di Nino Rizzo Nervo*
Che l’argomento Rai non sia più un tabù tanto che sarà uno dei temi principali del prossimo vertice tra il presidente del consiglio e i leader dei partiti è una buona notizia, così come lo è quella che due degli azionisti della maggioranza che sostiene governo, Pd e Terzo polo, la pensino adesso allo stesso modo.
La crisi del servizio pubblico radiotelevisivo, dicono in sostanza Bersani e Casini, è talmente grave che non può essere affrontata con gli strumenti di governance fissati dalla legge Gasparri e, quindi, se non si riesce a cambiare in tempo le regole, ben venga una gestione commissariale.
Anche il governo sa che la situazione a viale Mazzini è molto delicata. Come interpretare altrimenti le cose dette in questi mesi dallo stesso Monti che ha annunciato per la prima volta l’8 gennaio scorso, ospite da Fabio Fazio, che presto vi sarebbe stata un’iniziativa. I tempi, però, adesso stringono, la scadenza dell’attuale consiglio di amministrazione, che ha peraltro perso per strada uno dei suoi membri, è imminente e se si vuole evitare il declino di quella che, nel bene e nel male, continua a essere la più grande impresa culturale del paese è necessario agire in fretta.
Alcune sere fa all’Infedele di Gad Lerner anche Lorenzo Sassoli de Bianchi, il presidente dell’Upa, l’associazione di categoria degli investitori pubblicitari, ha lanciato l’allarme. La Rai ha urgente bisogno di una guida forte e competente per poter avviare una profonda riorganizzazione industriale con l’obiettivo di risanare i conti, di liberare risorse per migliorare la qualità dell’offerta e di accrescere la percezione del suo “valore pubblico”. I primi dati sulla raccolta pubblicitaria del trimestre gennaio- marzo sono davvero preoccupanti.
Si delinea, infatti, un segno negativo per la prima volta a due cifre mentre non vi sono segnali di ripresa del mercato. In questa situazione Sipra dovrà, nel caso in cui non lo avesse già fatto, rivedere presto al ribasso gli obiettivi e in un anno in cui la Rai affronta i costi degli Europei di calcio e delle Olimpiadi (circa 145 milioni di euro in più rispetto al 2011) non è azzardato affermare che le previsioni di perdita per il 2012 fatte da Mucchetti sul Corriere della Sera (100 milioni di euro) sono realistiche, con un conseguente indebitamento finanziario difficilmente sostenibile.
Potrebbe un consiglio di amministrazione di nove persone, emanazione diretta dei partiti, e un direttore generale con poteri inadeguati affrontare con tempestività ed efficacia la crisi? Sicuramente no. La Rai si troverebbe di nuovo in mezzo al guado, paralizzata da veti incrociati e persisterebbe quella situazione di ingovernabilità più volte denunciata anche dal presidente Paolo Garimberti. Ma c’è un’altra ragione per cui io credo che non si possa non riformare la governance.
Non sono un giurista ma a me sembra che sia sfuggito a molti che vi è anche un obbligo giuridico di modificare la Gasparri. La legge finanziaria 2008 all’articolo 3, comma 12, già fissava alcuni adempimenti per le società pubbliche non quotate in borse tra cui la riduzione a cinque membri dei consigli di amministrazione. È intervenuta poi la legge di stabilizzazione finanziaria n.122 del 2010 che all’art.6 ha reiterato con maggiore forza quella disposizione. Il comma 5 stabilisce che “tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato” devono, “a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ridurre a cinque il numero dei componenti dei consigli di amministrazione e che a provvedere all’adeguamento devono essere le “amministrazioni vigilanti” (per la Rai il Tesoro e lo Sviluppo economico ndr).
La mancata attuazione della norma “determina responsabilità erariale” ed anche la nullità “di tutti gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati”. Ora la Rai è senza alcun dubbio, in quanto società per azioni di proprietà per il 99% del Tesoro per l’1% della Siae, un “ente pubblico economico con personalità giuridica di diritto privato” mentre la Cassazione a sezioni riunite le ha attribuito in via definitiva lo status giuridico di “organismo pubblico”. Rinnovare il consiglio di amministrazione con l’attuale normativa comporterebbe dunque un rischio: gli amministratori potrebbero essere chiamati a rispondere di danni all’erario mentre è concreta la prospettiva di un corposo contenzioso determinato da inevitabili ricorsi per l’invalidazione delle delibere di volta in volta adottate (da parte di dipendenti, fornitori, sindacati, associazioni dei consumatori eccetera).
Qualcuno sosterrà che la norma non si può applicare al servizio pubblico radiotelevisivo. Io non ne sarei così certo e, intanto, mi piacerebbe sapere cosa pensano le “amministrazioni vigilanti” alle quali la legge chiede di realizzare gli adeguamenti organizzativi. Su un fatto si può essere però tutti d’accordo: una situazione di incertezza giuridica rappresenta in ogni caso un grave danno per l’azienda. La nomina di un commissario, anche per consentire un adeguamento normativo, o una nuova legge per riformare la governance in tempo per il rinnovo degli organi di amministrazione sarebbero, invece, le soluzioni auspicabili e più sagge.
* Europa Quotidiano 20 marzo 2012