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Articolo 21 - Editoriali
Monti, le privatizzazioni e le liberalizzazioni: il "grande inganno".
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di Gianni Rossi

 

Come stanchi e disamorati passeggeri di una nave crociera che si avvia nella notte verso una rotta mortale, l’Europa si avvita nella spirale dell’autodistruzione, ballando sul ponte del transatlantico del neoliberismo. Così l’aveva previsto in maniera immaginifica il grande regista francese Jean-Luc Godard, con  il suo ultimo film del 2010 “Film Socialisme”, ermetico sguardo sulla società capitalistica in disfacimento, come si conviene al padre della “Nouvelle Vague”. Profetiche scene girate da Godard proprio sulla nave Costa Concordia, quella stessa che è piaggiata a due bracciate dall’isola del Giglio.

 

Un paesesfiduciato, stremato e sull’orlo di una crisi depressiva, attende con ansia che il governo della Destra tecnocratica privatizzi tutto quanto è privatizzabile e liberalizzi fino all’acqua potabile, quella stessa che il recente referendum popolare ha decretato “bene comune intoccabile”. Mentre i registi mondiali della speculazione finanziaria (una quindicina di personaggi, circa 140 società) portano il loro attacco a fondo contro l’Eurozona, l’Unione europea, utilizzando le debolezze di bilancio e politiche di alcuni stati, tra i quali appunto l’Italia.

E la sinistra? Sfiancata, inebetita e ammutolita, la sinistra dentro e fuori la maggioranza del governo Monti/Passera/Fornero sembra succube di un senso di colpa atavico: aver iniziato essa stessa con i suoi più capaci leader, proprio 20 anni fa, la stagione delle privatizzazioni, con Amato, Ciampi e Prodi, ed aver avviato anche le liberalizzazioni con l’allora ministro dello Sviluppo Bersani, oggi capo del PD. E nel decimo anniversario dell’Euro, le privatizzazioni e le liberalizzazioni ad ogni costo, si presentano come il “Grande Inganno” del neoliberismo, travestito da efficientismo riformatore.

Ma andiamo per ordine. Si sostiene che entrambe le misure aprano le porte alla libera e corretta concorrenza, sviluppino il mercato e aumentino il numero dei posti di lavoro, inoltre i consumatori ne guadagnerebbero in efficienza e qualità dei servizi, trasparenza delle tariffe e abbattimento dei costi. Non è del tutto vero. Anzi!

 

Con la prima stagione di privatizzazioni, avviata dal governo di Ronald Reagan negli USA, durante gli anni Ottanta (su indicazione e sotto la gestione della Scuola di Chicago del Nobel per l’economia Friedman) con la battaglia contro i controllori di volo, la liberalizzazione delle rotte interne per le compagnie di volo nazionali e la rottura dei monopoli delle TLC, gli americani conobbero una prima fase di ripresa dalla recessione, che però portò alla distruzione di grandi società aeree storiche  PAN AM e TWA), alla perdita della supremazia mondiale tra le compagnie di volo, a favore di quelle europee (British Airways, Lufthansa e Air France); allo strapotere delle compagnie europee ed orientali nel traffico delle TLC via satellite, all’abbattimento di diritti sindacali e alla riduzione drastica dei livelli salariali: generale  peggioramento della qualità dei servizi.

 

Stessa storia nella Gran Bretagna dell’altra “allieva” di Friedman e delle “Reaganomics”, la “Dama di ferro” Margaret Thatcher. Anche lei iniziò con una storica vittoria contro i sindacati, stroncando gli scioperi ad oltranza  dei  minatori e da lì fece cadere a pioggia il suo piano di privatizzazioni e liberalizzazioni, per contrastare la recessione. Ma gli inglesi oggi hanno servizi meno efficienti, ferrovie più pericolose, la quasi totale assenza di industrie e un livello di vita molto modesto rispetto agli altri europei “continentali”.

A resistere finora al “vento gelido” delle privatizzazioni e liberalizzazioni sono state la Francia e la Germania, ovvero i due paesi guida dell’Unione europea e, guarda caso, quelle che chiedono sacrifici e maggiore mercato agli altri, in primis all’Italia.

 

La stagione italiana di neoliberismo addomesticato, in salsa “amatriciana”, fu iniziata da Amato, proseguita da Ciampi (con l’accordo storico tra il defunto ministro Beniamino Andreatta e il commissario europeo alla concorrenza, il belga Karel Van Miert) e consacrata da Prodi, prima come presidente dell’IRI (nel 1933 l'Istituto, già Spa, era al settimo posto nella classifica delle maggiori società del mondo per fatturato, con 67.5 miliardi di dollari di vendite. Fu liquidato nel 2000) e poi come capo del governo nel ’96 e nel 2006. Il ricavato delle privatizzazioni ( a capo dello speciale Comitato fu messo Mario Draghi, poi governatore Bankitalia e oggi presidente BCE,  e  come vice Vittorio Grilli, poi direttore generale del Tesoro e oggi viceministro all’Economia) doveva servire a ridurre lo stock di indebitamento pubblico, già nel 1993 al 118,2%!

 

Iniziò Prodi, presidente dell’IRI, con la vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat nel 1986. Si dovevano realizzare 3.300 miliardi di lire con la Ford, che si impegnava a investirne altri 4.000, ma sindacati e partiti (dalla DC, al PSI, al PCI) si opposero alla “svendita” agli americani e così la vinsero  Gianni Agnelli e Cesare Romiti con un’offerta di 1.050 miliardi di lire in 5 rate senza interessi (ne furono sborsati solo 400 tra il ’93 e il ‘98). La FIAT si accaparrò il Biscione di Arese (l’auto italiana allora più venduta negli USA) e alla fine chiuse gli stabilimenti storici dell’Alfa e in pratica licenziò quasi tutti i lavoratori. L’Alfa Romeo è diventata un “brand” senza identità, sempre in procinto di essere benduta al migliore offerente straniero e la FIAT è diventata la monopolista dell’auto (proprietaria anche di marchi storici come Lancia, Ferrari, Maserati).

 

Causa l’inefficacia delle regole Antitrust, della sorveglianza blanda di Consob e dele altre Autorità di Garanzia (le società “multate” o condannate possono ricorrere sempre al TAR e al Consiglio di Stato per farsi non solo ridurre le ammende, ma molto spesso annullare le sentenze!) finora le privatizzazioni e le tiepide liberalizzazioni in Italia hanno solo portato benefici ad una ristretta cerchia di famiglie, alle banche e assicurazioni, alle Fondazioni (feudi dei partiti e delle amministrazioni locali). In quanto a maggiore concorrenzialità, miglioramento dei servizi e abbattimento dei costi verso i consumatori nessun vantaggio finora, se non nel ramo della telefonia mobile.

Vediamo gli altri “casi storici”:

- Finanziaria SME dell’IRI, l’alimentare e grande distribuzione con la GS, Cirio-Bertolli-De Rica, venduta al ribasso, dopo il tentativo di privatizzarla a De Benedetti, contrastata da Craxi e Berlusconi, poi spezzettata e oggi con i supermercati in parte in mano alla francese Carrefour.

- Banche pubbliche (Comit, Credit, IMI, Banca di Roma, Assicurazioni INA, BNL) finite nel risiko dei poteri forti, intreccio tra industrie manifatturiere e media, oggi alla merce dei grandi gruppi europei (BNL del Tesoro, oggi una succursale della francese BNP Paribas), con i vertici scelti dalle Fondazioni coacervo di interessi politici clientelari. Risultato: scarsa efficienza dei servizi, i più cari rispetto al sistema bancario europeo, intrecci “perversi” con le grandi società spesso “bollite” e scarsa propensione ai prestiti alle famiglie e alle nuove e piccole imprese. I più alti tassi per i mutui immobiliari. Dimensioni ridotte, tranne l’Unicredit, 70esima nella classifica delle 140 aziende più importanti del mondo.

- Autostrade vendute ai “soliti amici”, tra cui brillano i Benetton: pedaggi sempre più cari, l’allungamento a dismisura del periodo di concessione dall’Anas. Per alcuni anni presidente è stato il professor Gian Maria Gros-Pietro, il capo dell’IRI che operò la privatizzazione, e che poi ha presieduto anche Atlantia, la holding dei Benetton che controlla le Autostrade. All’Anas si trova come capo assoluto l’ex-Direttore generale dell’IRI che cooperò alla vendita, Pietro Ciucci, amministratore delegato anche della società per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. E consulente per le beghe europee ed altro di Atlantia-Autostrade è stato quel Carlo Malinconico, da ultimo sottosegretario alla Presidenza del consiglio che si è dovuto dimettere per le vacanze pagate “a sua insaputa” dai personaggi della “cricca”. In Francia dove esiste un regime di concorrenza vero, le autostrade sono gestite da grosse società private, il pedaggio è più basso che in Italia, gli spazi di ristoro sono appannaggio di diverse società di ristoro ( e non come in Italia dove regna l’oligopolio dell’Autogrill, sempre di proprietà Autostrade)

- Aeroporti (Seat Milano e ADR Roma) ancora ai “soliti amici”, aumento dei diritti di volo e peggiori condizioni di servizi per i viaggiatori.

- Vendita politica della Telecom agli altri “amici” del governo, con cambi di cordate a seconda dei governi regnanti e “calata” degli stranieri, quasi padroni del mercato più redditizio, quello della telefonia mobile, che per fortuna viene tenuta sotto stretto controllo dalle autorità antitrust europee. Ma nessuna banda larga o cablatura dell’intero territorio, come prevedeva in vece il Piano Socrate, varato negli anni Novanta con grande “preveggenza” dall’allora STET-Telecom pubblica (un progetto da 13 mila miliardi d’investimento, per cablare entro il ’98 le case di tutti gli italiani finito ingloriosamente).

- Alitalia, prima colpita dalla concorrenza di AirOne sulla rotta dalle uova d’oro Milano-Roma e poi svenduta alla CAI (che ha inglobato la Air One in forte crisi debitoria)  degli amici del governo Berlusconi (Colaninno, Passera, i Benetton, Tronchetti Provera, Caltagirone, Carlo Toto, gli Angelucci, i Gavio delle autostrade Milano-Torino). Un salasso per i contribuenti italiani di quasi 4 miliardi di euro, mentre l’acquisto da parte della CAI è stato sui 300 milioni. In realtà la società ormai vola verso l’inglobamento nella potente Air France-KLM (quelle stesse società che durante i governi di centrosinistra avrebbero dovuto entrare al 50% in società con scambi azionari!) .

 

Dopo un primo momento di ossigeno per casse esauste dello Stato, gli introiti sono andati a beneficio delle solite cordate rampanti del capitalismo familistico italiano, grazie anche a piani dolorosi di cassa integrazione, prepensionamenti  e licenziamenti, tutti pagati con i soldi dei contribuenti, quindi con la revisione delle tariffe grazie ai regimi di convenzioni, in parte con l’ingresso di soci stranieri e la perdita dei know-ow italiani.

Ora il Piano Monti/Passera/Fornero prevede, tra l’altro di privatizzare le Ferrovie ( l’unico vero “competitor” è la cordata Della Valle-Montezemolo-Punzo con la NTV, già in parte venduta ai francesi). Ma da anni i contribuenti italiani sono “costretti” a sovvenzionare il bilancio delle FS con migliaia di miliardi, senza però usufruire di servizi adeguati sulle rotte da e verso il Sud, quelle dei pendolari e ora anche il servizio cuccette. Oltre a pagare ogni anno un biglietto sempre più caro, rispetto alle altre ferrovie europee. Quindi, toccherà alle Poste, già trasformate proprio da Passera, all’epoca presidente, in Banca-posta, ristrutturata con un forte “dimagrimento del personale” e perdita di efficienza nel servizio più propriamente del recapito, tanto da far prosperare società private nella distribuzione e spedizione. Grazie a quella trasformazione entrò nelle Poste la banca-assicurazione Mediolanum di Berlusconi-Ennio Doris con appositi sportelli di vendita. Oggi, è al primo posto nelle intenzioni di privatizzazione, anche sulla base di una delibera della Commissione europea, che però trova ostacoli nei paesi principali, anche grazie alla battaglia dei sindacati.

 

Aumentando il numero delle licenze delle farmacie, della distribuzione delle pompe di benzina, delle licenze dei taxi, del numero di accessi alle professioni come notai e giornalisti,  Monti e il “Trio Bellezza” (Alfano-Bersani-Casini), che lo sostiene, pensano che di colpo scendano i prezzi e aumentino i posti di lavoro. In realtà faranno un gran regalo ai centri commerciali e ipermercati (con le COOP in prima fila). Incredibile che i media, fin qui antiberlusconiani, credano a queste “panzane”, dopo gli esempi storici già vissuti sulla pelle degli italiani. Proprio mentre aumenta nell’opinione pubblica (ultimo sondaggio Demos) la voglia di più Stato efficiente, meno politica e meno poteri forti in economia e nella gestione dei servizi pubblici. Il numero delle farmacie in Italia in rapporto agli abitanti è nella media europea, stando agli studi statistici Eurostat, un po’ meno della Francia, ma più di Germania e Gran Bretagna. Le licenze taxi sono poco più basse della media europea, solo che nelle due grandi metropoli, (Roma e Milano) non esiste un servizio di Metropolitante come nelle principali capitali europee (in media 42 kilometri contro 10-15 volte in più per Parigi e Londra o Berlino). A questo proposito, fa tuttora scalpore lo studio analitico di Bankitalia (Questioni di economia e finanza. Il servizio di taxi in Italia: ragioni e contenuti di una riforma. Febbraio 2007, di Chiara Bentivogli e Manuela Calderini).

Intanto, a livello europeo, Francia e Germania si guardano bene dallo “svendere” i loro gioielli ai privati di casa e tanto meno agli stranieri, seppure di stretta osservanza europea.

 

Si parla anche di privatizzare parte della RAI, magari vendendo una rete, Raiuno, per fare cassa e risanare il debito di Viale Mazzini. Ma in questo caso, caro professor Monti,dalla sua esperienza di Commissario europeo alla concorrenza, forse non sarebbe meglio procedere con una nuova disciplina che liberi veramente il mercato, sciogliendo le rendite oligopolistiche di Mediaset (generalista e digitale terrestre) di SKY (satellitare), attuando una regolamentazione europea con un forte servizio pubblico finanziato con entrate certe e non aleatorie con oggi (come il canone nella bolletta elettrica), la possibilità per tutti gli operatori di essere presenti sulle varie piattaforme, magari ripensando alle cosiddette piattaforme uniche utilizzate da tutti? Soprattutto, con una rete per ogni competitor privato come nel resto del mondo!

 

Studi professore la storia e la geopolitica. Studi con attenzione. Si applichi con umiltà e, soprattutto, ascolti gli esperti del settore, fuori dalla cerchia dei poteri forti.

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