sauro Mattarelli (Pres. Fondazione A. Oriani, Ravenna) e Maurizio Ridolfi (Univ. della Tuscia, Viterbo), hanno lanciato una petizione on line http://soppressionefestecivili.blogspot.com/ invitando i cittadini alla mobilitazione. “La soppressione delle feste civili, contenuta nelle misure straordinarie di finanza pubblica del Governo di questo agosto, è un colpo molto duro inferto al già precario equilibrio simbolico su cu si regge l’identità della Repubblica – dice Casadei - Non si può, del resto, non rilevare come – sul piano politico-istituzionale – lo spostare alla domenica successiva la celebrazione della sconfitta del fascismo, della nascita della Repubblica e di quel lavoro che la Costituzione pone a fondamento dell'Italia costituisca, di fatto, la negazione di quel patriottismo costituzionale e di quella idea di democrazia sociale su cui si è costruita e sviluppata la miglior storia della nostra Repubblica”.
Sullo stesso tono l’appello lanciato da Articolo21 e immediatamente ripreso dall’Anpi. Insieme ad una scia fortissima di mobilitazione sul web. Come nelle rivolte arabe la rete diventa frontiera della difesa dei diritti e cardine dell’articolo 21 della Costituzione. Perché a ben vedere in un paese come il nostro sacche di “Resistenza” si creano ovunque e anche con una rete mediatica trasformata in propaganda dal regime berlusconiano il modo di far circolare le notizie si trova sempre. Per questo i nuovi fascismi non avranno vita facile, perché è cresciuta una generazione di nuovi partigiani, che non si piegano all’indifferenza, partecipano, lottano, amano e non si arrendono. Utilizzano la rete come grimaldello e le piazze come momento di aggregazione, vincono elezioni e referendum e trainano partiti chiamati di sinistra (ma spesso solo sinistri) rassegnati al dominio delle banche e del capitale. Come sessanta anni or sono hanno piantato il vessillo dei beni comuni e dei valori e sono disposti a difenderlo, costi quel che costi, contro tutti, anche contro i loro “interessi” personali. E come tutti i sognatori amano il bello. Fateci caso, siamo un paese diviso su tutto, ma sappiamo emozionarci ancora, sappiamo ancora costruire speranza, sappiamo ancora lottare, sappiamo ancora sognare. Edifichiamo dal niente aggrappandoci alla nostra disperazione, rompiamo le nostre rumorose solitudini costruendo suoni in un universo afono e sono vibrazioni bellissime. Chiudete gli occhi, ascoltate: Resistenza, lavoro, solidarietà, repubblica, danno vita ad una canzone bellissima che ha un solo titolo: libertà.
Non ci piegherete.
“La rosa è viva e certamente dopo la neve fiorirà”