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Articolo 21 - Editoriali
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di Angelo Giacobelli

Al lupo al lupo! Si urla alla minaccia mafiosa... e come mai nessuno si indigna della classe dirigente italiana? “Un club esclusivo di una certa età”. Che bel mestiere fottere i giovani e gli italiani... La notizia (che circolava da tempo) l’ha data lo storico Ernesto Galli Della Loggia nell’editoriale di ieri sul “Corriere della sera”. Bisogna trovare il coraggio di riunire il popolo italiano, tutto, per riconfermare i tanti diritti... Allora sì che si potrebbe discutere. Maggioranza  ed opposizione hanno banchettato per anni, i primi non hanno mai trovato nemmeno un capello fuori posto al padrone, i secondi hanno trovato talmente pochi difetti, che hanno preferito stare incollati alle remunerate poltrone, con tanto di ventose. Continuano imperterriti a distrarci…
I genitori non dormono per trovare le parole giuste per dire ai loro figli che quest’anno a scuola andranno con i libri fotocopiati... I lavoratori licenziati non ce la fanno nemmeno a tornare a casa, si suicidano in azienda... Quelli che lavorano non sono tranquilli  per niente. Questa è una classe dirigente, politica e sindacale, che ha fatto il suo tempo.  Non da meno bisogna anche pensare che, ahimè, fin quando si continueranno a sostenere le direttive europee (scelta scellerata quella di entrare nell’euro, che ha fatto perdere sovranità al nostro paese) ed il club della Trilaterale,  nonché il trattato di Lisbona, tutto continuerà come adesso ed anche peggio, perché il peggio deve ancora venire. La letterina di Draghi e Trichet al governo è un chiaro esempio di ciò che questi ”liquidatori” vogliono e pretendono dalla nostra vita, ovvero completo asservimento e rassegnazione. Trichet, Draghi, Mario Monti, ect… è meglio che sloggino subito, prima che l’onda lunga dell’indignazione non li travolga tutti, prima che la gente passi dalla rassegnazione alla ribellione.

Un club esclusivo di una certa età
di Ernesto Galli Della Loggia (dal Corriere della Sera del 27 febbraio 2011)

Ciò che più colpisce nell'elenco dei grandi manager pubblici percettori di alti redditi, reso noto nei giorni scorsi, è sì l'ammontare di denaro che ognuno di essi intasca ma insieme, e forse soprattutto, è il loro sesso e la loro età. Non ce n'è uno che abbia meno di cinquant'anni (a dir poco: la media è senz'altro assai più alta) e, tranne un paio di eccezioni che confermano la regola, sono tutti invariabilmente maschi. È una situazione che non riguarda solo il settore pubblico. In generale, infatti, è tutta la classe dirigente italiana che corrisponde a questa caratteristica: un gruppo di maschi maturi, o più che maturi, con retribuzioni enormemente superiori alla media, ognuno titolare di una quantità straordinaria di incarichi. Non si tratta dunque solo dei politici che anzi, secondo me, possono essere annoverati da molti punti di vista tra i meno privilegiati. In misura assai più pronunciata presentano i caratteri di un'oligarchia di anziani colmi di benefici vari (non sempre monetari) pure i vertici delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, dell'università, della magistratura e al tempo stesso anche quelli del settore privato: dalla finanza (dove qualche tempo fa, non a caso, un novantenne si sentì vittima di una colossale ingiustizia perché invitato a lasciare il suo posto) all'industria, fino al giornalismo, dove spesso i direttori, i commentatori e i titolari di rubriche costituiscono un vero e proprio club esclusivo dei soliti noti.

Intendiamoci: parole d'ordine come «largo ai giovani» o «rottamiamo i vecchi» di per sé non hanno mai portato da nessuna parte, ma ciò non toglie che una società com'è per l'appunto quella italiana attuale, ai cui posti di comando non c'è neppure un quarantenne, sia inevitabilmente una società poco dinamica, incapace di rischiare, di misurarsi con il futuro. Cioè una società destinata alla decadenza oltre a essere una società profondamente ingiusta. Infatti - poiché è difficile pensare che l'eccellenza, guarda caso, corrisponda sempre e comunque all'età - nulla come un così diffuso dominio dei vecchi indica fino a che punto in Italia il merito non sia tenuto quasi in alcun conto come criterio decisivo per l'assegnazione di un qualunque incarico. Dappertutto sempre uomini di una certa età, accumulatori spesso a dismisura di cariche e incarichi sottratti ai più giovani: anche in questo modo il nostro Paese si è venuto privando di quella grande risorsa che in mille occasioni passate ha rappresentato il suo capitale umano.

Quanto detto riguarda anche i partiti. Stretti nella tenaglia del discredito pubblico che li colpisce dal basso e del commissariamento del governo Monti che li insidia dall'alto, non riusciranno a sopravvivere se non cambieranno profondamente. Innanzi tutto evitando di presentarsi con le stesse voci e gli stessi volti di sempre. In nessun Paese sono oggi al potere persone che già negli anni 70-80 occupavano posti di rilievo sulla scena pubblica. E di conseguenza in nessun Paese capita di sentire oggi sulla bocca dei politici affermazioni, proposte, enunciazioni programmatiche, che sono l'esatto contrario, o comunque diversissime, da quelle che i medesimi, con la medesima sicurezza, dicevano ieri. Uno ieri che in più di un caso era soltanto pochi mesi fa.

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