di Nicola Tranfaglia*
Leggere oggi, trentacinque anni dopo il momento in cui Alberto Ronchey pose le sue domande sull’Italia di allora e del passato (per un piccolo libro voluto nel 1977 da Vito Laterza) a Ugo La Malfa, appare molto istruttivo per la crisi della politica che ci ha colpito nei mesi scorsi, dopo il lungo sonno berlusconiano. Il leader repubblicano che aveva attraversato il primo trentennio del secondo dopoguerra prima nel morituro Partito d’Azione e poi nel partito repubblicano, aveva le idee chiare su due aspetti fondamentali della crisi che aveva colpito il nostro paese negli anni Settanta, quando si era esaurita la breve stagione delle riforme del centro-sinistra con i governi prima di Amintore Fanfani e poi di Aldo Moro.
La Malfa, rispondendo alle domande coraggiose e incalzanti di un giornalista intelligente quale fu Ronchey, chiarisce con poche battute alcuni dei problemi più importanti della nostra storia recente. Per esempio, il costo abnorme delle strutture pubbliche che pesano sulle forze produttive e che rendono difficili o impossibili le riforme di struttura che pure alcuni governi avrebbero voluto attuare o ancora oggi tentano di fare.
Il ritorno eterno delle corporazioni che la dittatura fascista realizzò soprattutto sulla carta e che, dopo il lungo fascismo, sono ritornate di fatto a regolare, proprio sul piano sostanziale, alcuni aspetti della società italiana.
La conseguenza di tutto ciò è il grande disordine che caratterizza gli apparati statali del nostro paese come se l’incapacità che ebbero di sicuro le classi dirigenti durante la seconda guerra mondiale di cambiare l’architettura dello Stato liberale sia proseguita in tutto il successivo dopoguerra e non sia crollata neppure di fronte alla contestazione giovanile e operaia del ’68 e al breve tentativo dei governi di unità nazionale negli anni centrali del successivo decennio.
La Malfa si rende conto con grande chiarezza del fatto che lo sviluppo economico, incominciato negli anni Cinquanta e giunto qualche anno dopo al cosiddetto boom, non è stato equilibrato né costante in modo da portare l’Italia ai risultati che si sono avuti in altri paesi che pure erano partiti come l’Italia da una generale condizione di arretratezza, come, ad esempio, il Giappone.
Il leader repubblicano fece allora la proposta di una “politica dei redditi” che non trovò accoglienza presso i due maggiori partiti dello schieramento parlamentare e che di fatto non venne mai attuata. Eppure anche oggi di fronte all’espansione senza limiti del lavoro nero e della illegalità che caratterizza il paese dopo la lunga cura berlusconiana, quella lezione di mezzo secolo fa è più che mai attuale.
Oggi in Italia ha vinto, grazie non soltanto a Berlusconi la parola d’ordine del nuovo e del giovane ad ogni costo ma le parole di La Malfa conservano, a leggerle oggi, un significato e un interesse che io stesso - mi sono stupito - ho ritrovato con qualche sorpresa.
* Pubblicato su l'Unità