di Gianni Rossi
Assistiamo, con le mani legate dietro la schiena, ad uno scontro militarizzato che ha per scenario la crisi economica e finanziaria dell’Eurozona. In questa "Terza Guerra mondiale" senza truppe né campi di concentramento, la Germania sta prendendosi la rivincita sulle due precedenti guerre dalle quali uscì distrutta in nome di un “pangermanismo europeo”, che portò decine di milioni di morti e una devastazione senza raffronti nel vecchio continente. Oggi le armi di “distruzione di massa” si chiamano mercati azionari, derivati, debiti sovrani, BCE, Commissione e Consiglio europei, società di rating. Non si usano proiettili né bombe, ma cartamoneta e connessioni internet superveloci.La vittima designata, come sempre, è l’Italia. Quell’Italia che fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso era arrivata al quinto posto nella classifica del G7, prima della Francia e a ridosso della Gran Bretagna, quarta. Poi vennero le speculazioni sulla lira e la sterlina, partite dai grandi finanzieri di Wall Street, che approfittarono del forte indebitamento statale di Roma e Londra, per mettere in crisi l’allora Sistema Monetario europeo, il cosiddetto “serpentone”, e buttare giù i sogni di “grandeur” inglesi e italiani, colpevoli di essersi spinti a dominare i commerci e i mercati arabi, oltre che dei paesi dell’Est Europa, appena liberatisi dall’oppressione sovietica.
Ecco, allora, che si forma un Direttorio franco-tedesco che mira a creare un mercato concorrenziale con gli Stati Uniti, basato sul rafforzamento e l’allargamento dell’Unione europea ad Est (il che ha comportato enormi squilibri politici ed economici interni), oltre alla creazione di una moneta unica in grado di competere e, a volte, superare la supremazia del dollaro. Il tutto nasceva da una grande idea progressista, che si rifaceva ai padri storici della comunità, da Altiero Spinelli a De Gaulle ad Adenauer, ma che nascondeva il progetto di un’egemonia “pangermanica” moderna, attuata con strumenti sottili e penetranti, come la finanza e l’occupazione economica, con Berlino testa pensante e Parigi “braccio armato”. L’ingresso dell’Italia nell’Euro fu una sorta di percorso umiliante e sacrificale, come un tempo erano state le “forche caudine” per gli antichi romani. Siamo entrati per il “rotto della cuffia” con il rapporto Lira/Euro più svantaggioso di tutti e dopo aver chiesto sacrifici inenarrabili al popolo italiano.
Per l’ala “filo prussiana” del centrosinistra di allora, guidata da Prodi e Ciampi, fu un successo, che aprì la strada ad un risanamento dei conti pubblici, che però innescò la prima contrazione industriale, nonostante le privatizzazioni e lo scioglimento dell’IRI, che coordinava l’economia di stato (ma la Germania e la Francia non hanno mai dismesso la loro presenza pubblica nell’attività imprenditoriali, a partire dalle banche e dall’industria pesante!). Da allora, complice anche l’insipienza dei governi di centrosinistra e i disastri del berlusconismo, intossicato dai conflitti di interesse, il nostro paese ha inanellato un viatico di crisi economiche, finanziarie e sociali senza fine. Il forte indebitamento dello stato italiano è diventato così l’arma “fine del mondo” per la rinata e potente Germania della Merkel e la debole e asfittica Francia di Sarkozy, al fine di ridurre gli spazi di potere economico del nostro paese nell’area mediterranea (si veda il caso paradigmatico della guerra in Libia), arrestare i fiorenti commerci con i paesi arabi e bloccare qualsiasi tentativo affaristico con l’Est europeo (dopo aver delocalizzato lì gran parte delle produzioni di pregio e aver fatto uno shopping bancario di ampio respiro).
Un’arma di ricatto che non tiene conto della “ricchezza capitale” dell’Italia: debito sovrano in massima parte in mano agli stessi italiani; sistema industriale ad alta inventiva e concorrenziale sui mercati che tirano; banche solide e meno esposte con le speculazioni all’estero; propensione al risparmio delle famiglie; inventiva e ricerca spasmodica del “bello” e della qualità in qualsiasi settore industriale. E così si arriva a questi giorni, al “Sarcasmo” di Bruxelles mostrato in mondovisione dalla Merkel e Sarkozy nei confronti di Berlusconi, leader politico ritenuto “inaffidabile” e spesso “bugiardo”, un capo di governo che prende impegni e poi non li mantiene. L’attacco concentrico dei principali media europei, TV e stampa, ha completato l’opera, rendendo affondabile il mercato finanziario italiano, tanto da spingere lo spread tra i titoli nostrani e quelli tedeschi alla soglia drammatica di 400, peggio della Spagna, ma nell’alveo egli altri paesi come Portogallo e Irlanda, che insieme alla Grecia ormai fallita, fanno parte dell’ingloriosa squadra dei PIIGS, i "pooorcellini".
La preda più consistente di questa “Terza guerra mondiale” incruenta, seppure drammatica per le popolazioni, in quanto foriera di disastri economici e sociali, resta dunque l’Italia, guidata dalla “destra all’amatriciana”, capitanata da Berlusconi, da sempre “euroscettico” e nostalgico della Lira, insieme ai leghisti di Bossi e a gran parte dell’imprenditoria nostrana. Per smarcarsi dalla morsa dell’Asse franco-tedesco, Berlusconi risfodera la spada dell’euroscetticismo, dell’Europa “matrigna”, che vorrebbe cacciare il rappresentante italiano, Bini Smaghi, dal board della BCE, come richiesto con inusitata prepotenza da Sarkozy (non ci sono regole in tal senso e poi c’è il precedente analogo con il presidente francese Trichet e il suo compatriota Christian Noyer, che restò per un anno e mezzo nel board). E poi, per quale ragione la Francia è sovra rappresentata negli organismi internazionali che contano, come al Fondo Monetario ormai di appannaggio ereditario per Parigi? Negli anni Novanta direttore generale fu Camdessus, poi è venuto Strauss-Kahn e ora, dopo lo scandalo sessuale di DSK, la Lagarde!
Non solo, ma si prepara ad una campagna elettorale con i toni barricadieri leghisti contro la tecnocrazia di Bruxelles che impone e dispone regole draconiane per risanare i conti pubblici, affrontare la recessione e l’emergenza occupazionale, fino a snaturare lo Statuto dei Lavoratori con la libertà assoluta di licenziare. Sarà un “Berlusconi no global” quello che vedremo nei comizi, che cercherà di far dimenticare le sue colpe, riversandole sull’asse Merkel/Sarkozy e sul centrosinistra “prono e chino” ai voleri di Bruxelles. Ricorderà impietoso e rancoroso come furono proprio i due “campioni” dell’Ulivo, Prodi e Ciampi a volerci dentro l’Euro (mentre l’altro leader di centrosinistra, il laburista Blair, restava scettico e fuori dall’Eurozona, come aveva già fatto la conservatrice Thatcher); e poi ancora Prodi a farsi solerte demiurgo dell’allargamento a 27 dell’Unione, così come caldamente raccomandava la Germania, interessata ad espandersi col proprio ombrello finanziario-industriale oltre la vecchia “Cortina di ferro”.
Intanto, la Germania si gode la sua ripresa economica, le esportazioni sempre più trainanti e la conclamata leadership continentale, seppure il cancellierato della Merkel è obiettivamente indebolito dai successi elettorali dei socialdemocratici e dei verdi. L’affondamento della Grecia, piccolo “mandamento tedesco” verso i mercati balcanici, tanto appetiti da Berlino, sta lì a dimostrare cosa potrà accadere agli altri paesi che volessero sfidarla. Un avvertimento per l’Italia e la Spagna, affinchè ridimensionino le loro mire espansionistiche verso i paesi rivieraschi del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Si avvia così la Germania a vendicarsi delle sue due sconfitte storiche, senza però fare i conti con i contorsionismi abituali dei francesi (a primavera ci saranno le elezioni presidenziali e i socialisti di Hollande sono dati per favoriti sul conservatore Sarkozy) e l’eventualità di un colpo di reni delle opinioni pubbliche italiane e spagnole, che potrebbero come nel passato non gradire la prepotenza prussiana. E in questo scenario di “guerra economico-finanziaria” molto si dovrà attendere dalle posizioni neo-capitalistiche e keynesiane dell’amministrazione Obama, che non vede di buon occhio le alleanze a due, come Francia/Germania, mentre spinge perché l’Unione europea si dia organismi decisionali federali in materia di economia, finanza, fisco e difesa. Ancora una volta, allora, la vecchia Europa dovrà rivolgersi oltre Atlantico per ritrovare la pace interna?