di Giuliano Garavini
Domenica scorsa Fabio Fazio ha intervistato Mario Monti. Il primo ministro è stato garbato e rassicurante. Anche il conduttore televisivo è stato garbato, almeno quanto il migliore Bruno Vespa alle prese con l’ex primo ministro Berlusconi. In ordine sparso alcune osservazioni sul monologo di mezz’ora (6 milioni di spettatori) che Fazio ha regalato al professore della Bocconi.
Monti ricorda lusingato che il primo ministro francese non voleva credere che il Parlamento italiano avesse approvato l’innalzamento dell’età pensionabile e il passaggio integrale al sistema contributivo. Sarkozy, dice Monti, sarebbe restato di stucco almeno quanto il suo primo ministro. Fazio non dice nulla. Ma siamo sicuri che Sarkozy non sia caduto dalle nuvole perché il sistema previdenziale in Europa si è sviluppato proprio grazie all’intervento dello Stato ad integrazione dei contributi per redditi più bassi, mentre il ritorno ad un sistema totalmente contributivo non significa altro che l’abbandono di solide assicurazioni di vecchiaia in favore di un, presumibilmente microscopico, “salario differito”?
Mario Monti prosegue dicendo che l’Unione europea chiede che già nell’Eurogruppo (Consiglio dei ministri economici dell’area euro) del 23 gennaio l’Italia presenti le prime misure sulle liberalizzazioni. Ma che vuol dire? Chi esattamente nell’Unione europea lo chiede? La Commissione europea? La Banca centrale? Il Parlamento europeo? Alcuni singoli governi come quello francese o tedesco? Altri? E, soprattutto, se le norme italiane non sono in regola con quelle europee esistono delle procedure ufficiali e automatiche che coinvolgono la Corte di Lussemburgo per far si che le norme italiane si conformino. Ma se le norme italiane sono in regola, come fa l’Unione europea a chiedere, imporre, consigliare misure che portino alla privatizzazione di infrastrutture e servizi quali quelle della rete gas, trasporti locali, etc? La verità è che non è l’Unione europea ad imporlo ma è l’ideologia di cui è imbevuto questo governo (insieme alla Bce e ai governi conservatori di Francia e Germania) a rendere indispensabili le privatizzazioni come modo di uscire dalla crisi.
Si parla sulla stampa italiana e straniera dell’introduzione della “regola aurea” del pareggio di bilancio nelle costituzioni nazionali in virtù di un accordo oggi in via di negoziazione fra i governi europei. E’ cosa certo rilevante. Anche su questo nessuna domanda da parte del giornalista che, lo stesso Monti, definisce “molto preparato”. Un accordo internazionale può portare alla modifica della Costituzione di un Paese? Sarebbe una domanda quantomeno interessante no? La Costituzione è il prodotto di guerre, di passioni, e dell’elezione di un’apposita Assemblea costituente. E’ il patto sul quale si fonda il compromesso sociale di un popolo, il testo fondamentale che le rivoluzioni arabe stanno modificando attraverso mobilitazioni di massa, proprio in questi mesi, in tutta l’Africa del Nord dalla Tunisia all’Egitto. Il suo contenuto può essere modificato tramite un accordo tra governi che impegni i parlamentari nazionali ad approvare le modifiche e senza vasti dibattiti in ogni paese europeo? Legalmente questo è certo possibile; ma dal punto di vista politico un accordo intergovernativo che porti a modifiche costituzionali è un risultato mostruoso che getta una luce alquanto sinistra sull’Unione europea. Altro passaggio incredibile dell’intervista-monologo che alcuni, bontà loro, sono riusciti a definire rassicurante, apre scenari da incubo soprattutto per la ferocia del ragionamento bocconiano.
Si parla di mercato del lavoro e Monti è tutto un “non bisogna essere ideologici”, poi la chiosa inquietante sul fatto che in questo ambito “non ci sono tabù”. Veramente non ci sono tabù? E se qualcuno dicesse che per aumentare la produttività delle aziende di giocattoli bisogna far lavorare ragazzini di 10 anni? Davvero non ci sono tabù? Se si chiedesse di abolire le ferie pagate e costringere a 16 ore di lavoro al giorno donne e bambini per recuperare produttività sulla Cina? Davvero anche in questo caso non ci sarebbero tabù? E se, come accade concretamente nel caso della Fiat, ad un sindacato contrario ad un accordo viene impedito di esercitare diritti sindacali in fabbrica, anche qui non ci sono tabù? Ma certo che ci sono tabù. Tutto in economia è influenzato da rapporti di forza politici e culturali, dal peso delle mentalità e dell’ideologia, e chi dice che non ci tabù nelle relazioni del lavoro fa semplicemente e spudoratamente gli interessi della parte che è più forte nel rapporto di lavoro e che non ha bisogno della difesa delle leggi, cioè dei tabù. Fazio face.
La ricchezza è un valore, continua il bocconiano. Non sorprende questa affermazione da parte del rettore dell’università degli industriali, ma non meriterebbe forse una qualche maggiore specificazione? Anzi, aggiunge Monti, bisognerebbe fare come nei paesi anglosassoni nei quali della ricchezza ottenuta legalmente ci si fa vanto e magari è occasione per far mostra di virtù filantropiche attraverso donazioni o altro. Sarebbe questo il pensiero di un raffinato professore universitario fortemente permeato di valori cattolici? Sarebbero un valore i 40 milioni di euro di liquidazione all’ex amministratore delegato di Unicredit Profumo, proprio mentre la sua banca va in bancarotta: o i 38 milioni di euro l’anno di Marchionne (pari a 1000 volte l retribuzioni di un suo operaio italiano e con le tasse pagate in Svizzera) proprio mentre la Fiat perde costantemente quote di mercato? Per carità queste sono ricchezze ottenute legalmente attraverso un sistema che ha consentito che il 10 per cento degli italiani si appropriasse del 50 per cento della ricchezza del paese. Ma siamo proprio sicuri che questa ricchezza ottenuta legalmente sia un valore? Non è forse, quello della sperequazione fra i redditi, uno dei problemi di fondo dell’economia italiana che ha generato un crescente impoverimento della classe media. Non sarebbe questo il tempo di porre il peso su valori diversi da quello della ricchezza.
Monti poi continua a parlare in terza persona dei politici. Loro in fondo sono bravi… La stampa li demolisce e li tratta male… Poveri loro. E lui, Presidente del consiglio nominato da un Presidente della Repubblica che da quando è nato fa politica, non c’entra nulla con la politica? Non ricopre una carica politica; forse la massima carica politica del nostro paese? Non è stato votato a larghissima maggioranza e dunque rappresenta pienamente un Parlamento di politici per la maggior parte cooptati e di qualità media alquanto bassa. Semmai Monti è la quintessenza della politica che perde ogni contatto sia pur formale, attraverso le elezioni, con i suoi cittadini. Fazio, sempre taciturno, ascolta il monologo.
Si potrebbe continuare così a lungo a descrivere il disagio che si prova nel vedere i mezzi di comunicazione alle prese con il post-berlusconismo. Ma in fondo anche questa è un eredità del berlusconismo, quella di aver fatto specializzare i giornalisti nelle facili ironie su escort e festini, ma di averli resi totalmente impreparati a ragionare sulle questioni importanti della vita politica ed economica.