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Articolo 21 - Editoriali
Mio caro ragazzo...
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di Arianna Tascone*

riceviamo e volentieri pubblichiamo questa "lettera" da Arianna Tascone, giovane studentessa di un istituto superiore di Vasto (Chieti). Di Arianna abbiamo già ricordato su questo sito l'intensa lettera che appartiene al libro di Salvatore  Cernigliaro, detto Totò e che rievoca e attualizza, attraverso le lettere di giovanissimi di ogni parte d’Italia la “Lettera al caro estorsore” scritta dall'imprenditore siciliano Libero Grassi, assassinato venti anni fa. 

Mio caro ragazzo.
Mi rivolgo a te che cammini per le strade del mondo e parli tante lingue diverse da quella che ti ho insegnato io. A te che ti senti tradito perché da tempo, dici, mi accompagno e faccio guidare da chi non è degno. Forse hai ragione, i tuoi occhi giovani vedono la realtà certo meglio dei miei. Saprai però che ho giusto qualche annetto più di te e ti parlo dall’alto di esso e dall’esperienza che mi dà. Voglio cogliere l’occasione di questo compleanno speciale per riavvicinarmi a te. Dici che non ti ho offerto nulla, che la tua giovinezza è stata solo un ostacolo e che altri ti avrebbero trattato meglio. Ammetto le difficoltà degli ultimi anni e dei rapporti sbagliati che ho intrattenuto in questo tempo. Ma tu sei giovane e di poca memoria e non puoi ricordare quante glorie e dolori ho attraversato. Sul mio suolo hanno camminato uomini grandiosi che hanno portato il mio nome nel mondo con orgoglio. Essi, partendo da qui, hanno conquistato territori immensi, esportando la nostra cultura e grandezza in tutta Europa.
 Credo che quello sia stato uno dei periodi più belli della mia vita, con un’ aquila imperiale a tenermi compagnia. Tuttavia la storia non è fatta per rimanere immobile a rispettare i nostri momenti felici, ma si muove impetuosa rovesciando e disfacendo le nostre fatiche. Ero cosparsa d’oro e di onore e mi ritrovai invasa da un’orda di barbari, andata avanti per centinaia di anni. Dopo aver deposto gli scudi e le spade si sono incoronati, ciascuno di essi rubando una parte di me, incuranti della mia sofferenza e quella dei tanti tuoi coetanei di quell’epoca. Anche loro mi avranno maledetta e rinnegata e non li biasimo per questo. Non avevo nulla da offrirgli, se non sangue e fatica e so di avergli dato tanta sofferenza. Nonostante ciò, anche in quegli anni ho avuto la possibilità di conoscere uomini, la cui opera illumina ancora oggi il mondo. Uno di essi, forse il più grande, mi ha definita “non donna di province ma bordello”. Lo perdono perché so che lo muoveva un grande amore e tante lacrime ha dovuto versare a causa mia. Lui fu solo uno dei primi, perché dopo quegli anni così tristi e bui la fortuna è tornata dalla mia parte. Le ferite erano ancora aperte, tuttavia una nuova generazione di uomini ha riportato al mio nome la gloria che gli spetta. Hanno dato un contributo all’arte che nessun altro aveva mai dato prima. La bellezza nella quale tu oggi ti muovi leggiadro e ammirato, in gran parte la devi a quegli uomini. Capisco che spesso te ne dimentichi, distratto dai problemi quotidiani che ti affliggono, ma di tanto in tanto è bene che te ne rammenti.
Non fare quella faccia annoiata, perché ancora non ho finito il mio racconto. Ci sono voluti ancora secoli di violenze e divisioni prima di arrivare a quel 1861, in cui finalmente ho visto la luce. È stato un processo lungo e doloroso, ma finalmente ero tornata ad essere me stessa. Una e indivisibile, mi hanno chiamata Italia. Da quel momento in poi le difficoltà non sono terminate, ma potevo guardare ad esse con maggiore sicurezza, potendo contare sul mio popolo. A te sembrerà un passaggio semplice e veloce, non è stato così, te l’assicuro. Tanti ragazzi hanno perso la vita per difendermi, il loro sangue bagna ancora le mie vesti affinché io non mi dimentichi mai di loro.
Eppure ero troppo giovane per occuparmi del mio popolo e ancora una volta, altri avevano maggiori opportunità da offrir loro. Quante donne e uomini ho visto partire su quelle navi, ognuno di essi era una lacrima in più sul mio viso. Li ho lasciati andare, come un genitore che spinge il proprio figlio ad allontanarsi per trovare la sua strada ed essere felice, piangendo poi di nascosto.
La gioventù, lo sai, ti fa sentire forte e invincibile. Non ti fa riconoscere i limiti, vuoi andare sempre avanti e sei pronto a qualsiasi cosa per dimostrare agli altri che sei diventato grande anche tu. È un errore che ho commesso anche io e sono scesa a compromessi con gli altri, lasciandomi trasportare in guerra. Cedendo alla convinzione che fosse un mezzo lecito per raggiungere i miei obiettivi. Alla fine sono risultata dalla parte dei vincitori, ma era una mera illusione. Nessuno vince in guerra, perché quei giovani straziati sui campi sono una sconfitta per tutti.
Passò poco che fui costretta ad innalzare un vessillo nero, che nuovamente mi fece ricadere nell’errore ed orrore della guerra. Fu ancora più terribile, il mio corpo fu straziato dalle bombe dei nemici e dei vecchi alleati. Migliaia di figli miei trovarono la morte in quegli anni senza che io potessi fare nulla, diventata ormai terra di frontiera fra opposte fazioni. Ho visto fratelli uccidersi fra loro, in difesa di una bandiera rossa o nera, oppure per ottenere un misero tozzo di pane.
In quel momento davvero credevo fosse giunta la mia ora, il tempo di eclissarmi dal mondo e lasciarlo a chi fosse più capace. Ero pronta a sventolare la bandiera della resa, quando arrivò l’aiuto più insperato e gradito che potessi immaginare. Il mio popolo, dopo tutto quello che era successo, era pronto a rimboccarsi le maniche per aiutarmi a rinascere. Hanno lavorato duramente, senza sosta e non è semplice retorica.
Col sudore e le lacrime hanno impastato il cemento per ricostruire tutto ciò che era andato perduto, ma non si sono limitati a questo. Sono andati ancora avanti, mettendo in campo tutta la loro genialità e regalandomi prodotti, arte e moda di cui ancora oggi ho nostalgia. Finalmente i sacrifici fatti assieme iniziavano a dare i frutti sperati. Ho creduto fosse un miracolo quando ho iniziato a veder sfrecciare le Vespe e le Cinquecento per le strade e i primi turisti sulle spiagge. Le ragazze in bikini e con la minigonna mi hanno fatto capire che anch’io ero cambiata, che era tempo che la libertà e la serenità mi guidassero.
Ho sudato freddo quando la spartizione del mondo ha creato nuove divisioni nel mio popolo, rispolverando le vecchie bandiere e versando ancora sangue innocente. Non potevo sopportare tutto quel piombo ma per fortuna furono malumori passeggeri. E anch’essi li superai grazie ai miei cittadini, pronti a rimanermi accanto sempre e comunque.
 Io sono loro debitrice quanto te. Sì, proprio te che stai leggendo e magari sbuffando. Come vedi, nel corso della mia storia non sempre ho avuto qualcosa da offrire al popolo. Spesso sono stati loro a sostenere me, non abbandonandomi mai.
Questo è l’invito che voglio fare a te oggi.
Continua sempre a pretendere il massimo da me ma sii coraggioso e pronto per contribuire alla mia crescita. Io ho compiuto centocinquanta anni, non è poco, ma è ancora tanto il tempo che voglio trascorrere con te. Guarda al tuo vicino come a un fratello, anche se avete gli occhi e i capelli differenti e parlate dialetti incomprensibili l’un l’altro. Tutti voi nelle vene avete una piccolissima parte di me che vi rende uguali nelle differenze, perché siete tutti figli miei.
Perché siete tutti quanti italiani…

* 5a B, L.S.T. “E.Mattei” di Vasto (Chieti)

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