Articolo 21 - Editoriali
Retroscena nel PD (tifoseria mediatica)
di Fernando Cancedda
Chi ha ragione nel PD: Bersani o Veltroni? Franceschini o D'Alema? Bindi o Renzi? Bene, secondo me già porsi una domanda come questa significa cadere nella trappola della tifoseria mediatica che serve ai giornali e ai politici per garantire visibilità a se stessi prima che alla realtà politica. Riassunta frettolosamente per non annoiare i lettori, quest'ultima appare come lo sfondo, quasi irrilevante, dello scontro fra i leaders. Disprezzata ancora negli editoriali (che però pochi leggono) come “il solito teatrino”, la politica spettacolo sta diventando, pare con soddisfazione generale, la politica tout-court.
Un esempio fra i tanti, preso dall'edizione di oggi di un grande quotidiano. Non faccio nomi perché l'impostazione, da questo punto di vista, non ha niente di originale. Titolo a quattro colonne: “Bersani duella con Veltroni: “tra noi c'è chi azzoppa il Pd”. Speculare, nella pagina accanto e sempre a quattro colonne: “I sospetti del leader su Walter e Prodi: “Vogliono tempo per liberarsi di me”. Lo stupido ritornello “ed è polemica” questa volta è superfluo. Il lettore che simpatizza per l'uno o per l'altro dei protagonisti della rissa, vera o presunta, è già invitato a schierarsi senza avere l'obbligo di approfondire i termini del problema.
Noi invece entriamo ugualmente nel testo di questo “esempio fra i tanti”. Oggetto del primo servizio è la direzione del Pd sulla posizione da prendere dopo il “miracolo” di un milione e passa di firme per il referendum elettorale: prepararsi al voto o puntare su un governo di transizione? A questo punto ci aspetteremmo dal cronista almeno una breve rassegna degli argomenti portati a favore e contro ciascuna delle due soluzioni: il danno che comporta andare a votare con il “porcellum”, le difficoltà di trovare un'intesa su questo o quel sistema elettorale, vantaggi e svantaggi di un governo “tecnico” o di “responsabilità nazionale” ecc.ecc., chiarendo al tempo stesso la terminologia in uso tra gli addetti ai lavori.
Ecco invece che cosa troviamo. Per Bersani “il nostro orizzonte sono le elezioni, ma non ci sottraiamo a un governo di emergenza”. Per Veltroni l'orizzonte del Pd ha da essere “quello del superamento del governo Berlusconi con un governo davvero responsabile”. Un po' poco per aiutare il lettore a formarsi un giudizio,ma questo è secondario. Chi vincerà? Ecco la domanda giusta. Per saperlo bisogna spiegare come la pensano gli altri componenti della direzione. O meglio: non come la pensano ma come si schierano. “Allo stesso modo di Veltroni la pensano il capogruppo Dario Franceschini, Beppe fioroni, Franco Marini, Paolo gentiloni e pure il vice segretario Enrico Letta”. Alla fine Bersani cerca di mediare: “Noi ci stiamo attrezzando a entrambi gli scenari, sia elezioni che governo di emergenza, però non tutto è nelle nostre mani”.
Per chi non l'ha ancora capito, il cronista insiste: “lo scontro resta” e “massima è la tensione sul referendum”. Incalza: “E' Parisi show: il professore denuncia il 'metodo bulgaro' che vige nel Pd, l'errore di valutazione politica e la linea radicalmente sbagliata”. Quale valutazione? Quale linea? Questo non si dice, però si spiega che “il mancato esplicito sostegno al referendum è criticato anche da Areadem, la corrente di Franceschini, dai veltroniani, da Ignazio Marino e dalla sua area”.
Nella pagina a fianco dello stesso giornale, un altro collega è intento a spiegarci “il retroscena”, che poi sarebbe (indovinate?): “gli scalatori” vogliono “azzoppare” Bersani. “Bersani non intende sottrarsi alla sfida. Sfida che non vede ancora duellanti a volto scoperto. Ma i sospetti del leader e del suo staff si concentrano su Walter Veltroni, su Matteo Renzi e su un piano diverso su Romano Prodi. C'è anche l'ex premier nella lista bersaniana”. Nelle mosse di Arturo Parisi “molti vedono anche la ripresa di un movimentismo legato al Professore”. Con quale obbiettivo? “La corsa al Quirinale dell'ex premier bolognese. Corsa che può trovare ostacoli nel mondo diessino e in accordi preventivi tra il Pd di Bersani e l'Udc di Casini in vista dell'elezione al Colle (2013)”.
A questo punto il lettore può tranquillamente concludere che mentre lui si preoccupa di quando e come la politica si deciderà a governare la gravissima crisi economica in atto, a “ricucire l'Italia” garantendole un minimo di equità sociale, la direzione del principale partito di opposizione è sempre più affaccendata nel “war game” del potere in vista della prossima legislatura.
Ora può anche darsi che, almeno in parte, sia proprio così. Posso anche credere che nelle chiacchiere del Transatlantico di Montecitorio e nelle anticamere delle sedi di partito, politici e giornalisti passino il tempo su questi scenari. Non credo, invece, che sia solo questa la realtà politica del nostro paese.
D'altronde, il punto è sapere se un tale modo di fare cronaca incoraggi la democrazia partecipata o l'antipolitica, favorisca l'emergere del populismo o di un elettorato consapevole delle scelte da fare per il bene comune. Se poi fosse vero che nel partito democratico c'è qualcuno che si compiace di una presentazione del genere – dato che la si trova spesso sui giornali di sinistra - chiediamoci se non siamo ancora una volta davanti a un caso di tafazzismo.
www.nandokan.it
Un esempio fra i tanti, preso dall'edizione di oggi di un grande quotidiano. Non faccio nomi perché l'impostazione, da questo punto di vista, non ha niente di originale. Titolo a quattro colonne: “Bersani duella con Veltroni: “tra noi c'è chi azzoppa il Pd”. Speculare, nella pagina accanto e sempre a quattro colonne: “I sospetti del leader su Walter e Prodi: “Vogliono tempo per liberarsi di me”. Lo stupido ritornello “ed è polemica” questa volta è superfluo. Il lettore che simpatizza per l'uno o per l'altro dei protagonisti della rissa, vera o presunta, è già invitato a schierarsi senza avere l'obbligo di approfondire i termini del problema.
Noi invece entriamo ugualmente nel testo di questo “esempio fra i tanti”. Oggetto del primo servizio è la direzione del Pd sulla posizione da prendere dopo il “miracolo” di un milione e passa di firme per il referendum elettorale: prepararsi al voto o puntare su un governo di transizione? A questo punto ci aspetteremmo dal cronista almeno una breve rassegna degli argomenti portati a favore e contro ciascuna delle due soluzioni: il danno che comporta andare a votare con il “porcellum”, le difficoltà di trovare un'intesa su questo o quel sistema elettorale, vantaggi e svantaggi di un governo “tecnico” o di “responsabilità nazionale” ecc.ecc., chiarendo al tempo stesso la terminologia in uso tra gli addetti ai lavori.
Ecco invece che cosa troviamo. Per Bersani “il nostro orizzonte sono le elezioni, ma non ci sottraiamo a un governo di emergenza”. Per Veltroni l'orizzonte del Pd ha da essere “quello del superamento del governo Berlusconi con un governo davvero responsabile”. Un po' poco per aiutare il lettore a formarsi un giudizio,ma questo è secondario. Chi vincerà? Ecco la domanda giusta. Per saperlo bisogna spiegare come la pensano gli altri componenti della direzione. O meglio: non come la pensano ma come si schierano. “Allo stesso modo di Veltroni la pensano il capogruppo Dario Franceschini, Beppe fioroni, Franco Marini, Paolo gentiloni e pure il vice segretario Enrico Letta”. Alla fine Bersani cerca di mediare: “Noi ci stiamo attrezzando a entrambi gli scenari, sia elezioni che governo di emergenza, però non tutto è nelle nostre mani”.
Per chi non l'ha ancora capito, il cronista insiste: “lo scontro resta” e “massima è la tensione sul referendum”. Incalza: “E' Parisi show: il professore denuncia il 'metodo bulgaro' che vige nel Pd, l'errore di valutazione politica e la linea radicalmente sbagliata”. Quale valutazione? Quale linea? Questo non si dice, però si spiega che “il mancato esplicito sostegno al referendum è criticato anche da Areadem, la corrente di Franceschini, dai veltroniani, da Ignazio Marino e dalla sua area”.
Nella pagina a fianco dello stesso giornale, un altro collega è intento a spiegarci “il retroscena”, che poi sarebbe (indovinate?): “gli scalatori” vogliono “azzoppare” Bersani. “Bersani non intende sottrarsi alla sfida. Sfida che non vede ancora duellanti a volto scoperto. Ma i sospetti del leader e del suo staff si concentrano su Walter Veltroni, su Matteo Renzi e su un piano diverso su Romano Prodi. C'è anche l'ex premier nella lista bersaniana”. Nelle mosse di Arturo Parisi “molti vedono anche la ripresa di un movimentismo legato al Professore”. Con quale obbiettivo? “La corsa al Quirinale dell'ex premier bolognese. Corsa che può trovare ostacoli nel mondo diessino e in accordi preventivi tra il Pd di Bersani e l'Udc di Casini in vista dell'elezione al Colle (2013)”.
A questo punto il lettore può tranquillamente concludere che mentre lui si preoccupa di quando e come la politica si deciderà a governare la gravissima crisi economica in atto, a “ricucire l'Italia” garantendole un minimo di equità sociale, la direzione del principale partito di opposizione è sempre più affaccendata nel “war game” del potere in vista della prossima legislatura.
Ora può anche darsi che, almeno in parte, sia proprio così. Posso anche credere che nelle chiacchiere del Transatlantico di Montecitorio e nelle anticamere delle sedi di partito, politici e giornalisti passino il tempo su questi scenari. Non credo, invece, che sia solo questa la realtà politica del nostro paese.
D'altronde, il punto è sapere se un tale modo di fare cronaca incoraggi la democrazia partecipata o l'antipolitica, favorisca l'emergere del populismo o di un elettorato consapevole delle scelte da fare per il bene comune. Se poi fosse vero che nel partito democratico c'è qualcuno che si compiace di una presentazione del genere – dato che la si trova spesso sui giornali di sinistra - chiediamoci se non siamo ancora una volta davanti a un caso di tafazzismo.
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