di Susanna Ripamonti
� guerra dichiarata tra i giudici italiani e gli Usa. Il gip: «Spregio della sovranità nazionale»
da L'UnitÃ
LA GUERRA GIUDIZIARIA con gli Usa è ormai dichiarata per la vicenda del rapimento dellâ??Imam della moschea milanese di via Quaranta, Abu Omar. Il gip Chiara Nobili, nellâ??ordinanza in cui dispone lâ??arresto di 13 agenti della Cia responsabili del sequestro scrive
chiaramente che è stato il responsabile dell'ufficio Cia di Milano Robert Seldon Lady ad «avere coordinato l'azione, garantendo altresì collegamenti ed assistenza agli altri concorrenti nel reato, anche per effetto della sua pregressa presenza ed attività lavorativa a Milano». Il gip sottolinea la gravità dell'episodio «al di là del puro e semplice reato di sequestro di persona. In primo luogo, il fatto che si trattasse di un rifugiato politico «costituisce un gravissimo attacco all'autorità dello Stato Italiano e ai trattati internazionali in materia». In secondo luogo «il fatto che la condotta appare essere stata posta in essere da cittadini stranieri e finalizzata ad ottenere la detenzione in uno Stato estero, senza che nessuna autorità Italiana sia stata avvisata della vicenda o della presenza di un titolo custodiale o abbia minimamente autorizzato la limitazione di libertà ». In terzo luogo, il fatto che si trattasse di persona sottoposta ad indagini da parte delle autorità italiane, con la conseguenza che la sottrazione di un siffatto soggetto ha costituito un oggettivo ostacolo all'effettivo accertamento dei fatti da parte dell'Autorità Giudiziaria».
Erano inizialmente 19 le richieste di arresto per il reato di sequestro di persona formulate dai procuratori aggiunti Armano Spataro e Ferdinando Pomarici. Gli altri restano indagati.
E vediamo la storia, che emerge dalla relazione del gip. Nasr Osama Mostafa Hassan, alias Abu Omar, egiziano, aveva ottenuto asilo politico nel 2001 ma fu poi indagato per reati di terrorismo internazionale. Câ??è una testimone, una donna egiziana che aveva assistito alla scena del rapimento: uomini con abiti occidentali che caricavano a forza su un furgone Abu Omar, vestito con la sua bianca jalabiyya, che urlando aveva richiamato la sua attenzione. Chiedeva aiuto in arabo. Per oltre un anno dopo il sequestro, non vi era stato alcun significativo progresso nelle indagini. Lâ??imam riappare in conversazioni telefoniche intercettate dalla procura milanese. Parlando con la moglie diceva di trovarsi in Egitto, di essere stato sequestrato, portato in una base americana e quindi, in aereo, trasferito in Egitto, dove era stato detenuto fino a quel momento, sottoposto a gravi torture e rilasciato per gravi problemi di salute. La moglie dichiara a verbale: «mi ha detto di essere stato sempre detenuto e di essere stato sottoposto in carcere a ogni tipo di tortura, perché gli egiziani volevano da lui informazioni che egli non era in grado di dare e che al termine delle torture lo avevano obbligato a firmare una dichiarazione con cui affermava di avere volontariamente scelto di consegnarsi alle autorità egiziane».
Altra testimonianza concordante è quella di Abu Imad, l'imam della moschea di viale Jenner che riuscì a mettersi in contatto con lui e a raccogliere un suo dettagliato racconto. Conferma il sequestro, il trasferimento ad Aviano: durante il tragitto, durato 5 ore gli fu tappata la bocca col nastro adesivo, fu minacciato di morte se avesse urlato. Nella base Usa «mi disse di essere stato picchiato, torturato, interrogato». All'alba venne caricato su un aereo militare e trasferito al Cairo. Qui, secondo il testimone, incontrò il ministro dell'interno egiziano Habib Al Adly che «in sostanza gli disse che se voleva lavorare come infiltrato dei servizi segreti egiziani sarebbe stato fatto ritornare in Italia entro 48 ore, altrimenti si sarebbe assunto la responsabilità del rifiuto». Abu Omar rifiutò e fu incarcerato fino alla sua liberazione del 20 aprile 2004. Abu Imad conferma il racconto di tremende torture, chiuso in una stanza dove venivano diffusi suoni ad altissimo volume che gli hanno lesionato l'udito. Poi passaggi da «una specie di sauna ad altissima temperatura e subito dopo in una cella frigorifera, producendo dolori fortissimi alle ossa, come se si stessero spaccando». E ancora appeso a testa in giù, con elettrodi applicati nelle parti delicate e sensibili del corpo compreso l'apparato genitale. Ha subito danni alla deambulazione ed all'apparato urinario ed era diventato incontinente». Ottenne la scarcerazione promettendo di tacere su tutta la vicenda ma una volta liberò violò gli accordi e venne riarrestato. La moglie dice di averlo visto unâ??ultima volta il 21 febbraio del 2005 nel carcere vicino ad Alessandria. Da allora nessuno ha più avuto sue notizie.