di Giorgio Bocca
da L'Espresso
Il fallimento del referendum è l'effetto non contrastabile della globalizzazione, della comunicazione che non informa, del costume assimilato al patrimonio, della pubblicità che inganna e inventa.
Il fallimento del referendum sulla procreazione assistita è il fallimento della democrazia negli anni Duemila, è l'effetto non contrastabile della globalizzazione, della comunicazione che non informa, del costume assimilato al patrimonio e al reddito, del consumismo di massa, della pubblicità che inganna e inventa, della fine dello Stato sociale.
Il referendum è stato bocciato perché era incomprensibile dal cittadino comune, ispirato al laicismo in un paese genuflesso di fronte all'esercito cardinalizio che domina nelle televisioni di Stato e private, spaventato dal papa tedesco, dalla sua voce suadente ma preoccupante.
La democrazia è sconfitta, langue, sopravvive nei riti e nelle forme desuete, ha un urgente bisogno di essere ridefinita perché la società umana in cui vive non è più democratica o lo è in una maniera riduttiva sui cui bisognerà pure mettersi d'accordo.
La democrazia trapiantata in una civiltà antidemocratica è una contraddizione continua, una necessità continua di mentire sulla sua sopravvivenza. Capi di Stato e pontefici possono predicare in continuazione la buona onesta informazione, ma nella realtà essa consiste in una comunicazione di massa dominata dall'anarchia del mercato e dalla specializzazione tecnologica. In apparenza comandata dai padroni del vapore, da chi possiede i mezzi di produzione, in realtà condizionata da un mercato che si morde la coda, da una pubblicità divorante e devastante.
Mi capitò negli anni Ottanta di ascoltare il cavalier Silvio Berlusconi che celebrava il trionfo degli infiniti pascoli che la pubblicità televisiva apriva al popolo degli imprenditori e ci ripenso oggi di fronte a una televisione dalla pubblicità asfissiata, costretta a riproporre servizi e spettacoli prodotti 15 o 20 anni fa.
Può la democrazia fiorire in un tempo in cui la lingua muore? Ma se la lingua muore, se si riduce a comunicazione specialistica, ad abbreviazioni note solo agli esperti, alla pioggia di sigle che come cavallette scendono a divorare le parole, a proposte di referendum che 80 cittadini su cento non capiscono che democrazia si può tenere in piedi?
La democrazia non vive di leggi, ma di costume. Il potere democratico della maggioranza del 50 per cento più uno dei voti è una assurdità senza il consenso del costume, senza il convincimento dei cittadini ad accettarlo.
Privo di un radicato costume democratico il mondo torna a essere una giungla incomprensibile di guerre non dichiarate, di diritti umani non rispettati, di aggressioni e usurpazioni gabellate per diritto internazionale. La democrazia non è furbizia e indisciplina. Che democrazia è questa in cui il capo del governo è il primo a violare le leggi, a combattere la giustizia, a concepire la pubblica amministrazione come un comitato di affari dei più ricchi e potenti?
La democrazia non si regge solo sulle cerimonie mai così abbondanti e retoriche. Mai uno Stato che afferma di non essere in guerra ha abusato come il nostro della parola eroi, ha deposto tante corone agli eroici caduti di una guerra mascherata, mai la stampa nazionale è stata così equivoca sulla nostra politica militare, sulle nostre alleanze, sui nostri rapporti internazionali.
In cima alle nostre infatuazioni, alle nostre ammirazioni abbiamo messo le negazioni della democrazia, il neo zarismo di Vladimir Putin e i successi economici cinesi ottenuti sul super-sfruttamento del lavoro. Siamo arrivati al colmo di importare mele cinesi, maturate nei magazzini, di gusto pessimo senza nessuna garanzia sanitaria. Difendere la democrazia nel secolo antidemocratico sarà una fatica improba. Ma rinunciare alla sua difesa equivale a una eclisse del vivere civile.