di Duilio Giammaria
Un quartiere di case basse, residenziale, per gli standard irakeni. Un gruppo di persone, l’aria rilassata i movimenti tranquilli. Portano con sé l’attrezzatura di sempre, di tutti noi che lavoriamo per la televisione: cavalletto, telecamera.
Un elicottero americano a distanza li individua. Pochi minuti per valutare chi siano, ma subito si fa strada il sospetto che siano “insurgents”. Improvvisamente quelle attrezzature inoffensive diventano armi. Gli elicotteristi non hanno più dubbi, quando chiedono l’autorizzazione ad aprire il fuoco stanno descrivendo la scena di un gruppo armato pronto a sparare con un RPG. Non ci sono però obiettivi intorno, ma nulla ormai impedisce il fuoco a volontà. Pochi secondi e sono tutti morti. Tutti tranne uno. Pochi minuti dopo arriva un piccolo Van a soccorerlo. Di nuovo gli elicotteristi vedono una minaccia. La scena si ripete fuoco sul van. Poi quando dopo molti minuti arrivano le truppe da terra, si accorgono che sul van c’erano dei bambini rimasti gravemente feriti. Non ci sono tracce di armi. Si scopre che gli uccisi sono cameraman e fotografi che lavorano per le agenzie internazionali gli stessi che ogni giorno ci hanno riportato le immagini della tragedia irakena. Colleghi, padri di famiglia. Ne ho conosciuti molti come loro. Giovani, entusiasti del loro lavoro. Con un ammirabile senso etico e di missione nel raccontare quello che succede, capaci di ricordarci l’essenza del giornalismo.
Pur non riconoscendoli, mi sembra di conoscerli bene. Una tragedia. L’incidente del 12 Luglio 2007 assomiglia molto a quello dell’aprile del 2003 all’Hotel Palestine. Anche lì morti e feriti tra i giornalisti.
Una scena dura da vedere anche se mediata attraverso il filtro dello schermo di internet. Una scena che fa pensare alle decine di casi in cui il dubbio non ha innescato la prudenza. In Iraq, come in Afghanistan, la guerra vista da un elicottero o attraverso la telecamera allontana la riflessione. Un gruppo riunito per un matrimonio o un assembramento di giornalisti. Un ultima considerazione infine sulla scelta del Pentagono di confermare che si trattava di “insurgents” quando era ormai chiaro che erano giornalisti. Ci aspettiamo da una democrazia che fa della sua capacità di indagare sull’operato dei proprio soldati il suo punto di forza: occorre una chiaro riconoscimento di responsabilità e le regole di ingaggio modificate.
L’ennesimo tragico incidente deve almeno servire da lezione.