Articolo 21 - INTERNI
Carceri, 51 morti dall'inizio dell'anno: "Occorrono misure alternative alla detenzione"
di Bruna Iacopino
È un lento e costante stillicidio quello che si verifica dentro e fuori le mura delle carceri italiane, apparse sulle prime pagine di tutti i giornali in seguito alla vicenda Cucchi, e riscomparse subito dopo, nonostante il tentato suicidio, fermato qualche ora fa' in extremis da un agente di polizia penitenziaria presso il carcere di Reggio Calabria e i due decessi registrati negli ultimi due giorni: il primo l'altro ieri, presso il carcere di Borgo San Nicola di Lecce e il secondo, ieri, a Padova, facendo salire il numero dei decessi a 51 dall'inizio dell'anno, 15 dei quali suicidi. A divulgare questi dati che continuano a suscitare allarme, ma solo presso gli addetti ai lavori, sono le associazioni e enti che si occupano della condizione carceraria. In un comunicato diramato sempre nella giornata di ieri, in rapporto alla morte di Luca Antoniolo, avvenuta presso il carcere di Padova, l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere sottolinea: “ Nella Casa Circondariale di Padova, a fronte di 120 posti 'regolamentari', sono presenti oltre 230 detenuti, dei quali l'80% sono stranieri. Con la morte di Luca Antoniolo salgono a 51 i detenuti morti in 3 mesi nelle carceri italiane (l'ultimo caso ieri, con la morte di Emanuele Carbone, 71enne, nel carcere di Lecce), 15 di loro si sono suicidati (l'ultimo in ordine di tempo a Reggio Emilia domenica scorsa, vittima un detenuto italiano di 47 anni). Lo scorso anno i decessi furono ben 175 (massimo storico), dei quali 72 per suicidio''. Rimangono al momento oscure le cause che hanno provocato il decesso, secondo alcune fonti, Antoniolo avrebbe avuto un malore nei pressi della lavanderia, secondo altre sarebbe stato trovato morto in cella. Si attende dunque l'esito dell'autopsia per fare chiarezza sull'accaduto. Analoga situazione per Emanuele Carbone, 71enne originario di Castellana Grotte (Lecce), detenuto presso il carcere Borgo San Nicola di Lecce e morto in infermeria in seguito ad una crisi respiratoria. Per lui il giudice ha già disposto l'autopsia. Il 13 febbraio scorso, nello stesso carcere era morto Giuseppe Nardella, di 45 anni: per quell'episodio due medici in attività presso il carcere risultano iscritti nel registro degli indagati, accusati di omicidio colposo, perché si suppone che possa esservi stato un ritardo nel ricovero. Uno stillicidio interno, fatto dunque di morti e suicidi, ma anche esterno, in un rimpallo di responsabilità e soluzioni, non ancora trovate. Qualche giorno fa il Ministro Alfano, per rispondere alle sollecitazioni arrivate dal Sappe in occasione del XXI congresso del principale sindacato di polizia penitenziaria, dice tra le altre cose: “ ... diventa evidente come gli attuali problemi non si superano costruendo solamente nuove carceri, ma diversificando il sistema sanzionatorio. Ciò non corrisponde solo ad esigenze umanitarie, ma alla prospettiva di una prevenzione più efficiente.”
Proprio il congresso era stata l'occasione per rilanciare una proposta già da tempo caldeggiata dallo stesso sindacato e dall'UCPI ( Unione Camere Penali Italiane) : “ ... e’ giunta l’ora di ripensare la repressione penale – sostiene Donato Capece, segreatario del SAPPE- mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravita’ da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che e’ il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non e’ necessario il carcere ipotizzando sanzioni diverse. E’ chiaro che una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere”; e lanciare altresì, una sorta di atto d'accusa: “Se il carcere e’ in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, e’ evidente come la societa’ dei reclusi non possa che essere lo specchio della societa’ degli uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il contenimento all’interno delle strutture penitenziarie”
Secondo il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, attualmente nelle 206 carceri italiane, sono registrati 67.178 detenuti, 42.197 italiani, 24.981 stranieri, a fronte di una ricettività regolamentare pari a circa 43mila posti. E il sovraffollamento sarebbe, stando alla denuncia dell'Unione Camere Penali Italiane, alla base dell'aumento dei suicidi: “ Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti". Che, pur non bocciando appieno le soluzioni proposte dal Governo sottolinea attraverso l'avv. Roberto D’Errico, Responsabile dell’Osservatorio Carcere UCPI, che l'associazione dei penalisti "non è contraria alla creazione di nuovi posti nelle carceri così come è favorevole alla assunzione di nuovi agenti della polizia penitenziaria, però tale percorso è insufficiente e non è in grado di rimuovere le cause del sovraffollamento". Soluzioni alternative dunque, che vanno trovate e al più presto, con la piena collaborazione tra maggioranza e opposizione, prima che la situazione prima che la situazione precipiti irrimediabilmente.
Proprio il congresso era stata l'occasione per rilanciare una proposta già da tempo caldeggiata dallo stesso sindacato e dall'UCPI ( Unione Camere Penali Italiane) : “ ... e’ giunta l’ora di ripensare la repressione penale – sostiene Donato Capece, segreatario del SAPPE- mettendo da un lato i fatti ritenuti di un disvalore sociale di tale gravita’ da imporre una reazione dello Stato con la misura estrema che e’ il carcere, e dall’altro, anche mantenendo la rilevanza penale, indicare le condotte per le quali non e’ necessario il carcere ipotizzando sanzioni diverse. E’ chiaro che una opzione di questo tipo dovrebbe ridisegnare il sistema a partire dalle norme in materia di immigrazione e dalla individuazione delle risorse per affrontare il tema delle dipendenze e dei disturbi mentali fuori dal carcere”; e lanciare altresì, una sorta di atto d'accusa: “Se il carcere e’ in larga misura destinato a raccogliere il disagio sociale, e’ evidente come la societa’ dei reclusi non possa che essere lo specchio della societa’ degli uomini liberi. In altri termini, sembra che lo Stato badi solo ad assicurare il contenimento all’interno delle strutture penitenziarie”
Secondo il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, attualmente nelle 206 carceri italiane, sono registrati 67.178 detenuti, 42.197 italiani, 24.981 stranieri, a fronte di una ricettività regolamentare pari a circa 43mila posti. E il sovraffollamento sarebbe, stando alla denuncia dell'Unione Camere Penali Italiane, alla base dell'aumento dei suicidi: “ Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti". Che, pur non bocciando appieno le soluzioni proposte dal Governo sottolinea attraverso l'avv. Roberto D’Errico, Responsabile dell’Osservatorio Carcere UCPI, che l'associazione dei penalisti "non è contraria alla creazione di nuovi posti nelle carceri così come è favorevole alla assunzione di nuovi agenti della polizia penitenziaria, però tale percorso è insufficiente e non è in grado di rimuovere le cause del sovraffollamento". Soluzioni alternative dunque, che vanno trovate e al più presto, con la piena collaborazione tra maggioranza e opposizione, prima che la situazione prima che la situazione precipiti irrimediabilmente.
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