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La vicenda Marrazzo svela la pluralità di conflitti di interesse
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di Roberto Natale*

La vicenda Marrazzo svela la pluralità di conflitti di interesse

Tra i molti filoni della vicenda Marrazzo c’è n’è uno che chiama in causa direttamente l’editoria italiana: i suoi assetti, le sue zone opache, le regole che mancano, le riforme che tardano. Riguarda l’attività della giunta regionale del Lazio in materia di sanità e i contrasti con la Tosinvest della famiglia Angelucci, proprietaria di una rete di cliniche private con migliaia di posti-letto e insieme editrice di “Libero” e del “Riformista”. Il piano disposto da Marrazzo per il rientro dal deficit ha comportato per il gruppo privato minori entrare per 30 milioni di euro e prevedeva, tra l’altro, il taglio dei finanziamenti ad una delle sue più importanti strutture, il San Raffaele di Velletri. Dai verbali degli interrogatori pubblicati in questi giorni sulla trattativa per l’acquisto del video di Marrazzo con il trans emerge un ruolo che l’editore Giampaolo Angelucci avrebbe svolto direttamente, al di là dei contatti che hanno riguardato il direttore di “Libero”, Maurizio Belpietro. Ne parla Carmen Masi, dell’agenzia che cerca di piazzare il filmato: la donna racconta che il 14 ottobre “l’editore Angelucci è venuto alla Photomasi e ha visionato il filmato dimostrandosi interessato, con indicazione di una risposta entro le 19 della stessa sera”. Nelle ore successive, però, Alfonso Signorini fa sapere che c’è un forte interesse di “Panorama”, ed è un cliente più interessante: “Alle 19 mi ha chiamato Angelucci - prosegue Carmen Masi - e gli ho detto che per il momento dovevamo fermarci senza specificare il motivo”. Angelucci, da parte sua, smentisce queste affermazioni in modo categorico, dichiarando di “non essersi mai recato nell'Agenzia PhotoMasi, non aver mai conosciuto, incontrato o parlato con la signora Masi e non aver mai visionato il filmato relativo alla vicenda”. Non solo: annuncia azione giudiziaria con pesanti richieste di risarcimento nei confronti dei quotidiani - “il Manifesto”, “la Repubblica” e “il Giornale” (oggi diretto da Vittorio Feltri, che con gli Angelucci non si è lasciato in buoni rapporti, quando a luglio è andato via dalla direzione di “Libero”) - che hanno messo in relazione la linea editoriale tenuta da “Libero” con gli interessi degli Angelucci nella sanità.
     A completare il quadro c’è il fatto che una delle testate che ha ricostruito il duello Marrazzo-Angelucci ipotizzando che l’imprenditore abbia voluto “vendicarsi” dei tagli subiti è anch’essa interessata agli assetti del settore: tra le attività del gruppo Cir di Carlo De Benedetti, l’editore di “Repubblica”, c’è la Hss (Holding Sanità e Servizi), con 5mila posti-letto e ricavi cresciuti del 13% nei primi 9 mesi del 2009.
     Dirà l’inchiesta giudiziaria se ci sia stato, e quale sia stato, il ruolo di Giampaolo Angelucci. Ma ci sono due domande che, senza bisogno di attendere l’ulteriore lavoro dei magistrati, la vicenda consegna a noi giornalisti e a tutti coloro che abbiano interesse ad una maggiore trasparenza dell’informazione.
- E’ accettabile che i lettori non sappiano praticamente nulla (se non per fuggevoli accenni, quando va bene) del coinvolgimento diretto degli editori nelle cronache? Vale per la sanità quello che vale per numerosi altri settori. L’edilizia, ad esempio: abbiamo giornali i cui editori sono interessati assai più ai piani regolatori che ai piani editoriali. Come garantire meglio questo livello basilare di affidabilità dell’informazione?
- La seconda domanda richiama la discussione su editoria “pura” e “impura”: discussione annosa, dirà più d’uno sbuffando, e però di attualità indubitabile per chiunque non voglia rassegnarsi a vedere piegato il giornalismo ad altre logiche. C’è una riforma dell’editoria che attendiamo invano da anni, come da anni parliamo di uno statuto dell’autonomia dell’informazione nell’impresa editoriale. Si può parlarne senza dover subire ridicole accuse di “sovietismo”? E perché non pensare ad introdurre strumenti che favoriscano in qualche modo le imprese editoriali che fanno solo informazione, senza interessi di altro tipo? A scanso di equivoci, ribadiamo che il sindacato non ha in mente “missionari della notizia” disinteressati ai profitti: devono essere imprese, dunque capaci di generare utili. Ma questo denaro dovrebbe provenire dalla vendita di informazioni, non dall’uso più o meno occulto dell’attività editoriale per spingere interessi di altro tipo.
Vista sotto questa luce, la vicenda Marrazzo è un’ottima conferma di come sia giusto parlare di conflitti di interesse, al plurale. Perché c’è sì quello monumentale di Silvio Berlusconi (che anche in questa storia ha trovato modo di manifestarsi vistosamente, con l’intreccio di ruoli tra Presidente del Consiglio, editore e padre), ma non è il solo. Per parlare di tutto questo ci sarebbe anche la sede opportuna. Il governo ha annunciato ormai da un anno gli Stati Generali dell’editoria, ma la loro convocazione non si intravvede nemmeno lontanamente. Se il timore è che queste richieste siano mirate contro Berlusconi, il plurale (“conflitti”) dovrebbe essere di garanzia: chiediamo regole di civiltà che valgano per lui come per numerosi altri grandi editori. Né può essere un problema la carenza di risorse statali: sono riforme a costo zero, o al più finanziabili con i contributi pubblici che ancora troppe testate finte continuano a percepire. 

*Presidente Fnsi


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