Articolo 21 - Editoriali
Digitale, perchè no a un'asta per le frequenze?
di Vincenzo Vita
Pubblichiamo di seguito l'intervento di Vincenzo Vita durante la discussione in Senato sulla manovra finanziaria:
Signor Presidente, colleghe e colleghi, pongo qui un argomento tra i tanti che si potrebbero esporre. L'hanno fatto già colleghe e colleghi delle opposizioni. Naturalmente piacerebbe anche a me intervenire sull'orrendo articolo 8 contro il diritto al lavoro echeggiato più di una volta nelle piazze italiane di ieri. Piacerebbe anche a me interrogarmi su come mai, signor Sottosegretario, anche questa volta si va alla fiducia. Tuttavia, vorrei porre qui l'argomento che forse merita una risposta anche in quest'Aula oggi.
Signor Sottosegretario, ci inquieta - si tratta di un interrogativo - come mai a fronte di tagli tanto virulenti portati da questa manovra e rivolti a diverse classi sociali non si è preso seriamente in esame l'emendamento proposto da noi, a prima firma della presidente Finocchiaro, e condiviso dall'Italia dei Valori e dai colleghi del Terzo Polo con un emendamento omologo. Non si è presa in considerazione l'opportunità di mettere a disposizione di un'asta competitiva le frequenze per la televisione digitale, quella parte che riguarda il cosiddetto dividendo interno, cioè i broadcaster televisivi.
In verità, un'asta c'è; è in corso ed è anche molto fruttuosa per quello che viene chiamato nel gergo il dividendo esterno, ovvero per la parte telecomunicazione. Dai previsti 2,4 miliardi di euro si sta arrivando ben oltre i 3 miliardi. Perché si è scartata una simile procedura per il campo televisivo? Perché si è fatta una scelta chiamata con una terminologia mutuata elegantemente dal keynesismo - Keynes si rivolterà nella tomba - beauty contest, un modo per dire che non si fa un'asta? Uso le parole di un commentatore importante del «Corriere della sera», Edoardo Segantini, di qualche giorno fa: «Il cosiddetto beauty contest (concorso di bellezza) per le frequenze televisive è, a dispetto del nome, l'ennesima bruttura italiana nel campo dell'etere». Con lui tanti altri commentatori e anche tanti gestori che già hanno fatto ricorso ai TAR, alla magistratura su una procedura assolutamente anomala che avrebbe portato all'erario pubblico da uno a due miliardi di euro. I multiplex in discussione sono sei: cinque DVB-T, ricezione televisiva ad antenna fissa, e uno DVB-H, versione mobile. Perdonerete questa gergalità, ma serve a chiarire che stiamo parlando di cose molto concrete.
Ebbene, sei multiplex, ognuno del valore di circa 180 milioni, valgono circa un miliardo, con i rialzi d'asta, magari due miliardi, denaro importante per lo Stato democratico. Perché tutto questo non si è fatto, scegliendo la strada, già prevista tanti anni fa in Italia con la legge Mammì (1990) e ribadita con normative successive, a tutela degli interessi dominanti? Non si fa, correggetemi signori del Governo se sbaglio, perché in Italia c'è il conflitto di interessi. Se il Presidente del Consiglio non si chiamasse Silvio Berlusconi, ma in un altro modo, anche di centro-destra, e non avesse un immediato interesse a non pagare le frequenze per le sue aziende Mediaset, sicuramente avreste fatto l'asta competitiva, perché nessun Governo degno di questo nome sputerebbe su due miliardi di euro di potenziale introito in un momento in cui si taglia così tanto e si colpiscono le condizioni di un Paese che vive con difficoltà la sua quotidianità. Epifania del conflitto di interessi avrebbe detto Joyce in «Gente di Dublino». Epifania, cioè quel fenomeno che fa apparire chiaro ciò che c'è dietro ed è più grande di quello che la parola stessa dica.
È una storia antica. I canoni di concessione televisiva in Italia costano pochissimo. Io rinvio alla lettura di un materiale della Fondazione Bordoni, quindi un'entità neutra, del dicembre 2008, dal titolo «Gli Administered Incentive Prices». Questo per dire che ciò che noi poniamo è un tema cruciale.
E a dispetto di questa scelta, purtroppo c'è n'è un'altra: la bocciatura in Commissione bilancio, infatti non ce n'è traccia nel maxiemendamento del Governo, del ripristino del fondo per l'editoria. 100 testate rischiano di scomparire il prossimo anno a fronte invece dell'Epifania del conflitto di interessi.
Guardate, massimo del clamore in questa vicenda, che pure fu esaminata dalla Commissione europea e discussa, dopo un'accesa votazione, nell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a fare le spese di questa vicenda sono le emittenti locali, che rischiano di chiudere in molti casi la loro attività.
Dunque, Presidente, colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, vorrei concludere questo amaro intervento ponendo la questione di fondo: l'Italia può continuare a sopportare un Governo che, perfino in una vicenda come questa, mette i suoi interessi, in particolare quelli del Presidente del Consiglio, prima di ogni altro interesse degli italiani? Possiamo avere un sistema radiotelevisivo, che nel passaggio al digitale aveva l'opportunità di cambiare e che invece rischia di essere peggiore perfino di quello della stagione analogica? Non è più possibile! Andatevene prima che davvero sia troppo tardi. i).
Signor Presidente, colleghe e colleghi, pongo qui un argomento tra i tanti che si potrebbero esporre. L'hanno fatto già colleghe e colleghi delle opposizioni. Naturalmente piacerebbe anche a me intervenire sull'orrendo articolo 8 contro il diritto al lavoro echeggiato più di una volta nelle piazze italiane di ieri. Piacerebbe anche a me interrogarmi su come mai, signor Sottosegretario, anche questa volta si va alla fiducia. Tuttavia, vorrei porre qui l'argomento che forse merita una risposta anche in quest'Aula oggi.
Signor Sottosegretario, ci inquieta - si tratta di un interrogativo - come mai a fronte di tagli tanto virulenti portati da questa manovra e rivolti a diverse classi sociali non si è preso seriamente in esame l'emendamento proposto da noi, a prima firma della presidente Finocchiaro, e condiviso dall'Italia dei Valori e dai colleghi del Terzo Polo con un emendamento omologo. Non si è presa in considerazione l'opportunità di mettere a disposizione di un'asta competitiva le frequenze per la televisione digitale, quella parte che riguarda il cosiddetto dividendo interno, cioè i broadcaster televisivi.
In verità, un'asta c'è; è in corso ed è anche molto fruttuosa per quello che viene chiamato nel gergo il dividendo esterno, ovvero per la parte telecomunicazione. Dai previsti 2,4 miliardi di euro si sta arrivando ben oltre i 3 miliardi. Perché si è scartata una simile procedura per il campo televisivo? Perché si è fatta una scelta chiamata con una terminologia mutuata elegantemente dal keynesismo - Keynes si rivolterà nella tomba - beauty contest, un modo per dire che non si fa un'asta? Uso le parole di un commentatore importante del «Corriere della sera», Edoardo Segantini, di qualche giorno fa: «Il cosiddetto beauty contest (concorso di bellezza) per le frequenze televisive è, a dispetto del nome, l'ennesima bruttura italiana nel campo dell'etere». Con lui tanti altri commentatori e anche tanti gestori che già hanno fatto ricorso ai TAR, alla magistratura su una procedura assolutamente anomala che avrebbe portato all'erario pubblico da uno a due miliardi di euro. I multiplex in discussione sono sei: cinque DVB-T, ricezione televisiva ad antenna fissa, e uno DVB-H, versione mobile. Perdonerete questa gergalità, ma serve a chiarire che stiamo parlando di cose molto concrete.
Ebbene, sei multiplex, ognuno del valore di circa 180 milioni, valgono circa un miliardo, con i rialzi d'asta, magari due miliardi, denaro importante per lo Stato democratico. Perché tutto questo non si è fatto, scegliendo la strada, già prevista tanti anni fa in Italia con la legge Mammì (1990) e ribadita con normative successive, a tutela degli interessi dominanti? Non si fa, correggetemi signori del Governo se sbaglio, perché in Italia c'è il conflitto di interessi. Se il Presidente del Consiglio non si chiamasse Silvio Berlusconi, ma in un altro modo, anche di centro-destra, e non avesse un immediato interesse a non pagare le frequenze per le sue aziende Mediaset, sicuramente avreste fatto l'asta competitiva, perché nessun Governo degno di questo nome sputerebbe su due miliardi di euro di potenziale introito in un momento in cui si taglia così tanto e si colpiscono le condizioni di un Paese che vive con difficoltà la sua quotidianità. Epifania del conflitto di interessi avrebbe detto Joyce in «Gente di Dublino». Epifania, cioè quel fenomeno che fa apparire chiaro ciò che c'è dietro ed è più grande di quello che la parola stessa dica.
È una storia antica. I canoni di concessione televisiva in Italia costano pochissimo. Io rinvio alla lettura di un materiale della Fondazione Bordoni, quindi un'entità neutra, del dicembre 2008, dal titolo «Gli Administered Incentive Prices». Questo per dire che ciò che noi poniamo è un tema cruciale.
E a dispetto di questa scelta, purtroppo c'è n'è un'altra: la bocciatura in Commissione bilancio, infatti non ce n'è traccia nel maxiemendamento del Governo, del ripristino del fondo per l'editoria. 100 testate rischiano di scomparire il prossimo anno a fronte invece dell'Epifania del conflitto di interessi.
Guardate, massimo del clamore in questa vicenda, che pure fu esaminata dalla Commissione europea e discussa, dopo un'accesa votazione, nell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, a fare le spese di questa vicenda sono le emittenti locali, che rischiano di chiudere in molti casi la loro attività.
Dunque, Presidente, colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, vorrei concludere questo amaro intervento ponendo la questione di fondo: l'Italia può continuare a sopportare un Governo che, perfino in una vicenda come questa, mette i suoi interessi, in particolare quelli del Presidente del Consiglio, prima di ogni altro interesse degli italiani? Possiamo avere un sistema radiotelevisivo, che nel passaggio al digitale aveva l'opportunità di cambiare e che invece rischia di essere peggiore perfino di quello della stagione analogica? Non è più possibile! Andatevene prima che davvero sia troppo tardi. i).
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